Shoah, una lezione da non dimenticare mai! – Pandemie da polmonite e da sovranità – Brancà e brando! – Festa del Gìobia o Giobiassa! – I giorni della merla. – Febbraio – La Candelora. – Colto pubblico e inclita guarnigione!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Shoah, una lezione da non dimenticare mai!
Oggi 27 gennaio ricordiamo l’enormità dello sterminio di sei milioni di ebrei e di decine di migliaia di rom e sinti avvenuto in Europa. Un’immane carneficina concepita come pulizia etnica di intere categorie umane considerate nocive, che causò milioni di vittime anche tra omosessuali, prostitute, alcolisti, senza tetto, malati di mente, criminali comuni, intellettuali, oppositori politici. Quell’enormità deve oggi rimbombare, impedendo che si faccia strame dei diritti costruiti proprio sulle ceneri della Shoah, quando i cittadini europei si risvegliarono, spaventati dall’orrore che si era rivelato possibile nella cosiddetta civile Europa. Oggi, onorare il Giorno della memoria significa guardare con sospetto a ciò che minaccia il recinto messo a protezione degli individui contro la furia dei regimi. Guardare alla nostra cultura e in qualche modo anche a noi stessi, alle pulsioni che albergano in noi, che ci muovono a costruire muri fisici e mentali, a giustificare e persino approvare le parole di chi predica la crudeltà con un sorriso, dicendo che è inevitabile ed è per il nostro bene, il bene di un “noi” contrapposto a un “loro”. La nostra civiltà è stata capace dello sterminio, oggi riflettiamo su questa consapevolezza enorme e terribile che preferiamo rimuovere. È più rassicurante pensare che la storia abbia deragliato per poi rientrare nei giusti binari, che alcuni esseri umani particolarmente efferati abbiano preso il potere e indotto masse di individui martellati dalla propaganda ad assentire a crimini impensabili. Questi crimini non furono commessi solo da individui, furono voluti, perpetrati, organizzati dagli Stati, dalle istituzioni, dalle burocrazie, dalle industrie. Oggi non dobbiamo rimanere insensibili ed indifferenti alle migliaia di persone torturate, ridotte in schiavitù, stuprate e uccise nel mondo. La costruzione dell’indifferenza, è oggi il nostro nemico più insidioso. Ricordiamoci sempre che non possiamo essere angeli, non possiamo essere Dio, possiamo al massimo essere degli esseri umani, e dobbiamo essere sempre degli esseri umani, questa è la lezione del 27 gennaio
Favria, 27.01.2020 Giorgio Cortese

