Un semplice paio di scarpe. – La luce.- Il presepe e le nostre tradizioni. – La gravezza degli orpelli natalizi…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Ogni giorno prendo delle decisioni. Forse non sono perfette, ma è meglio prendere decisioni imperfette che essere alla continua ricerca di decisioni perfette che non si troveranno mai

Un semplice paio di scarpe.
Prima di spiegare di cosa si tratta serve una premessa. E’ necessario che racconti, almeno in breve, gli eventi di quel periodo storico, così come l’ha vista suoi occhi questo mio caro amico e come io poi l’ho immaginata nella mente, attraverso gli aneddoti che ho ascoltato. Una storia bellissima, credete a me. Questo mio amico negli anni cinquanta aveva quello che le generazioni successive, compresa la mia, non hanno mai colto dal loro vissuto, l’umiltà e la felicità per le cose semplici. Non era alla ricerca di un bel nulla, ma la sua generazione uscita dall’atrocità della guerra credeva nel futuro e lavorava con fatica ed operosità. Una generazione che credeva a valori semplici ma eterni e pensava al futuro dei nipoti praticamente ancora prima che nascessero. La storia inizia da un racconto di un episodio avvenuto nel lontano 1959. Pensate che in quell’anno questo mio caro amico era stato destinato per lavoro, per una importante fabbrica di automobili italiana in Polonia, precisamente nella zona industriale di Breslavia In quell’anno a Cuba il dittatore Fulgencio Batista abbandona l’Avana e Fidel Castro entra nella capitale cubana in testa alle sue truppe, pochi mesi dopo emana la legge agraria espropriando i terreni dei possedimenti agricoli degli statunitensi. La Cina invade il Tibet con la successiva fuga del Dalai Lama. La Polonia di quegli anni era reduce dalla rivolta del 1956 che aveva portato il regime a divenire leggermente più liberale, scarcerando molte persone dalle prigioni ed espandendo un poco le libertà personali. Questo anche perché con la morte di Stalin e l’avvento di Kruscev era iniziata una prima fase di distensione delle relazioni internazionali, culminate proprio nel 1959 con l’incontro a Camp David in Usa tra il presidente americano Eisenhower e il leader bolscevico. Questo era il quadro sommario di quell’anno quando questo mio saggio amico, come lui racconta andò appunto per lavoro in Polonia. Quando arrivò nella zona di Breslavia, situata nella regione storica ed industriale della Slesia venne in contatto con il suo interprete, un giovane ingeniere polacco. Allora in Polonia, le ferite degli edifici della seconda guerra mondiale non si erano ancora rimarginate e le rovine erano ancora presenti con la povertà dignitosa della popolazione che si trovava sotto un regime dittatoriale. Il mio amico, sempre nel suo racconto alloggiava in una scuola dismessa a parecchi chilometri dalla fabbrica meccanica dove prestava la sua opera. Partendo dall’Italia si era comprato una paio di scarpe nuove, perché magari pensava che se ci fosse stato qualche ricevimento ufficiale le avrebbe usate. Ma le scarpe erano rimaste a fare bella vista vicino al tavolino da notte, nuove ed inutilizzate. Alla fine del periodo di lavoro, in procinto di rientrare in Italia, l’ingegnere polacco gli chiese timidamente se le scarpe le vendeva a lui. Si sa che le scarpe italiane hanno sempre avuto una buona nomea per il design ed il confort ed allora, oltre cortina di ferro, come si diceva per i paesi del patto di Varsavia, blocco comunista, erano una rarità molto apprezzata. Di fronte a questa richiesta il mio amico, e quando lo racconta gli si illuminano gli occhi di nostalgia per quei lontani anni, pensò che lui non era ricco, le scarpe è vero le aveva pagate care ma in coscienza non se la sentiva di speculare su di una persona che stava peggio di lui e allora gli regalò le scarpe. A questo punto per chi ha avuto la pazienza di leggere fino a questo punto, direte che la storia si chiude qui. E no, anni dopo il mio amico aveva fatto un piccolo salto di carriera giungendo al ruolo di impiegato ed era stato mandato da una importante azienda Piemontese sempre in Polonia alla Fiera internazionale di Poznan. Questa Fiera è la più grande Fiera industriale della Polonia, una Fiera nata nel lontano 1921, e ancora oggi di fama internazionale ma allora era la vetrina dei prodotti e di scambio con il paesi dell’Europa Orientale. Il mio amico, ancora adesso ha nel viso lo stupore che ebbe allora quando arrivato in aereo, trovò ad attenderlo l’ingegnere a cui aveva regalato le scarpe anni prima. Questo ingegnere nel frattempo aveva fatto carriera nel meccanismo dei piani quinquennali, all’interno dei Gosplan che era la commissione statale per la Pianificazione. L’ingegnere dopo i calorosi saluti di benvenuto gli disse che leggendo l’elenco delle persone occidentali che arrivavano in Polonia per la Fiera aveva riconosciuto il suo nome e cognome e grato per le scarpe ricevute in regalo era andato ad accoglierlo. Ma oltre a questo gli facilitò gli affari aiutandolo a fare carriera nell’azienda in Italia, in quanto interlocutore privilegiato per diverse industrie polacche. Questo breve racconto mi insegna che ogni azione che compio nella vita mi si apre davanti un bivio, la strada dell’indifferenza e del male o quella del bene. La prima sembra una discesa, durante la quale non pedalo e non fatico, ma con il rischio concreto di cadere. La seconda assomiglia tanto a una salita, durante la quale sudo e dietro ad ogni tornante si nasconde l’insidia di mollare. Arrivato in cima provo nell’animo la sensazione di aver fatto un’impresa, di aver portato a termine qualcosa di grande, anche come questo mio saggio amico di aver regalato un semplice paio di scarpe, perché nella vita tutto ciò che merita di essere fatto, anche le piccole azioni, meritano di essere fatte bene.
Favria, 19.12.2016 Giorgio Cortese

