Rispetto, riconoscenza, ringraziare. – Messer cardo! – La spensierata incoerenza! – L’importanza del bue nell’alfabeto! – Lo sguardo della notte. – Il viaggio di Corinna…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Rispetto, riconoscenza, ringraziare.
Tanto tempo fa viveva in un paese Canavesano una famiglia composta da papà, mamma e due figli, la figlia adolescente ed il figlio un bambino vispo sempre con l’argento vivo. Un giorno i genitori si assentarono di prima mattina per andare al mercato settimanale in un paese vicino per vendere i prodotti che con passione e dedizione avevano coltivato nella campagna. La ragazza venne incaricata di vegliare il fratello, ma lei, presa dal gioco si dimenticò per parecchie ore del fratellino e quando arrivò davanti a casa non trovò più suo fratellino, ma intravide uno storno di corvi che gracchiavano rumorosamente volando sopra il bosco vicino. La bambina presa da una intuizione gli corse dietro e si fermò nella sua corsa vicino a quei forni comuni che si usavano una volta nelle campagne per fare cuocere il pane a più famiglie. La ragazza chiese al fornil, cosi si chiama il luogo dove si cuoceva il pane se sapeva dove erano volati i corvi. Il fornil gli rispose che avrebbe dato informazione se prima assaggiava il suo pane di segale cotto nel forno, la ragazza sdegnosamente rifiutò dicendo che non mangiava il pane di segale, poi chiese alla vicina pala del forno, anfurnòjra, la stessa domanda. L’anfurnòjra gli disse dove andavano i corvi se mangiava delle paste ‘d melia, paste di meliga. La ragazza boriosamente rispose che erano dolci con una friabilità intensa e non le voleva. La ragazza continuò a cercare suo fratello minore si inoltrò sempre più nel bosco, quando arrivò ai bordi di un bialòt, un rigagnolo d’acqua limpida che nasceva da una sorgente li vicina, la ragazza anche qui chiese notizie di dove andavano i corvi ed il bialòt disse che gli dava una informazione se prima beveva un sorso delle sue fresche e limpide acque, la ragazza altezzosamente disse che non beveva da un rigagnolo così misero, la stessa risposta di diniego diede al melo che prima di rispondere la invitò a mangiare dei sui frutti selvatici. Poi incontro un riccio e avendo paura dei sui aculei, chiese gentilmente se sapeva dove erano diretti corvi nel bosco. Il riccio l’accompagnò ai bordi di una radura dove suo fratello giocava sotto le fronde di una grande quercia sorvegliato dall’alto dai corvi. La ragazza corse e prendere in braccio il fratello e poi iniziò a correre verso casa inseguita dai corvi. Una volta giunta vicino al mela, pregò la pianta di proteggerla dai corvi ormai vicini ed il melo la nascose sotto i suoi rami, poi passati i corvi riprese a correre. Giunta sul corso del bialot, prego il piccolo fiume di nasconderli ed accettò di bere un sorso della sua acqua. Ma i corvi la inseguivano da vicino e,allora giunse al forno, era ormai vicina a casa e pregò il fornil, forno e alla vicina pala del forno, l’anfurnòjra, di aiutare lei e suo fratello. Il fornel li nascose nel suo vano e lei mangiò paste ‘d melia, ed il pane di segale provando gioia nell’animo per il dono ricevuto, mentre l’anfurnòjra, la pala del forno, li fuori scacciava via i corvi. Tornati a casa sana e salva con il fratello provò per la prima volta un sincero sentimento di gratitudine per tutti quelli che l’avevano aiutata e offerto quello che avevano. Nella vita quando accettiamo un regalo fatto con amore pensiamo sempre che è un gesto di felicità che arricchisce chi dona e chi lo riceve. E abbiamo successo solo se rispettiamo ogni forma di vita, crescere nella vita vuole dire la nostra presenza sulla Terra deve essere in armonia con gli altri esseri viventi e anche con l’ambiente che ci circonda.
Favria, 11.12.2019 Giorgio Cortese

Buon Natale per ogni regalo che sperate di trovare sotto l’albero, per ogni sorriso che Vi farà star bene, per ogni abbraccio che Vi scalderà il cuore… Auguri.

