San Martino. – Bujì, testina e bagnèt vèrd. Galupum! – Una sera… – Umaneschi! – Malinconia – Dal canterano al cifun! – I gatti. – L’alternativa del diavolo! Lavoro o salute?…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

San Martino. – Bujì, testina e bagnèt vèrd. Galupum! – Una sera… – Umaneschi! – Malinconia – Dal canterano al cifun! – I gatti. – L’alternativa del diavolo! Lavoro o salute?…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

San Martino.
Novembre tempo di traslochi. Nella tradizione contadina 11 novembre, giorno di San Martino, si riconfermavano i contratti di affitto per abitazioni e terreni. In mancanza di rinnovo intere famiglie erano costrette a traslocare in luoghi diversi, dove offrivano mi loro servigi al nuovo proprietario terriero. Sono eventi passati ma ancora ben presenti nella mente dei più anziani e di chi presta attenzione ai loro suggestivi racconti. Oggi il trasferimento in una nuova casa, ottenuta in affitto o in compravendita segue un rituale fatto di caparre e firme. Ma c’è chi l’evento desidera salutarlo e festeggiarlo degnamente. Può essere la solita cena con gli amici e parenti, allestita subito dopo il traslocco, ma si può anche pensare ad un cerimoniale più specifico, nel giorno stesso della stipula e della consegna del rogito, o dopo la firma sul contratto di affitto. Un’allegra bicchierata in casa segna l’evento, quando ancora l’ambiente è disadorno e senza arredi. Una tradizione diffusa nel Mezzogiorno, più radicata rispetto alla spontanea ed informale alzata dei calici, è la cosiddetta “conigliata”. In questo caso si festeggia con una vera e succulenta cena a base di carne di coniglio, possibilmente cucinata nella pentola di terracotta denominata “tiano”. La conigliata è percepita dai commensali come fatto augurale per la coppia che occupa la casa. Il coniglio, da sempre è simbolo di fertilità e di rapida procreazione.. l’acquisto o affitto di un nido d’amore per chi decide di raccogliersi sotto lo stesso tetto, nell’immaginario collettivo, ancora preclude all’arrivo di una prole che costituisce il senso e la continuità della famiglia. Simboli ormai in disuso, ma ancora intimamente legati all’idea di un luogo di appartato in cui la coppia si ritira per vivere in pienezza la loro unione e come tale, giustamente festeggiato.
Favria 11.11.2019 Giorgio Cortese

Certi giorni il peso della vita mi fa venire la gobba, ma mi permette di guardare meglio dove metto i piedi.
Bujì, testina e bagnèt vèrd. Galupum!
Che leccornia il bollito, testina e bagnetto verde e rosso. Parlo del bollito misto alla Piemontese, che appare nella letteratura di settore già nel 1887: tra i suoi estimatori il re Vittorio Emanuele II, che mal sopportava l’etichetta di palazzo e i pranzi ufficiali, preferendo di gran lunga questo piatto, e Camillo Benso, il Conte di Cavour. Il “Bollito, Bujì è un piatto del Risorgimento, un piatto tipicamente invernale e, nonostante appaia una preparazione semplice e banale nasconde numerosi accorgimenti e segreti, indispensabili per una buona riuscita, dalla scelta della carne che deve essere di bue adulto, ben frollato e “mostoso”, ossia non troppo magro, con venature di grasso bianco e morbido. caldo fumante, il piatto simbolo della tavola invernale. Il bollito è galupun, leccornia che deriva dal gotico walaklaupa, galoppare, persona che riforniva di cibo i soldati, addetto alle salmerie, da li passato al tardo latino galuppum, cantiniere e arrivato in piemontese della cantina luogo dove vengono conservate le ghiottonerie per i galup. Poi vero ammetto sono anche galufron, mangione, lemma che deiva dal francese galer, divertirsi, mutuato dal germanico wala, avere piacere. Arrivato in piemontese dall’occitano galefra, vorace. Rifletto che nella vita essere “bolliti” non è poi così male, visto che pochi piatti trasmettono maggiormente l’idea di gusto intenso, vera tradizione e grande convivialità. Piatto della tradizione piemontese, ma non solo, di simili se ne trovano in tutto il Nord Italia, ma anche in Francia, il pot au feu o in Spagna il cocido. Per me è il piatto della festa, la pietanza da dividere su una tavolata in famiglia la domenica, un mix di sapori tenui e decisi, di grasso e di magro. Dicono dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei, beh allora mangiare il bollito è incoporare il nostro territorio e tradizioni, e poi io non sono un galup, mangione, sono solo un’esploratore del cibo, di quello buono, gustoso e nutriente come il bujì, testina e bagnèt vèrd.
Favria. 12.11.2019 Giorgio Cortese
Certi giorni mi ostino a trainare il mio fardello lungo le strade della vita caricato di ottimismo. Nonostante che dica a tutti speranza, molti mi lanciano addosso le loro preoccupazioni, ma serve ben di più per spegnere un carico pieno di sole.
Una sera…
In questo mese vuoto e cupo dalle corte giornate sono le più grandi mancanze da metabolizzare. Questo è il mese scuro e triste con il sole pallido e stanco che cerca di bucare la grigia cortina e, felice si posa sul rosso frondoso delle vigne. E’ un tripudio vermiglio al rubino raro splendido e intrigante tra il caldo oro. Poi una sera di novembre mi trovo a camminare nel parco, le foglie sembrano un fuoco, il cui colore mi ricorda Van Gogh. Non c’è alcun rumore, e gli alberi sembrano unirsi all’orizzonte. Il vento è fermo, e la temperatura mite. Non pare autunno e veloce s’alza la folata, le foglie si staccano dagli alberi e foglie che prima di cadere compiomo l’ultima danza e mi ricordano che un’altra stagione della mia vita è passata.
Favria, 13.11.2019 Giorgio Cortese