Adoro l’umiltà e quando sbaglio e chiedo scusa l’animo gioisce perché mi riconda che sono vivo ed umano

La luce.
All’alba è il momento in cui non respira, l’ora del silenzio, tutto sembra paralizzato, solo la luce si muove. Ma ultimanente vedo luce nera, forse perché stiamo tutti brancolando nel buio e ognuno di noi deve imparare ad accendere la propria luce. E’ proprio vero che la vita è uno squarcio di luce e che la morte, come una chiusura lampo, fulmineamente richiude. Ma questa scheggia di luce che chiamiamo vita ha dei momenti che pare avvolta nelle tenebre. Il paradosso è che rifletto su questo soprattutto in assenza di luce. Ma se in natura, la luce crea il colore e poi nella pittura, il colore crea la luce. Allora per dissipare la luce nera devo diffondere la luce della speranza che rischiara gli animi, e ci sono solo due modi per farlo, essere la candela o lo specchio che riflette. Perché ogni giorno con la luce della speranza di poter migliorare si compiono dei piccoli miracoli nel quotidiano che sono i sogni e speranze che diventano luce
Favria, 20.12.2016 Giorgio Cortese
Nella vita di ogni giorno la mescolanza di bontà e intelligenza è lo spettacolo più interessante che io conosca, ma purtroppo è il meno frequente.
Il presepe e le nostre tradizioni
In Italia i simboli del S.Natale sono senza dubbio il presepe e l’albero di Natale. E’ consuetudine allestire l’albero di Natale l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, e smontarlo il giorno dell’Epifania ovvero il 6 gennaio. Ma è il presepe una tradizione tutta dell’italico stivale, il primo presepe risale a San Francesco D’Assisi che ne realizzò nel 1223 una prima versione vivente introducendo nuovi elementi, che ad oggi per noi sono parti essenziali della natività, il bue e l’asinello, proprio per far capire meglio le condizioni e il luogo dov’è nato Gesù. In Canavese anticamente sotto Natale venivano raccontate le peripezie di “Gelindo” che con i Pastour, i Pastori, si recava ad adorare il Salvatore. Si tratta di una sacra rappresentazione o meglio una “divota cumedia” in dialetto, per metà sacra e per metà comica e satirica, che narra la “Favola del pastore Gelindo”. L’origine dilla figura di Gelindo è sicuramente da ricercarsi nel Monferrato, rammento che Favria fino al 1680 ne faceva parte. Questa tradizione orale e simile ai Mysteres francesi del tardo medioevo e poi ai presepi viventi di francescana memoria. La presenza di Gelindo ha lasciato traccia anche nei proverbi e nei modi di dire piemontesi. Nella storia, Gelindo vorrebbe partire ma non riesce a farlo o perché dimentica sempre qualcosa, oppure torna indietro perché non si fida della moglie e vuole darle ogni volta un’ulteriore raccomandazione, e ciò accade più e più volte. Da ciò deriva il modo di dire “Gelindo ritorna” , indirizzato a chi tenta di fare qualcosa ma ogni volta torna sui suoi passi senza concluderlo, da bambino mia nonna quando iniziavo qualcosa e poi non lo concludevo mi diceva sempre “povero Gelindo”, crescendo ho poi capito il perché! Per concludere le ricche trasizioni Piemontesi del S. Natale, preesistente al presepio e all’albero troviamo quella del ceppo. Questa tradizione prevedeva che tale ceppo “il such” venisse acceso dal capo famiglia a Natale e mantenuto vivo fino all’Epifania, bruciandovi resti di cibo e foglie di alloro per trarne presagi di fortuna e, nella successiva cristianizzazione del rito, versandovi anche del vino rosso in ricordo del sangue di Cristo. Tra le varie credenze un tempo diffuse in Piemonte in tale periodo, una delle più antiche riguarda il mito degli animali parlanti. Essi parlerebbero tra di loro nelle notti sante della vigilia di Natale o dell’Epifania, a seconda delle zone, e terribili sarebbero le conseguenze del curioso che cercasse di ascoltarli. Personalmente ritengo che la tradizione mantenga vivi i nostri antenati con noi, una bellezza da conservare, non è la testimonianza di un passato concluso, ma la forza viva che anima e informa di sé il presente. Ogni giorno ad ogni bivio sulle scelte future se leggo meglio nel mio animo ascolto come la tradizione mi consiglia per il meglio non riproducendone la formula, ma esaltandone i significati. Perché oggi se tutti rimaniamo senza tradizione siamo simili ad un gregge di pecore senza pastore e se non ci innoviamo rimaniamo come le ceneri del passato
Favria, 20.12.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno siamo tutti allievi in un mestiere dove non diventiamo mai dei maestri e allora diffido dei superbi che si preccupano di chi ha ragione, la cosa importante ogni giorno è sempre preoccuparmi di cosa sia giusto

