San Grato storia di una antica venerazione! – Ecopensiero! – La calligrafia – Il drago di Bologna. – Gli Afaretidi e l’origine di dell’occhio di Lince. – Spesso. – Aiuto, siamo sommersi dalla plastica!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

San Grato storia di una antica venerazione!
San Grato con San Bernardo, San Maurizio, S. Besso, S. Genesio, San Orso, sono tutti profondamente venerati da secoli nelle Alpi Occidentali. Le loro figure hanno ispirato un’abbondante produzione artistica e soprattutto negli Stati di Savoia come documentano molte opere di scultura, pittura e oreficeria del XIV e XV secolo. Tra questi Santi svetta la figura di San Grato. L’origine del nome deriva dal latino Gratus che significa “colmo di gratitudine” o “dono di Dio”. Questo nome di origine latina oggi è poco diffuso in Italia, invece era piuttosto comune durante il periodo della dominazione romana. ma successivamente la sua diffusione si è arrestata. Grato era un presbitero che collaborava con il primo vescovo di Aosta, Eustasio. Certamente prese parte al secondo sinodo di Milano, che si tenne nel 451. Infatti San Grato sottoscrisse gli atti, sostituendosi al vescovo Eustasio che, invece, non poté prendervi parte, probabilmente per problemi di tipo fisico, considerata l’età avanzata del primo vescovo di Aosta. San Grato divenne il patrono di Aosta per aver protetto la città da streghe e diavoli, che nel Medioevo prendevano le forme più strane come un torrente straripato per il disgelo, il terreno spaccato dalla siccità, il raccolto minacciato dalla grandine, un fienile bruciato, un campo devastato da bruchi, cavallette e talpe. San Grato fu quasi certamente un presbitero che prese parte al Concilio provinciale di Milano. Infatti firmò la lettera del Concilio provinciale di Milano inviata a Papa Leone Magno nel 451. Secondo alcuni studiosi, Grato e Eustasio sarebbero stati entrambi greci ed avrebbero studiato nel cenobio eusebiano di Vercelli. Sant’Ambrogio infatti in una sua lettera ai Vercellesi sostiene che le chiese dell’Italia settentrionale si rivolgevano proprio a quel cenobio per scegliere i propri pastori. Secondo una leggenda Grato, sarebbe stato un martire soldato della leggendaria legione tebea, San Grato avrebbe scoperto in Palestina il capo di San Giovanni Battista, Il Precursore, la cui testa fu gettata in un pozzo dopo che la concubina Salomè, l’ebbe fatto decapitare. Non si conosce l’anno della morte, ma solamente il giorno, che è appunto il 7 settembre, data in cui il santo viene celebrato. Le reliquie sono custodite nella cattedrale di Aosta, in una cassa reliquiario che rappresenta un’importante opera di arte gotica alla quale prese parte anche un celebre orafo fiammingo. San Grato è celebrato come taumaturgo, ed il suo culto è diffuso anche nelle comunità circostanti alla Valle d’Aosta. San Grato è uno dei pochissimi santi e beati ricordati nel Martirologio Romano. Un antichissimo rito ricorda la traslazione del suo corpo con la “Benedizione di San Grato”: la triplice benedizione della terra, dell’acqua e delle candele per allontanare ogni flagello dai campi, dai contadini e dal bestiame. A Favria c’è una chiesa a Lui dedicata, che merita di essere visitata. Questo edificio dell’anno Mille, è curato dal “Comitato per la salvaguardia della Chiesa di San Grato” nato nel 1989 per iniziativa di alcuni concittadini che, preso atto del grave stato di degrado del fabbricato, decide di farsi parte attiva per l’effettuazione dei lavori di restauro e valorizzazione della struttura architettonica e degli affreschi contenuti. La struttura della chiesa, così come appare oggi, è comunque il risultato di più fasi costruttive, appartenenti a epoche diverse, comprese comunque tra i secoli X e XX. Il sempre attivo Comitato con il suo Presidente Adriano, quest’anno inizia i festeggiamenti venerdì 30 agosto con inizio novena alle 20,30, venerdì 6 settembre dopo la novena, esibizione del coro Monte Soglio di Forno C.se e a seguire distribuzione di biscotti di San Grato e rinfresco. Sabato 7 settembre ore 20,30 novena e a seguire incanto delle tradizionali trecce d’aglio. Domenica ore 9,00 – 12,00 sotto il portico adiacente alla chiesa, mostra di medaglie religiose e Papali della collezione privata, molto interessante ed istruttiva, di Roberto Cibrario Rossi e viste guidate, da non perdere, ai restauri della chiesa, un vero gioiello. Ore 15,00 Santa Messa e processione a seguire giochi per bambini, rinfresco offerto dai Priori Sigg.ri Jenny Murano e Primo Massara e come di consueto la Banda musicale favriese, colonna sonora degli eventi, accompagnerà la processione ed allieterà il successivo rinfresco. Ed infine lunedì ore 21,00 Santa Messa a ricordo di tutti i Benefattori e Defunti del rione. Una grande grazie al Comitato di San Grato di Favria che ci rammenta che ricordare è importante, perché grazie alla memoria che può quindi esistere la stessa tradizione che si fonde in una genuina venerazione religiosa, e questi elementi si sostengono l’uno con l’altro, perché allo stesso tempo la tradizione è importante per la memoria ed entrambi sono cementati dalla genuina devozione popolare che permette di conservare il passato in un modo unico e particolare e che tiene in vita le nostre radici. Grazie ancora Comitato San Pietro Vecchio d al loro Presidente Adriano per il Vostro lodevole lavoro ed ai Priori Jenny e Primo per l’impegno preso che perpetua il passato nel futuro.
Favria 3.09.2019 Giorgio Cortese

