Robinson Crusoe. – I volti. – La storia insegna! – Sotto la mascherina! – Avejne gent me niet! – 1973, Austerity! – Il sambuco…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Robinson Crusoe.
In questi mesi di clausura non potevo non rileggere Robinson Crusoe, la storia di un marinaio naufragato in una piccola e deserta isola, tra le mille difficoltà, persino l’incontro con una tribù di cannibali dove salva Venerdì. E poi alla fine delle sue peripezie, subito riprese, dopo il naufragio, dando il meglio di sé. Questo romanzo di Daniel Defoe è una grande metafora della lotta che stiamo oggi ingaggiando. Robinson Crusoe è il libro di chi è riuscito a sopravvivere o di chi ha ancora le forze per lottare ed è lì, nel pieno del combattimento. Ma è anche il libro di chi è stato sconfitto, di chi ha perso la sua battaglia nella competizione, perché incoraggia e aiuta a capire dove ritrovare le forze per ripartire. In fondo, si riparte sempre da se stessi, dal desiderio di costruire, di fare, di realizzarsi, di riscattarsi Ma anche dalla coscienza che c’è, ci deve essere, un destino positivo per la propria vita. E si può ripartire anche da una compagnia, che giunge spesso imprevista nella vita. Come con il selvaggio Venerdì, nella vita di Robinson Crusoe. Oggi la differenza è poca tra gli uni e gli altri, tra chi ce l’ha fatta e chi è stato sopraffatto, perché anche chi ha retto bene ieri e oggi dovrà combattere ancora a lungo per la sopravvivenza. E chi ha perso, chi ha fallito, può ricominciare. Un libro, allora, che dà coraggio a chi, come un pugile, ha dovuto imparare a tenere alta la guardia e ad attaccare. E a chi, dopo aver subito il knock-out, sente il bisogno di tornare presto in palestra per preparare il nuovo match. Mi ha colpito il quarto capitolo di Robinson Crusoe, qui l’autore fa dire così al protagonista: “Non sarebbe servito a nulla stare a sedere, aspettando quello che non potevo avere e la necessità mi aguzzò l’ingegno”. Robinson è appena scampato alla morte, travolto da onde terribili che hanno ucciso i suoi compagni di navigazione. Lui solo si salva, l’euforia lo ha sopraffatto, ma qualche istante dopo, è già al lavoro. E’ la descrizione di quanto è oggi sotto i nostri occhi: da una parte, tantissimi travolti dalle onde del Coronavirus, ma dobbiamo essere come Crusoe, con una voglia di vivere incredibile di ripartire. Oggi come novelli Robinson dobbiamo puntare su noi stessi e sulle nostre cognizioni, dando il meglio di noi stessi per ripartire tutti insieme dopo l’esperienza del recente naufragio da pandemia. E’ un bellissimo romanzo, l’autore fa vivere il protagonista su un’isola deserta, da solo, per 25 anni, e per altri tre in compagnia di un’unica persona, il “selvaggio” Venerdì. Leggendolo nella clausura di casa mi immaginavo di trovarmi scaraventato dal mare sulla spiaggia di un’isola deserta e sconosciuta e lì rimanerci. E capire di dover ricominciare tutto da zero. E’ sicuramente difficile entrare nei panni dell’esistenza di Robinson per noi che siamo stati liberati da certe fatiche basilari per la sopravvivenza, ma la parola fatica, tante volte pronunciata da Robinson Crusoe e tante volte descritta da Defoe con immagini cariche di dettagli, è quella che oggi per ripartire dobbiamo fare nostra, per fare ripartire la nave Italia. In questa nave abbiamo bisogno di tutti per riprendere a navigare.
Favria, 27.05.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno cerchiamo di vivere la vita con leggerezza, gratitudine e amore. Tutto sarà diverso: più gratificante, più facile, più bello.

I volti.