Ogni giorno cogliamo ogni opportunità che la vita ci dà, perché, se te la lasciamo sfuggire, ci vorrà molto tempo prima che si ripresenti

Umaneschi!
Abbiamo sempre avuto il vizio di proiettare sugli animali le nostre miserie e nefandezze. Il vecchio morbidamente lascivo lo chiamiamo porco, di un pessimo attore diciamo che è un cane, una donna bella e fatua è un’oca, lo stupido ha un cervello da gallina, allo scolaro scadente diamo del somaro, ma rende meglio in dialetto burich! Per non parlare, poi, del fatto che definiamo bestiali gli atti più perversi che compiamo, dimenticando che la perversione è una peculiarità tutta nostra, umana! Quegli animali siamo noi. Gli animali delle favole siamo noi, con le nostre virtù e i nostri vizi. Siamo il lupo e siamo la pecora ed il capretto, siamo la volpe e la gallina, siamo l’anatroccolo e il cigno. Siamo cattivi e buoni, siamo belli e brutti. Siamo portati a pensare che abbiamo due facce quella umana, nobile e quella animalesca, gretta. Anzi, non è corretto e basta, perché sappiamo che l’anima animalesca, cioè degli animali, può essere buona e cattiva come quella di noi umani. Se gli animali dovessero usare lo stesso criterio, potrebbero parlare dell’anima animale per designare il loro lato buono e dell’anima umanesca per designare il loro lato cattivo. Gli animali sono presenti nelle favole. Esopo, Fedro, La Fontaine nelle loro favole mettono in scena leoni, volpi, lupi, asini, capretti, lepri, corvi, topi, rane con sembianze di esseri umani divisi tra bene e male. Il loro scopo è morale, gli animali incarnano pregi e difetti umani: la forza, l’astuzia, la viltà, la bontà, la giustizia, l’onestà, la stoltezza, l’ostinazione, l’innocenza, la superbia, l’ingordigia. . Dalla notte dei tempi, le fiabe, tramandate di bocca in bocca, di padre in figlio, di nonno in nipote, hanno viaggiato per secoli e continenti portandosi dietro i loro principi azzurri, i loro eroi e i loro malfattori, i loro lupi cattivi, i loro animali dotati di facoltà magiche Gli animali nei racconti fiabeschi hanno la stessa funzione sciamanica del tappeto-volante, l’aquila, il cavallo, il lupo trasportano l’eroe nell’altro regno. Prima che arrivassero i grandi trascrittori di fiabe, fino a Calvino, che ha raccolto quelle italiane, l’Europa ha conosciuto i bestiari medievali, un filone letterario in cui ogni animale veniva narrato solo come simbolo pagano, e se il re delle fiere, il leone, è, come Cristo, capace di resuscitare i propri piccoli venuti al mondo privi di vita, l’indomabile unicorno riesce a diventare mansueto solo di fronte a una fanciulla che lo accolga nel suo grembo vergine. Ebbene si, quegli animali siamo proprio noi con la nostra natura umanesca!
Favria, 14.11.2019 Giorgio Cortese

Quando tutti mi dicono di rinunciare, dentro di me la Speranza mi sussurra suadente di provarci ancora una volta.