La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare

Pandemie da polmonite e da sovranità
Oggi sui media sentiamo sempre di più parlare di nuove epidemie, le pandemie che deriva da una parola greca, composta da pan tutto e demos popolo, ed era l’appellativo di Eros e di Afrodite, in quanto divinità dell’appetito e dell’amore sessuale. Si diceva infatti Venere pandemia, prostituta dal greco pandémios, e casa pandemia, bordello. Ma che legame c’è fra il pandèmio e le pandemìe di cui parlano spesso i giornali? La pandemìa è un’epidemia pervasiva, una malattia che si diffonde su amplissima scala, magari globale, e perfino in questo senso è una cosa di tutti e non ha niente a che vedere con pandemonio, a dispetto della somiglianza. L’ultima pandemia in ordine di tempo è quella polmonare che ha per focolaio la Cina e sta già sta già mietendo dei morti. Cento anni fa abbiamo avuto dopo la Grande Guerra l’influenza Spagnola, che si diffuse in Europa nel 1918-1920 a seguito dello sbarco delle truppe americane. Fu denominata spagnola perché inizialmente furono solo i giornali spagnoli a parlarne. A provocarla fu un ceppo del virus dell’influenza. Il numero delle vittime è ancora incerto, a causa della sovrapposizione dell’epidemia con la Prima Guerra Mondiale, ma si stimano almeno venti milioni di morti. Nel mondo da quando esiste una società umana organizzata, ci sono state parecchie epidemie, iniziando dalla Peste di Giustiniano negli anni 541-542 d.C. che pare uccideva secondo i cronisti del tempo dai 5000 ai 10000 abitanti al giorno nella sola città di Costantinopoli, spopolando l’impero bizantino. Questa epidemia influenzò anche la Guerra Gotica, dando agli Ostrogoti la possibilità di rinforzarsi. Il totale delle vittime fu di 100.000.000 morti, numero che rende questa epidemia la peggiore nella storia. Famosa e anche la famigerata Peste Nera che in Europa e in parte dell’Asia fu causa della morte di ben 75 milioni di vittime ovvero un terzo della popolazione dell’epoca. Durò all’incirca cinque anni dal1348 al 1353 d.C.. La scarsa igiene, le guerre ed i roditori favorirono la diffusione del batterio. Fu soprannominata “nera” a causa della sua virulenza. Poi nel Ottocento in Europa si diffuse il colera a seguito degli intensi scambi commerciali tra l’Inghilterra e l’India con pandemie cicliche e milioni di morti E poi l’A. I. D. S., epidemia più diffusa ai giorni nostri. Il virus HIV interferisce con il sistema immunitario della persona abbattendone le difese: in tal modo si è molto più suscettibili alle infezioni. La malattia ha provocato fino ad ora ben 39.000.000 di morti ed è, per lo più, diffusa nelle nazioni in via di sviluppo e tra gli indigenti di tutto il pianeta. Oltre a queste epidemie ecco la pandemia sovranista che abbiano iniziato a scorgere in lontananza, come oltre la collina, esseri umani con rigurgiti di populismo, che cercavano unendosi timidamente, molto timidamente, di far tornare a galla ceppi di sovranismo, convinti di star perdendo la propria sovranità. Oggi questa pandemia dell’animo è in stato avanzato in tutta Europa e ben oltre. Circolano tra di noi una nuova ondata di sentimenti che portano intere nazioni alla chiusura, all’involuzione totale o a questo aspirerebbero. Una pandemia alimentata dal malcontento generale che viene incanalato ad uso e consumo di qualcuno e rigorosamente a scapito di qualcun altro. Oggi gli esponenti di questa pandemia vengono detti sovranisti ma sono molto simili ai nazionalisti del secolo scorso con tratti comuni costituiti da una mentalità giustizialista, uno stile tribunizio, un concetto populista dell’economia ed una vena autoritaria. Dicono di essere in guerra contro i poteri forti e considerano l’immigrato un potenziale nemico. L’individuazione di un nemico è alla base di tutto e della pandemia e poi in caso di confronto questo argomento sta bene su tutto, come il cacio sui maccheroni. Personalmente se penso all’immediato futuro non posso fare a meno di pensare al Riccardo III di Shakespeare perché nella società mi trovo sempre di fronte a personaggi emuli della sua azione e noi tutti, nonostante, siamo inorriditi dalle azioni dei novelli Riccardo III, i loro brillanti e significativi monologhi li fanno apprezzare da una parte del popolo che addirittura spera che che riescano nei loro piani a dispetto della loro evidente malizia. O tempora o mores! Ma da ottimista dico “Tempus omnia medetur”, il tempo è galantuomo!
Favria, 28.01.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno la speranza mette radici anche nella roccia.