Un sabato mattina sono a fare la spesa, davanti al negozio alimentare noto una lunga fila, ed osservo passando i volti delle persone nascosti parzialmente dalla mascherine. Penso ai volti delle persone, che cambiano di continuo, dalle infinite sfumature ed espressioni, anche se parzialmente nascoste. Rifletto che i volti e gli sguardi degli occhi sono unici, non uno uguale dall’altro. E mentre li osservo mi domando, a che cosa pensano, sono felici, pensierosi o malinconici! Che lavoro fanno nella vita, hanno una famiglia e dei figli? O sono persone solitarie e schive! Sono soddisfatti della loro vita o hanno dei sogni che vogliono realizzare? In questo refolo di pensieri mi viene in mente quanto avevo letto di Lèvinas, uno dei maggiori filosi del Novecento: “Nel semplice incontro tra un essere umano ed un altro si scopre nel volto dei nostri simili si scopre che il mondo è nostro nella misura in cui possiamo condividerlo con l’altro”, una partita che si gioca nella prossimità del mio sguardo. Certo oggi la tecnologia ha cambiato i nostri umani volti, a computer si modificano i volti nelle infinite modifiche digitali, quasi annullandoli, trasformandolo piatto e virtuale. Speriamo di non perdere la nostra umanità!
Favria, 28.05.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno certe mete sembrano impossibili finché non vengono raggiunte

La storia insegna!
Nel corso del XIV secolo la Cina, all’epoca era la più sviluppata società del pianeta, ma visse una crisi sociale talmente grave che faceva credere che stesse arrivando alla fine. Ma, allora riuscì però a trovare, nel suo interno, delle oluzione che ricordano molto l’attuale situazione che viviamo, con soluzione che sono di una attualità sconcertante. Facciamo prima un passo indietro, nel segnalare che per circa tre secoli in Cina si verificano condizioni meteorologiche favorevoli, quello che in Europa viene chiamato Optimum climatico medievale, una fase di clima relativamente caldo attraversata anche in Europa nell’Alto Medioevo. La frequente presenza di alte pressioni avrebbero concorso a determinarne la ripresa agricola ed economica, questo periodo avvenne fra il 750 e il 1200 d.C. il nostro continente registrò valori di 1-1,5°C più alti di quelli attuali. Poi agli inizi del 1300, l’abbassamento della temperatura, con le immense alluvioni del 1310-1320 su Gran Bretagna, Francia e Belgio, avrebbe aperto le porte alla cosiddetta Piccola Età Glaciale tra il 1550-1850 d.C. Il peggioramento del clima in Cina con il calo delle temperature, l’alternarsi tra precipitazioni violente e lunghi periodi di siccità divennero la norma. Nel 1306, si registra dalle ormai inabitabili steppe mongole enormi colonne di disperati si riversarono nelle terre del Sud, ancora ricche di risorse. Un disastro umanitario che coinvolse più di tre milioni di persone, secondo i resoconti dell’epoca. Da allora la situazione divenne sempre più grave con la comparsa della peste nera che alcuni anni dopo raggiuse l’Occidente. La Cina allora era governata dalla dinastia di origine mongola Yuan, che di fronte ad una crisi imprevista e di enorme portata seguì il modello confuciano, mettendo in atto un gigantesco sistema di sussidi per la popolazione, erogando in grandi quantità grano e somme di denaro cartaceo a tutti i bisognosi. Da quanto si apprende dai precisi resoconti dei funzionari imperiali, questo sistema di aiuto in cibo e denaro divenne cronico ed in alcuni anni, come nel 1329, toccò anche il 20-30% del budget statale. Insomma un aumento delle uscite alla lunga impossibile da sostenere, senza che ci fossero altre politiche. I governanti Yuan come unica risorsa stampavano sempre di più cartamoneta, un sistema che oggi viene definito helicopter money, gettare denaro dall’elicottero. Quello che oggi la Fed americana pratica adesso con massicci sussidi. Allora in Cina, questa politica portò ad una svalutazione incontrollabile e un forte aumento della pressione fiscale. La società Cine del tempo correva sull’orlo de baratro con una crisi ambientale e socio economiche andavano a braccetto, con rivolte nel paese, che minavano l’autorità dell’imperatore, considerato emanazione del Cielo. L’imperatore non godeva più del suo favore né di quello popolare e il popolo considerava la dinastia mongola incapace a risolvere i problemi. Ed ecco che avvenne il cambiamento che fu sanguinoso con l’avvento della dinastia Ming cinese, che non è il personaggio cattivo del fumetto di Flash Gordon. I nuovi governanti Ming pur in mezzo a strascichi di sollevazioni popolari e minacce esterne si resero conto che il sistema redistribuire a tutti a pioggia alla fine aveva reso il potere dello Stato nel dare benessere lo stato tradizionale a pioggia alla lunga diveniva dannoso per tutti. Preso allora la decisione storica di fare scelte di ampio respiro, investire in grandi opere pubbliche, se volete un tipo di New Deal, riattivando nell’impero una solida struttura che garantisse la difesa dai nemici esterni, la sistemazione dei trasporti fluviali, dissestati dalle varie calamità naturali e dell’incuria umana. Iniziarono allora con l’impiego di milioni di persone per grandi opere, come la grande muraglia e le sue 25.000 torri in mattoni. La costruzione della Città Proibita, per la quale furono impiegati 200 mila operaie la costruzione di innumerevoli dighe per rimettere il fiume Giallo ricondotto alla sua funzionalità e rimettendo in sesto il corso del Gran Canale, collegamento artificiale essenziale per i trasporti, che univa Sud e Nord del Paese. Con questa serie di infrastrutture riuscirono a rimettere in sesto l’impero celeste che fu ancora a lungo la prima potenza mondiale. Purtroppo chi non conosce la storia è condannato a ripeterla.