Essere una persona umana è un mestiere difficile e soltanto pochi ce la fanno, gli altri rimangono bestie.

Ecopensiero!
Ho letto recentemente il libro: “Sulle spalle dei giganti” di Umberto Eco, preso in prestito dalla fornitissima biblioteca G. Pistonatto di Favria. Questo libro postumo è una raccolta di saggi, stimolo per la mente. Raccoglie una serie di temi che l’autore preparava per la Milanesiana. Vengono toccati dei temi cari a Eco, dalla bellezza alla bruttezza e al sublime, dal sacro al mito, dall’assurdo al paradosso. Il tono è sicuramente più scorrevole e “colloquiale” dei testi filosofici specializzati ma, nonostante questo, la lettura di questi saggi stimola il ragionamento, la curiosità per aspetti che fanno parte del mio quotidiano ma ai quali non presto attenzione, in quanto si svolgono a un livello mentale non meditato e vengono dati per scontati. La sola possibilità pensare a questi aspetti, magari anche senza comprenderli completamente, è stata per me una grande fonte di piacere intellettuale. Sulle spalle dei giganti, il primo saggio che dà anche il titolo al volume, è un’espressione di uso abbastanza comune. Siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, così che noi possiamo vedere più lontano di loro non a causa della nostra statura o dell’acutezza della nostra vista, ma perché, stando sulle loro spalle, stiamo più in alto di loro, ma come va intesa la questione, in maniera umile o superba? Voleva dire che noi conosciamo meglio ciò che gli antichi ci hanno insegnato, o che conosciamo, sempre grazie a loro, molto di più e più accuratamente di loro? E se davvero vediamo più lontano, comodamente adagiati sulle spalle dei giganti, come mai il mondo va a rotoli? Da questa storiella inizia la vicenda della modernità intesa come innovazione: ciò che rende moderno è il ritrovamento dei modelli antecedenti, è l’antico, in un circolo infinito che sembra arrestarsi soltanto adesso, in una drammatica realtà dove i giganti sembrerebbero spariti e siamo diventati, o diventeremo, tutti nani. La maestria con cui nel testo sono affrontati temi complessi come il concetto di bellezza, argomento che egli ebbe sempre a cuore dal momento che la sua tesi magistrale ebbe per oggetto proprio la bellezza secondo San Tommaso, rende possibile avvicinarsi a un argomento così vasto e complesso anche ad uno studente alle prime armi. Che cos’è ciò che chiamiamo bello? La bellezza è soggettiva, non esiste un bello assoluto, d’accordo, ma che cos’è la bellezza? Il bello è ciò che viene definito tale in maniera disinteressata. Se ciò che considero buono non mi appartiene, ad esempio un buon cibo, io mi sento impoverito. Se invece io trovo bella la Cappella Sistina, anche se non ne sono il proprietario, provo lo stesso gioia. Il binomio gioia- possesso non funziona nella bellezza, ci avevate mai pensato? Eco sì. E il modo con cui egli conduce per mano fa riflettere su questo e quest’altro si configura, a mio modesto pare, come unico: è difficile trovare in un solo intellettuale il binomio cultura e capacità di trasmettere la stessa così intrinsecamente legati. I saggi contenuti nel volume traggono origine da repertori filosofici, estetici, letterari, etici e mass mediatici: la bellezza di cui si è detto, il falso che si tramuta in vero e modifica il corso della storia, l’ossessione degli uomini per le teorie del complotto unite a frecciatine dirette al ciarlatano Dan Brown, aforismi, parodie e paradossi e le forme dell’arte. E infine, il saggio che ho apprezzato di più: perché quando muore Anna Karenina ci commuoviamo? È un personaggio fittizio come tanti altri eroi della narrativa di tutti i tempi e lo sappiamo che non è reale, ma la vicenda ci coinvolge come se lo fosse. Eco ha la risposta, precisa, perfetta, inconfutabile. Perché ci commuoviamo quando la Karenina muore? Andate alla biblioteca Pistonatto a Favria e richiedere il libro, ne vale la pena a leggerlo!
Favria, 4.09.2019 Giorgio Cortese