Brancà e brando!
Un sabato mattino la negoziante, con atteggiamento scherzoso, nel darmi il resto composto da molto monetine mi ha detto, ecco una brancà, ovvero una manciata di monetine che si possono afferrare con una mano. Ma per branca, senza accento si intende una spanna, un palmo come misura in piemontese ma anche i rami di albero o arbusto, una zampa di animale, una stirpe o il ramo di una discendenza. L’origine della parola branca è incerta, pare che derivi dal celtico branca, braccio, anche se in tardo latino troviamo la voce brancam o virancam, come ramo verdeggiante. E forse entrambe le voci latina e celtica derivano dal germanico wrenk o wronk, mano o zampa, artiglio. da lì arriva la parola piemontese ambranchè, afferrare e brancaja, ramaglia, per fare fascine e per avere per la stufa del legno pitudo, per indicare piccoli rametti secchi per accendere il fuoco. E anche la parola branchigne, maneggiare arriva da lì ma non sicuramente la parola brando, che era antica danza molto vivace che si ballava in cerchio senza movimenti prestabiliti. La parola brando deriva dal francese branle, questa danza era praticata nei secoli XVI e XVII. Il lemma deriva dal verbo brandeler, vacillare, dal germanico brand, tizzone acceso, in italiano questo ballo era chiamato brando ed era in voga nel Monferrato in quei periodi e Favria ne faceva parte, ergo che fosse anche ballata anche qui.
Favria, 29.01.2020 Giorgio Cortese

La presunzione a certe persone fa credere di essere quello che vorrebbero essere, ed invece sono solo degli spocchiosi presuntuosi.

Festa del Gìobia o Giobiassa!
In piemontese Giòbia significa giovedì ed anticamente l’ultimo giovedì di gennaio, venivano accesi dei grandi falò nelle piazze e bruciata la Giubiana, un grande fantoccio di paglia vestito di stracci. La tradizione della Giobiassa ha un’origine molto antica. Fin dalle epoche più antiche, nel mondo agricolo, l’anno era scandito da ricorrenze periodiche, che accompagnavano i ritmi delle stagioni e che in qualche modo permettevano di sentirsi partecipi dei cicli della natura. Attraverso feste e ricorrenze, erano quindi rivissuti simbolicamente i cicli della natura, in particolare il passaggio tra le stagioni morte e quelle del risveglio primaverile. Nel periodo più freddo dell’anno, a fine gennaio, era usanza bruciare simbolicamente il vecchio anno, per augurarsi che l’anno nuovo fosse più propizio e ricco di nuovi raccolti e di molti frutti. Il nome stesso della festa, Giobiassa, del resto sembra fare riferimento ad antichissimi rituali propiziatori precristiani. Il nome Giobiassa sembra infatti collegato al dio romano Giove, da questo dio deriva l’aggettivo Jovia, devenuto poi Giobia o Giobiassa. Nei secoli medievali con la religione cristiana, i riferimenti agli dei pagani sono stati messi in disparte, ma il nome originale di Giubiana si è conservato nel tempo. Nei secoli medievali la narrazione popolare ha creato svariate leggende e numerosissimi racconti popolari. Nelle narrazioni popolari, Giubiana è così diventata una figura femminile, a volte una vecchina, altre volte una strega, da scacciare simbolicamente insieme ai rigori dell’inverno. L’elemento più caratterizzante della festa era il grande falò, percepito da tutti come un simbolo di rinnovamento e di ripartenza del nuovo anno.
Favria 30.01.2020 Giorgio Cortese

Ricordo da ragazzo i giorni freddi della Merla dove tutto era gelato, anche il rumore!

I giorni della merla.
I giorni della merla stanno arrivando e dal gelo non si salva nessuno! Ogni anno a gennaio queste giornate sono da sempre assai gelate. Certi anni i giorni della merla sono freddi e glaciali che sembrano adatti agli orsi polari! Narra la leggenda che gennaio fu molto impertinente con una merla assai intelligente. Lui era corto nei giorni del mese e non volle dare una mano a mamma merla e tre giorni sottrasse a Febbraio. Se lo ricorda bene mamma merla che era bianca come perla ma per scaldarsi un po’ al camino diventò nera carboncino! Da quel dì scura divenne e quei giorni furono detti della Merla
Favria, 31.01.2019 Giorgio Cortese

Le catene della schiavitù ci legano soltanto le mani ma è la mente che ci rende liberi!