Favria, 29.05.2020 Giorgio Cortese

La mattina, quando ti svegli, ricorda sempre che tu sei la persona più importante della tua vita. Abbine cura.

Sotto la mascherina!
Quando esco di casa incontro persone con la mascherina, ed anche io la indosso in ossequio al recente decreto per mettere in sicurezza me stesso e gli altri. Il vedere e vedermi con la mascherina ha fatto nascere questa piccola riflessione, riprendendo il pensiero di Pirandello che c’è una maschera quando sono in casa, una per la società ed una per il lavoro, ed adesso anche fisica, insomma anche se il corononavirus o meglio il morbo cinese, dato che è nato in quei lidi lontani ha da una parte livellato il nostro apparire mettendoci tutti dietro una mascherina ma rendendo evidente che poi tanto liberi non siamo, perché rinunciamo anche obtorto collo alla nostra personale libertà per lottare uniti contro il morbo. Questa pandemia mi sembra un surreale teatro, quasi fossimo dei pupazzi, dove un puparo invisibile, chiamatelo disegno di Dio se credenti, cinico destino se agnostici, ci assegna una parte, un ruolo in quel teatro della vita che è l’esistenza. Badate bene il copione non è fisso ma, sta a noi interpretare ogni istante, ogni problema in una immensa occasione, perché nella vita ogni difficoltà in fondo è una possibilità di cambiare il copione scritto. In questo teatro della vita possiamo mutare le parti, i ruoli ed i rituali quotidiani a seconda della “scenografia sociale” nella quale ci muoviamo, ma anche un significativo conflitto con ciò che sta sotto la maschera. Ogni giorno ciascuno di noi, chi più chi meno si sforza di produrre certe impressioni sostenendo un certo ruolo, per suscitare negli altri un atteggiamento favorevole nei suoi confronti. Tutto questo per salvare la faccia, cioè di garantire che la sua identità venga presa sul serio. Ma ogni giorno vi è anche il retroscena nella personale sfera privata, i momenti di rilassamento, quello che io chiamo ozio. Ma non l’ozio come riempitivo e spreco tempo di pigrizia immobile o di fugace di divertimento evasivo. Per me l’ozio come dice l’origine della parola dal latino otium, da autium derivato da aveo, sto bene. Ecco l’ozio è inteso come quello dell’antica Roma, quello di dedicare del tempo nello scrivere ad esempio questa riflessione che esula dal mio quotidiano lavoro, dove mi rilasso nella lettura e mi preparo per le quotidiane e nuove performance.
Favria, 30.05.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno viviamo per creare momenti indimenticabili.

Avejne gent me niet!
Averne di donatori di sangue, perché donare il sangue può davvero salvare una vita, o anche più vite. Se nessuno donasse molti malati di leucemia morirebbero, così come molte persone dopo gravi incidenti. Il sangue può anche servire durante o dopo un’operazione di qualsiasi tipo a discrezione del medico. Venite a donare per Voi stessi, perché siete sottoposti periodicamente a controlli medici e sottoposto a esami di vario genere. Tutto ciò garantisce una buona diagnosi precoce, fondamentale per impedire lo sviluppo di gravi malattie. Di sangue c’ è sempre bisogno e allora averne gente come Voi. W i donatori di sangue del Canavese e delle Valli di Lanzo, averne gente come noi! Donazioni mese di Giugno:
Locana, giovedì, 7 giugno
Bosconero, domenica 7 giugno
Rivarolo lunedì 8 giugno
Feletto, domenica 7 giugno
Valperga, domenica 14 giugno
Varisella – Vallo Torinese, mercoledì 17 giugno
Rivarolo, giovedì 18 giugno
Ozegna, lunedì 22 giugno
Rivarolo, venerdì 26 giugno
Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827
Qui di seguito cellulari dei referenti gruppi dove potete prenotarvi
Aglie’ 331-3539783
Barbania / Front _ 347-9033486
Bosconero 011-9889011 e 338-7666088
Cirie’ 340-7037457
Corio 348-7987945
Favria 333-1714827
Feletto 339-1417632
Forno Canavese _ 338-8946068
Levone 340-0675250
Locana 349-6623516
Lombardore / Rivarossa 333-3310893
Montanaro 377-7080944
Ozegna 339-3921510
Pont 333-8937412
Rivara 339-6339884
Rivarolo Canavese 348-9308675 e 347-4127317
San Giusto Canavese 377-1213021
Valperga / Salassa / Pertusio 347-5821598
Varisella / Vallo 333-9584743

1973, Austerity!