L’aritmetica di una Comunità è che 1+1 è uguale a tutto, 1-1 uguale a niente!

La calligrafia
Un ultimo tocco di pennino, una scrollatina alla pergamena et voilà , la lettera era pronta per essere consegnata con le sue eleganti “C”, le “O” tonde. Quando mi capita di leggere vecchi documenti rimango sempre meravigliato e stupefatto della precisone con cui scrivevano nei secoli passati, senza avere il computer e relativa stampante. Forse adesso abbiamo molta tecnologia ma siamo arretrati rispetto a chi, ancora prima dell’avvento della macchina da scrivere, registrava su libri tutta la contabilità, promesse di matrimonio con relativa dote, con una scrittura, che pare stampata e che le attuali stampanti, pur ricche di vari stili di scrittura non si avvicinano per niente. Oggigiorno siamo convinti dalla superbia tecnologica che basta avere uno smartphone per essere arrivati e molti pensano che la calligrafia fosse allora una necessità vista l’arretratezza, e oggi un passatempo salottiero da condividere all’ora del tè. Non era e non è così, scrivere a mano facilita l’apprendimento, allena la volontà, sollecita l’immaginazione, insomma mi fa pensare meglio. Una volta c’era nelle scuole italiane l’uso d’insegnare agli studenti ad avere una “bella scrittura. Con molta pazienza e a volte con molto rigore gli alunni sino dalle scuole elementari erano sollecitati dai maestri di calligrafia ad imparare a scrivere bene prima in brutta copia e poi sui quaderni di bella copia. Inizialmente riempivano le pagine di aste, di cerchi, per poi passare alle lettere tonde, miste con gambe verso il basso e prolungamenti verso l’alto. In uno sforzo costante di rendere “bella” ed elegante la scrittura. In un’epoca in cui vi erano già le macchine da scrivere, ma molto era ancora scritto manualmente e doveva presentare delle caratteristiche di leggibilità ed estetica codificate. Certamente l’utilizzo del pennino e delle prime stilografiche non permetteva una scrittura molto veloce e pertanto era più facile che fosse accurata, con le facili macchie di inchiostro, personalmente mi ricordo che i mei quaderni erano ogni tanto personalizzati da repentine macchie di inchiostro. Poi con l’avvento delle economiche penne biro, negli anni ‘60, la scrittura è divenuta più veloce si è iniziato ad avere meno cura della propria scrittura. Si persa la bella scrittura, al riguardo mi ricordo in prima elementare quando la maestra scriveva nel mio quaderno una prima riga di lettere ed io scolaro con grembiule blu scuro ed un fiocco azzurro, dovevo ripeterle molte volte cercando di copiarle dignitosamente. E poi come punizione, se parlavo e disturbavo, scrivere almeno 50 volte la medesima parola sui quaderni a righe. Adesso da adulti, ciascuno di noi, ha una grafia diversa dagli altri ed un modo diverso di scrivere e non potrebbe essere altrimenti. La scrittura si compone infatti di un aspetto grafico, di un aspetto psicologico e di un aspetto linguistico. Anche se il modello è stato uguale, inevitabilmente con il tempo ognuno ha preso delle strade diverse, adottando dei metodi differenti. Certo questo dipende anche dalle condizioni in cui scrivo, se di fretta o con maggiore cura. Tutti elementi che vanno ad influire il mio modo di scrivere e lo personalizzano. Oggigiorno, con l’arrivo dei mezzi informatici, non sono più abituato a scrivere a mano, e noto che lo scrivere in modo leggibile è sempre più una rarità non solo in età scolare ma anche per gli adulti “diseducati” che hanno difficoltà nell’atto della scrittura. Oggi malgrado e-mail, sms e notebook, insomma c’è ancora bisogno di stilografica e biro. Le nuove tecnologie non possono diventare l’unica forma di comunicazione, perché così si corre il serio rischio di creare un scrittura standardizzata, poco personale, mentre scrivere a mano emergere la personalità. Scrivere a mano mi permette di interiorizzare meglio la lingua, in una parola mi fa pensare meglio. Nessuna voglia di far tornare indietro le lancette della storia però, nessuna bocciatura di tastiere e telefonini. Solo la consapevolezza che la forma delle lettere non può essere separata dai contenuti e che insieme formano un tutt’uno con la personalità dell’essere umano. Per dirla con Nabokov: “quel che si scrive con fatica, si legge con facilità”, e forse davvero, aiuta a pensare meglio, a capire chi sono e dove vado.
Favria, 5.09.2019 Giorgio Cortese