Malinconia
Certi giorni soffro perché ho perso qualcosa che non ho mai avuto. Penso che esistono diversi tipi di malinconia, c’è quella grigia, nostalgica ma esiste anche una malinconia luminosa dei ricordi che ho nello scrigno del mio animo e che mi danno l’antidoto per la felicita ed andare avanti. Questo è quello che distingue le persone delle macchine, no la ragione, ma il cuore e quando penso con il cuore ecco che la mia umanità emerge e allora realizzo di essere vivo e allora lasciatemi sognare.
Favria, 15.11.2019 Giorgio Cortese

Ogni giorno l’autunno mi accoglie sempre con la magica sequenza dei suoi caldi colori, regalando al mio umore un dolce sorriso.

Dal canterano al cifun!
Oggi si parlava con l’amico aggregato alpino Mauro e Bruno delle varie lingue e dialetti, pensate che nel mondo c’è ne sono 7099, di cui 35 in Italia. Nel dialogo è uscita la parola lombarda del varesotto cifun, il comodino da notte, o meglio il canterano o comò, quest’ultima adattamento popolare del francese commode. Strana la parole cifun, e curiosa pare sia la sua origine. In piemontese esiste la parola ciafau o ciafrach a seconda delle zone per indicare un soppalco per riporre il fieno e i bachi sa seta ma l’origine potrebbe essere uguale perché tale parola deriva dal suffisso antico tedesco skakkia, impalcatura e dalla voce latina falam supporto elevato come il comodino. Ma potrebbe derivare dal francese chiffon, nome di tessuto sottile e trasparente, di seta o di altro filato, usato per indumenti vaporosi e leggeri. Con altro senso nell’espressione chiffon de papier, corrispondente all’italiano, pezzo di carta. Da notare che in francese il comodino da notte si dice table de chevet, chevet significa capezzale. Che magia la lingua che ci rende umani e ci permette di comunicare l’un l’altro, scambiarci informazioni e tenerne conto, questa è cultura. La comunicazione verbale e non è alla base delle società umane e ci dona una identità di appartenenza alla nostra Comunità. Che belli i dialetti, un sistema simbolico che rinvia a delle esperienze già vissute che tramandate che arricchiscono il nostro pensiero e linguaggio.
Favria, 16.11.2019 Giorgio Cortese

Rispettare me stesso molte volte è saper dire di no senza aver paura di deludere gli altri.

I gatti.
I gatti da sempre affasciano noi umani. Se uno prova su internet a digitare la parola gatto, ne escono foto di ogni razza, di qualsiasi origine, colti in tante situazioni diverse. Per gli antichi egizi, il gatto era sacro, uno sterminatore i topi, nel Corano è descritto come puro e in altre civiltà, viene trattato come compagno di caccia e come alleato dell’uomo. Nel Medioevo, si associa come immagine malefica e sinistra, alleato del diavolo, e perciò vittima di persecuzioni e pertanto andava cacciato. Progressivamente questa dimensione demoniaca cede il posto a un volto diverso. Il gatto indecifrabile, magico, flessuoso, selvaggio e ozioso, ma tenero con le persone che ama, ma sempre pronto a tirar fuori i suoi artigli, se necessario. I gatti sono simili ai bambini teneri e capricciosi che cercano le coccole e si imbronciano e sono degli insostituibili amici di noi umani che gli abbiamo spalancato la porta della casa. I gatti sono una metafora della vita simili a noi immersi in sogni senza fine
Favria, 17.11.2019 Giorgio Cortese

Sono in autunno nella promessa della primavera.

L’alternativa del diavolo! Lavoro o salute?
Pensavo alla crisi dell’Ilva a Taranto e lacerante alternativa tra lavoro o salute, un tremendo quesito per chi deve e guadagnarsi il pane. A Taranto complice la crisi mondiale dell’acciaio. Il ferro, la materia prima è rincarata di quasi il 40% quest’anno e poi la Cina, che in barba ai dazi americani continua a sfornare quantità crescenti di acciaio, con una produzione, pensate di 85 milioni di tonnellate ad aprile,  e se continua a questi ritmi nel 2019 supererà per la prima volta l’asticella del miliardo di tonnellate. Montagne di acciaio, che solo in parte vengono utilizzate in Cina, dove pure ci sono consumi solidi grazie agli stimoli all’economia introdotti dal Governo. Il surplus finisce all’estero, in gran parte in Europa. A questo aggiungiamo il rallentamento della crescita economica e le guerre sui dazi con l’America il quadro economico in Europa è cupo. La crisi a Taranto ci ricorda che per superare l’alternativa del diavolo, tra lavoro e salute è quello che il bene delle persone cioè della salute e dell’occupazione dei lavoratori deve essere anteposto e difeso rispetto alla logica della massimizzazione del profitto e delle pure leggi del mercato, tutto il resto sono solo chiacchiere ed inutili invettive politiche che speculano sulla pelle dei lavoratori.
Favria, 18.11.2019 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana le cose in cui non spero accadono più spesso delle cose in cui spero.
GiorgioCortese