Febbraio!
Perché febbraio si chiama così. Gli Etruschi celebravano riti in onore del dio Februus, mentre i romani attribuivano alla dea Febris potere indiscusso sul ciclo che della malattia porta l’individuo alla salute. Sant’Agostino nel De Civitate Dei, scrive come gli stessi romani avessero eretto un tempio a questa dea, ritenendo che la febbre fosse una soglia di purificazione. Februare era infatti sinonimo di una pratica che investiva l’intera popolazione romana, il februare populum comprendeva culti per rimuovere le impurità interiori, ma anche una rigorosa pulizia delle strade e delle case
Favria, 1.02.2020 Giorgio Cortese

La vera felicità si apre solo verso l’esterno e allora doniamo il nostro amore con gesti concreti donando il sangue a Favria venerdì 7 febbraio cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20, aiutaci a fare il pieno di solidarietà

La Candelora.
La Candelora. Una festa che è diventata cristiana, ma è l’antica festa della Luce. Una volta nelle campagne si benedicevano le candele. Il capofamiglia faceva croci sui polsi dei membri della famiglia e sulle porte di casa e della stalla, sui filari delle vigne. Riti fatti di notte perché non ben visti dalla Chiesa. Riti che si rifanno alla festa celtica di Imbolc nella quale si purificavano le case accendendo delle candele. Oggi come anche nel resto d’Italia, il giorno della Candelora, è il giorno cioè che ricorda la Purificazione della Beata Vergine Maria, mentre le chiese greco-scismatiche ricordano la presentazione di Nostro Signore al tempio e che prende il suo nome popolare dalla tradizione della benedizione in chiesa della candele, porta con sé un proverbio molto famoso: Se a fiòca o a pieuv per Santa Candlòra, da l’invern i soma fòra, se nevica o piove per Santa Candelora, dall’inverno siamo fuori. Le candele, dopo essere state portate accese in processione, venivano conservate in casa ed accese per invocare l’aiuto divino durante temporali molto violenti, oppure nell’attesa di una persona di famiglia che tardasse a tornare a casa o ancora in qualunque altra occasione in cui si volesse chiedere aiuto al Cielo. Ricordo poi di antiche tradizioni nordiche, unitesi in seguito alla fede cristiana, è un altro proverbio che, partendo dalla figura totemica dell’orso, recita Se l’ors a la Candlòra a fà sauté la paja, ant l’invern tornoma intré, se alla Candelora l’orso fa saltare la paglia, ritorniamo nell’inverno, cioè se l’orso si aggiusta il giaciglio per tornare a dormire è segno che il letargo, e di conseguenza l’inverno non è ancora finito. Sempre per la Candelora, ma definita come Candlera, si usava dire: a la Candlera mesa foghera, alla Candelora mezzo focolaio, il freddo diminuiva leggermente, ma non così tanto da consentire di spegnere del tutto il fuoco.
Favria 2.02.2020 Giorgio Cortese

Non chiederti: “Chi sono gli altri per essere aiutati?”. Chiediti: “Chi sono io per non aiutarli?”. E allora vieni a donare a Favria venerdì 7 febbraio cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20, aiutaci a fare il pieno di solidarietà

Colto pubblico e inclita guarnigione!
Nell’Ottocento gli imbonitori nelle fiere così si rivolgevano alla platea di civili e militari per accattivarsi la loro attenzione nel vendere dei prodotti che erano sempre miracolosi. Inclito significa glorioso, illustre, famoso e deriva dal latino inclitus, derivato di cluere, con il significato di avere reputazione. Una parola al contempo ricercata e lieve, perché se si dice glorioso il termine è impegnativo ma con l’aggettivo inclito diventa elegante e sobria. Personalmente trovo l’inclito in bellissimi libri che sono veramente belli da leggere e rileggere.
Favria, 3.02.2020 Giorgio Cortese

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