Una delle più grandi scoperte come essere umano e che posso cambiare la mia vita semplicemente cambiando il mio atteggiamento mentale.

Il drago di Bologna.
Quando il naturalista Ulisse Aldrovandi non riusciva a procurarsi un esemplare dal vivo, si aiutava per i suo studi naturalistici commissionando a importanti disegnatori delle raffigurazioni. Quel patrimonio iconografico cinquecentesco, un secolo che non era ancora quello dei lumi, il Settecento, e che, seppure ancora intriso di credenze medioevali, rappresentò una grande rivoluzione nel campo del sapere. In campo strettamente naturalistico quest’ epoca fu inondata da descrizioni e informazioni su specie sconosciute che provenivano dal Nuovo Mondo e dai paesi esotici, che misero in crisi gli schemi classificatori tramandati dagli antichi. Nel 1572 fu chiamato a dissezionare di fronte all’arcivescovo e alle autorità cittadine di Bologna il cosiddetto “drago di Bologna”, un serpente deforme fornito di muno strano paio di zampe e di un tronco robusto. La questione era di vitale importanza. Pochi mesi prima dell’elezione a Papa di Gregorio XIII, suo parente da parte di madre, quel mostro ritrovato accidentalmente nelle campagne bolognesi poteva essere letto come un presagio di sventura per il prossimo pontefice, ma per Aldrovandi non era che un fenomeno naturale. Alla sua morte nel 1605 lasciò in eredità tutto il suo patrimonio scientifico al Senato di Bologna. Oggi ciò che resta di quello straordinario “mondo in miniatura” raccolto con pazienza da Aldovrandi è ancora visibile a Palazzo Poggi a Bologna.
Favria, 6.09.2019 Giorgio Cortese

I libri sono simili alle riserve di grano da ammassare per l’inverno dell’animo!