In queste lunghe d interminabili settimane del tempo scandito dalla clausura per il Coronavirus, mettendo in ordine, parola grossa, vecchi articoli di giornale di mio suocero per cercare una storia locale da roccantare mi sono imbattuto in fatti che avvennero nel 1973 con la crisi petrolifera nata dopo la guerra arabo-isreaeliana, detta del Kippur, veloce spettacolare con continui ribaltamenti di fronte e vittoria israeliana su tre fronti quasi contemporaneamente. Riflettevo seduto comodo nel divano, pensando a quella guerra e lla successiva Austerity e a quanti eventi si sono verificati sul suolo del Patrio Stivale, terremoti, alluvioni, frane, eruzione vulcaniche e crolli di ponti, insomma nel corso del tempo non ci siamo mai fatti mancare niente. Ma questa ultima emergenza generata dalla pandemia Corona virus ha fatto riaffiorare nella mia memoria, complice il ritaglio di giornale, eventi vissuti da ragazzo, frequentavo allora le superiori e ricordo il clima surreale di quei anni, le strade deserte, viaggiavano le auto con targhe alterne e si girava in bicicletta o si andava a piedi fino ai paesi vicini senza curarmi del traffico praticamente inesistente. Mi ricordo la quiete di allora e le lunghe code che vedevo ai distributori di benzina per mettere qualche litro nel serbatoio, io allora minorenne non avevo neanche quel problema, ma ricordo bene le domeniche deserte e surreali. Mi ricordo degli “esperti” di allora, ogni lustro ha i suoi esperti che non ne imbroccano una, dicevano che stavamo riscoprendo l’importanza di alcuni aspetti della vita quotidiana, i giornali scrivevano allora che avevamo riscoperto sane abitudini che sembravano dimenticate, niente traffico, aria pulita, bici e foto curiose di cavalli per le grandi città e poi la scoperta del silenzio. Un vuoto sonoro che ci disorienta e al tempo stesso ci ammalia. Il silenzio mi ricorda la pubblicità di una pasta dove per 30 secondi i protagonisti mangiavano un bel piatto di pastasciutta, alla fine dello spot una voce fuori campo diceva: “ silenzio parla….” E tutti noi catturati dalla melodia del silenzio venivamo catturati dal messaggio. Tornando al 1973 durante l’Austerity si diceva cosi quel gramo periodo, negli Stati Uniti dove il consumo del petrolio era maggiore che da noi nel 1979 il presidente Carter fece installare pannelli solari sul tetto della casa bianca e promosse incentivi sulle energie rinnovabili, sembrava l’inizio di una nuova era e adesso staremmo meglio tutti noi, poi nel 1981 arrivò Regan con le guerre stellari con L’URSS , fece togliere i pannelli e gli incentivi e il resto della storia è come siamo finiti adesso, con la Terra allo stremo, ed il serio rischio di autodistruggerci. Questa epidemia è una formidabile occasione per cambiare e sta a noi dare la svolta per davvero se no tra cinquanta anni, altri adolescenti di adesso narreranno di nuovo cosa ho scritto io adesso ed il mondo, se ci sarà sempre più peggiore per tutti quello che lo abiteranno.
Favria, 31.05.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana il rispetto e la fiducia sono i valori più sacri che, in un rapporto d’amicizia non dovrebbe mai essere tradito. Viviamo in un Paese libero con libertà di pensiero e di parola, ma esiste anche la libertà di non condividere tutto con tutti. Abbiatene rispetto.