La gravezza degli orpelli natalizi
Siamo arrivati al S. Natale ed è un fiorire addobbi sugli alberi di natale e di decorazioni nei negozi, nelle vie e nelle case. Tutto questo mi ricorda la tradizione che deriva dai nostri avi, ma certe decorazioni le trovo pesanti, cariche di ostentata gravezza che generano disagio nell’animo. Badate mi piacciono le decorazioni ma quando sono troppi e pesanti gli orpelli di natale perdono la gioia del messaggio originario. Ho usato il lemma gravezza, dal latino gravis, perché ritengo che rende bene la pesantezza dell’animo che soffre perché è a disagio. Si ho parlato di orpelli con il significato di ornamenti esagerati, parola curiosa che deriva dall’antico francese, oripel pelle dorata, dal latino, aurea pellis. Questa lega veniva usata per rivestire oggetti di una “pelle” d’oro. Forse una parola poco usata ma che descrive meglio quanto volevo affermare con queste poche e semplici righe. Rivestire all’inverosimile con chincaglieria simile oro certi alberi di natale forse è l’esaltazione della vanità, dell’ostentazione, pretendendo l’appariscenza della ricchezza. Ma oggi quanti vivono solo per esibire degli orpelli, oggigiorno molti fanno sfoggio di apparecchi tecnologici evoluti come gli ultimi iPad, ma poi non sono capaci ad usarli per le attività pratiche quotidiane ma solo per fatui giochini su internet. Quanti esibiscono titoli di studio o di incarichi politici ad ogni livello ma poi dietro questo orpello c’è solo lo zero assoluto come morale e capacità/onestà intellettuale. Forse dovremmo tutti utilizzare nelle nostre case degli addobbi che forse abbiamo dimenticato nella frenesia della vita quotidiana. Dovremmo mettere sulla porta d’ingresso una ghirlanda di ottimismo e su tutte le finestre di casa delle stelle d’allegria e nel presepe al posto delle luci e della carta con il cielo stellato appendere delle stelle di speranza e serenità e poi davanti alla capanna pastori colmi di sorrisi rendendo grazie a Dio per poter vivere serenamente con un pizzico di salute continuando a sorridere alla vita ogni giorno. Buon Natale a tutti!.
Favria 21.12.2016 Giorgio Cortese

Nella vita il modo in cui una squadra gioca nel suo complesso determina il successo. Il lavoro di squadra è la capacità di lavorare insieme verso una visione comune. La capacità di dirigere la realizzazione individuale verso degli obiettivi organizzati. E’ il carburante che permette a persone comuni di raggiungere risultati non comuni