Gli Afaretidi e l’origine di dell’occhio di Lince.
Ida figlio di Afareo re di Messene e di Arene, fratello di Linceo. Nella tradizione i due fratelli erano noti come Afaretidi. Ida veniva considerato forte e violento invece Linceo aveva ricevuto in dono la capacità di vedere chiaramente a grandi distanze e di vedere anche sotto terra. Ida sposò Marpessa, figlia di Eveno e nipote di Ares, che Apollo cercò di portargli via. Eveno istituì una corsa di cocchi a cui dovevano partecipare tutti i pretendenti di Marpessa, e Ida chiese in prestito un cocchio alato a Poseidone. Prima che Apollo potesse intervenire, Ida si recò in Etolia e si portò via Marpessa dalle belle caviglie strappandola a un gruppo di danzatrici sottraendola sia al padre Eveno che ad Apollo, a sua volta interessato alla donna. Eveno si lanciò all’inseguimento, ma non potè raggiungere Ida e si sentì così umiliato che si annegò nel fiume Licorma, chiamato Eveno da quel giorno. Quando Ida giunse a Messene, Apollo cercò di portargli via Marpessa e Ida lo sfidò a duello, ma Zeus intervenne nella contesa e lasciò a Marpessa la scelta fra i due contendenti. Essa preferì Ida poiché temeva che Apollo la abbandonasse non appena avesse cominciato a invecchiare, come già aveva fatto con parecchie amanti. Marpessa diede a Ida una figlia, Cleopatra, la quale sposò Meleagro figlio di Eneo. Per questo motivo Ida e Linceo fecero parte del gruppo dei cacciatori caledoni, una memorabile battuta di caccia al cinghiale organizzata da Oineo di Calidone, essendo legati in parentela al re, per via del matrimonio di Cleopatra. I due fratelli parteciparono anche alla spedizione degli Argonauti, a fianco di Giasone. Ida ebbe una parte speciale a due imprese nel corso del viaggio. Durante uno scalo presso i Mariandini, il veggente Idmone fu attaccato e ucciso da un cinghiale inferocito che stava in agguato sulle rive del fiume Lico, Ida accorse in aiuto del compagno e impalò l’animale sulla sua lancia. Poi stava per impadronirsi del trono di Misia, ma il re Teutra chiese aiuto a Telefo, figlio di Eracle, da poco giunto in Misia accompagnato da Partenopeo; Telefo sconfisse Ida in duello. Ida fu insieme col fratello Linceo in lotta contro i Dioscuri, sia per il rapimento delle Leucippidi, sia per il possesso di buoi, che i Dioscuri volevano sottrarre agli Afaretidi. Ora, le figlie di Leucippo, le Leucippidi, e cioè Febe, una sacerdotessa di Atena, e Ilaria, una sacerdotessa di Artemide, furono promesse in spose ai loro cugini Ida e Linceo; ma Castore e Polluce le rapirono ed ebbero da esse dei figli, dando origine a un’aspra rivalità tra le due coppie di gemelli. L’altro episodio della lotta si ricollega alla razzia del bestiame in Arcadia. Un giorno, dopo la morte di Afareo, gli Afaretidi si rappacificarono temporaneamente con i Dioscuri e tutti e quattro unirono le loro forze per razziare del bestiame in Arcadia. L’impresa fu coronata da successo e a Ida toccò il compito di dividere in bottino. Egli distribuì a ciascuno un quarto di bue e stabilì che il primo che avesse divorato la sua parte avrebbe scelto le bestie migliori, e così via, in ordine decrescente di rapidità. Ida fu il primo a divorare la sua parte di bue e mangiò, ininterrottamente, quella del fratello e insieme spinsero il bestiame verso Messene; poi si recarono sul monte Taigeto per sacrificare a Poseidone. I Dioscuri, scontenti, attaccarono la Messenia, paese dei loro cugini, si impadronirono del bestiame conteso e di altri capi, e si nascosero nell’incavo di una vecchia quercia per attendere il ritorno dei loro rivali. Linceo li aveva scorti dalla vetta del Taigeto e Ida, precipitatosi giù dalla montagna, scagliò la sua lancia contro l’albero e trafisse Castore. Polluce uscì fuori dalla quercia per vendicare il fratello, e riuscì a uccidere Linceo con la sua lancia, ma Ida strappò dal sepolcro di Afareo la pietra tombale, gliela scagliò addosso e lo abbatte a terra privo di sensi. A questo punto Zeus intervenne in favore di suo figlio e colpì Ida con una folgore. Igino invece racconta che Castore uccise Linceo e che Ida, stravolto dal dolore, interruppe la lotta per seppellirlo. Castore allora si avvicinò con fare insolente e distrusse il monumento eretto da Ida, dicendo che Linceo non ne era degno perché si era battuto come una donna. Ida si volse e affondò la spada nel ventre di Castore, ma Polluce vendicò immediatamente il suo gemello. Da questo episodio di Linceo nel Medioevo veniva attribuita alla Lince con i suoi occhi penetranti, a metà tra il giallo e il verde, una vista che poteva trapassare le pietre. Una vista, quella della lince, paragonabile a Linceo, che, secondo i racconti mitologici, era in grado di scrutare oltre i muri, ecco l’origine del modo di dire avere l’occhio di lince.
Favria, 7.09.2019 Giorgio Cortese

Nella vita nessun essere umano diviene leader fino quando la sua nomina non viene ratificata nel cuore e nella mente di chi ha vicino a se!