Il sambuco.
Esistono circa venti specie di Sambuco, nelle zone temperate dei vari continenti, molti suoi fusti, che spuntano dal terreno, crescono eretti poi si inarcano curvandosi verso terra, conferendo all’arbusto l’aspetto caratteristico “a doccia”, che lo rende facilmente distinguibile anche durante il periodo invernale. È un arbusto frequente lungo le siepi, nei fossi, nei giardini di campagna. Cresce in tutt’Italia, fino alla zona montana. Era già conosciuto dai popoli preistorici, i quali probabilmente preparavano, con le sue drupe, robuste bevande fermentate o tinture per tessuti, come testimoniano i grandi ammassi di semi trovati durante scavi archeologici, a testimonianza di insediamenti Neolitici in Italia e Svizzera. Al Sambuco venivano attribuite anche proprietà magiche, capaci di proteggere dagli spiriti maligni. Infatti, un arbusto di Sambuco non doveva mai essere tagliato con cattiveria o la sua legna bruciata, per evitare che si sprigionassero le forze maligne assorbite dalla pianta. I Druidi, maghi erboristi celti, ricavavano dal Sambuco le proprie bacchette magiche. Era considerato propiziatorio per gli sposi e le donne incinte. Il sambuco nella tradizione cristiana veniva usato nei riti funerari, come viatico per il viaggio verso l’aldilà; nella tradizione pagana, invece, la si riteneva protettrice della casa e del bestiame. In Germania anticamente era denominato “l’albero di Holda”. Holda era una fata del folklore germanico medievale, dai lunghi capelli d’oro, che abitava nei sambuchi situati vicino a laghi e corsi d’acqua. Talvolta Holda poteva apparire come una vecchia strega e in Inghilterra si sosteneva addirittura che il Sambuco non fosse un arbusto qualsiasi, ma addirittura una fattucchiera con le sembianze di una pianta. Tuttavia, nei suoi riguardi prevalevano le credenze positive, che ne esaltavano le proprietà magiche e benefiche, tanto che fino all’inizio del secolo ventesimo, i contadini tedeschi, quando incontravano un sambuco lungo il loro cammino, i levavano il cappello, come segno di grande rispetto. Era sempre presente vicino a monasteri e abitazioni, perché si diceva proteggesse da malvagità. Le sue doti erano talmente conosciute che il famoso flauto magico delle leggende germaniche non era altro che un ramoscello di sambuco, svuotato del suo midollo. Per esprimere i suoi poteri eccezionali doveva però essere tagliato in un luogo dove non fosse possibile udire il canto del gallo. Si riteneva che questa pianta proteggesse anche dal morso dei serpenti e che il suono di un flauto, ricavato da un ramo di Sambuco, potesse vanificare sortilegi, come nel “Flauto Magico” di Mozart. Nel calendario celtico, questo albero, rappresentava il tredicesimo mese lunare: il tredici, secondo la loro mitologia arborea, significava passaggio, rigenerazione, rinnovamento. Al contrario, in altre culture, si credeva che annusare i suoi fiori avrebbe causato malesseri o, addirittura, morte. In Austria il Sambuco viene definito ancora oggi “la farmacia degli dei”, perché la tradizione lo riteneva benefico in tutte le sue parti e portatore di sette doni officinali: fiori, frutti, radici, midollo, legno, germogli, corteccia. Per questo motivo, prima di raccogliere qualcosa da questo albero, occorreva inchinarsi davanti a lui per sette volte. In Danimarca era considerato protettore delle case, in Svezia favorevole alle donne incinte, in Russia ostile agli spiriti cattivi ed in Sicilia ai serpenti. Secondo Plinio, la flessibilità dei suoi rami lo rendeva adatto alla fabbricazione di scudi, perché offriva una buona resistenza al passaggio delle lame di ferro, rinsaldandosi subito dopo essere stato squarciato. Il sambuco, infine, compare anche nel cinema, le dolci vecchiette assassine di “Arsenico e vecchi merletti” avvelenano le loro vittime con un casalingo vino di Sambuco e, poi nella letteratura: Giovanni Verga, nella novella “La cavalleria rusticana”, lo nomina raccontando: “….Così, verso il tramonto quando il pastore si metteva a suonare collo zufolo di Sambuco, la cavalla mora si accostava masticando il trifoglio…” .
Favria,

Il successo è la somma di piccoli sforzi, ripetuti giorno dopo giorno.
giorgio