Spesso…
Spesso sento dire: “Se nascessi un’altra volta, allora sì che cambierei tutto”. Frasi di questo tipo, lasciano capire quanto facilmente ci arrendiamo a vivere una vita che non è quella che avevamo sognato. Sento di poterti dire una cosa: “Non c’è una prossima vita! C’è solo questa! E’ questa la tua prossima vita! Fai di questa vita, la tua prossima vita felice!”
Favria, 8.09.2019 Giorgio Cortese

Personalmente provo pena per quei ipocriti farlocchi che ogni giorno fanno finta di sorridermi.

Aiuto, siamo sommersi dalla plastica!
Nel 1963 viene assegnato alla ricerca scientifica italiana il Nobel per la chimica a Giuseppe Natta che con l’amico Karl Ziegler avevano scoperto il Moplen. Moplen Il nome della plastica ottenuta dal propilene grazie agli speciali catalizzatori di Natta e Ziegler. Oggi le materie plastiche ottenute dalla lavorazione del petrolio e degli oli pesanti sono componenti dominanti dell’economia moderna, le troviamo negli imballaggi e in molti oggetti di uso quotidiano. Il successo di questi materiali è semplice, sono economici, una buona resistenza meccanica, chimica e termica e facili da lavorare per soddisfare le più svariate esigenze. Oggi la plastica è ovunque, soprattutto dove non dovrebbe essere: nei mari, nei parchi, sulle spiagge, o nelle discariche quando non viene riciclata. Il suo uso pervasivo condiziona il comportamento umano, determinando la situazione che abbiamo sotto gli occhi, la terra il nostro pianeta blu e plastificato da sacchetti, imballaggi, serbatoi, vasche, secchi, tubi di carico, di scarico, flaconi, prodotti medicali, bottiglie, giocattoli, prodotti monouso, stoviglie, pellicole trasparenti per il cibo e l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Per via della loro composizione chimica le plastiche non sono biodegradabili e qui nasce il problema del processo di recupero del materiale plastico per riciclaggio o stoccaggio in discarica. La termo distruzione non è praticabile perché produce la velenosa diossina. Il processo di smaltimento è costoso ed è lunghissimo e prima di riuscire a produrre una plastica del tutto biodegradabile e di vedere all’opera l’enzima del batterio mangia plastica, già individuate nelle discariche in Giappone, è bene iniziare un’opera di educazione non solo alla raccolta, ma anche il consumo delle plastiche che impieghiamo per i danni che provoca alla salute del pianeta. Oggi l’ecosistema marino è quello più seriamente danneggiato, anche se noi vediamo i rifiuti lasciati lungo le strade. Ma è nel mare che che si accumula plastica monouso di tipo e il conglomerarsi di enormi zattere di di plastica che sono un veicolo di trasporto per animali e vegetali alieni che compaiono i mari dove non sono mai stati prima registrati, modificando la composizione della fauna e della flora e anche dell’alimentazione umana. Molti animali, pesci, assumono delle micro sostanze plastiche dell’organismo che poi arriva fino alla nostra alimentazione umana. La plastica si disgrega in piccolissimi frammenti detti micro o nano plastiche. Residui di plastica sono stati trovati addirittura nel miele, ne sono stati trovati frammenti anche nello zucchero, nel sale, e nella birra e pare che il 94% dei volatili deceduti in Cina è stata trovata della plastica nel sistema digerente. Un rischio per la salute umana poiché abbiamo scarse conoscenze sulle concentrazioni delle plastiche che possono essere dannose agli organismi di animali che mangiamo. Poiché non è chiaro in che quantità stiamo assimilando e quali siano i rischi penso che ci dobbiamo preoccupare molto di più perché non ne conosciamo le conseguenze. Non sappiamo quale conseguenza avranno l’assunzione a medio lungo termine le sostanze plastiche. Manca una cultura dell’utilizzo dell’impiego corretto della plastica del suo smaltimento è un’informazione per un uso limitato. Sarebbe giusto forse seguire il consiglio leonardesco : “ Chi teme i pericoli non perisce per quelli,” non solo per onorare il centenario del genio ma per doverosa precauzione!
Favria, 9.09.2019 Giorgio Cortese

Nella vita se la felicità ci rende dolci, i tentativi ci mantengono forti, le frasi ci rendono più umani, le cadute ci rendono umili, ma solo il successo ci rende brillanti!
giorgio