Messer cardo!
Il cardo non è un ortaggio molto amato, la sua spinosità già richiamata nell’etimologia, greca, poi riformulata in “cardum” dai romani, assieme alla consistenza dura e al sapore piuttosto amaro hanno reso difficile renderlo noto fuori dai confini, prettamente regionali, di appassionati estimatori. Eppure, il cardo è stato recentemente riscoperto e ricercato in cucina, soprattutto se addolcito nei suoi tratti con una coltivazione, detta imbiancamento, che avviene lontana dall’esposizione solare, sotto sotto il terreno, fino al momento della raccolta. Già nel ‘700 viene citato nella più classica ricetta piemontese, la bagna cauda, o caoda, piatto simbolo della gastronomia del Piemonte. Nel corso dei secoli le coltivazioni di cardi hanno aiutato i poveri contadini a sopravvivere quando il carciofo spopolava in Europa e arricchiva le tavole dei nobili. Le prime tracce del cardo sono state rinvenute in Etiopia e successivamente anche nei corredi funebri conservati nelle tombe egizie. Gli antichi Romani lo ritenevano un ortaggio pregiato e varie leggende associano questo ortaggio al pastore siciliano Dafne, alla cui morte, grazie all’intervento di Pan e Diana, la Terra, piena di dolore, fece nascere una pianta piena di spine, il “cardo” appunto. Tra gli antichi Germani il cardo era associato al dio Thor, dio della guerra e dei fulmini. Fin dai tempi antichissimi germogli e semi di cardo servivano poi per produrre il caglio dei formaggi, ma solo nel ‘500 si hanno le prime testimonianze della sua presenza in cucina. Curiosa è la storia che ha portato il cardo ad essere simbolo della Scozia e della sua squadra di rugby. Già nel 1470 l’effige del cardo appare su alcune monete d’argento emesse durante il regno di Giacomo III e, a partire dagli inizi del XVI secolo fu incorporato nello stemma reale della Scozia, e questo perché, secondo la leggenda narra che, intorno all’anno mille, un gruppo di guerrieri scozzesi fu sorpreso nel cuore della notte dai vichinghi i quali si tolsero gli stivali per non fare rumore, ma uno di loro mise un piede nudo sopra un cardo selvatico e gli scozzesi, risvegliatisi per l’urlo di dolore del guerriero norvegese, riuscirono a organizzare un contrattacco. Il cardo salvò gli scozzesi che, in segno di ringraziamento, lo chiamarono Guardian Thistle (cardo protettore) e venne adottato come simbolo della Scozia. Non esiste alcuna testimonianza storica che sostenga questa leggenda, ma qualunque siano le sue origini, il cardo è uno dei più importanti simboli scozzesi da più di 500 anni. In Abruzzo viene mangiato in un brodo tipico nel periodo natalizio, c’è chi lo mangia sulla pizza come parmigiana o chi preferisce prepararci sfiziose insalate. Il nome marianum del Cardo è legato alla leggenda secondo la quale sulle sue foglie caddero gocce del latte della Madonna, mentre nascondeva il bambino Gesù, durante la fuga in Egitto. Il cardo è anche detto carciofo selvatico, caglio, cardo spinoso. Si narra che le antiche popolazioni italiche conobbero l’uso del Cardo mariano, imparando dagli animali, infatti tutt’oggi talpe, istrici e cinghiali ne mangiano le radici. Tra le molte varietà di cardo, Vi ricordo il cardo di Bologna senza spine, il piemontese cardo di Chieri, il pregiato cardo di Tours, il cardo gigante di Romagna, il cardo triste, con i fori rosso scuro, il cardo alato delle zone umide.
Favria, 12.12.2019 Giorgio Cortese

Che sotto l’albero possiate trovare la felicità, che sia in un regalo o in chi vi sta intorno.

La spensierata incoerenza!
Secondo l’imperatore filosofo Marco Aurelio: “Il cambiare opinione e il dare ascolto a chi ti corregge è certamente un comportamento da uomo libero.” Nella vita quotidiana incontriamo persone scostanti, pronte a cambiare idea e partito a seconda delle situazioni e molto spesso della convenienza. Insomma delle banderuole segnavento, si proprio quelle che si usava porre sopra le case o i campanili delle chiese per indicare la direzione del vento. Oggi purtroppo vedo sempre più persone pronte a cambiare casacca per opportunismo o per vantaggio personale. Saltare sul cocchio del vincitore è uno sport praticato da sempre, così come lo è il seguire l’onda dominante per pigrizia o per maggior comodità. Lo scrittore tedesco Heinrich Heine scriveva in un suo libro: “La banderuola sulla guglia del campanile, benché di ferro, sarebbe presto rotta dalla tempesta se non conoscesse la nobile arte di girare a ogni vento”. Si piegano forse per non spezzarsi? Forse è una scusa troppo facile, adottata da tutti coloro che, sono delle vuote canne agitate dal vento. Il grande Shakespeare nell’Enrico V faceva pronunciare ad uno dei protagonisti: “Guardate: io soffio su questa piuma per allontanarla dal mio viso, ma l’aria poi la sospinge di nuovo verso di me. Essa obbedisce al mio fiato quando vi soffio sopra; cede, invece, a un’altra forza quand’è quest’ultima a soffiare: insomma, essa è sempre governata da quel vento che spira più robusto. Tale è la leggerezza degli uomini del popolo.” Che tristezza quando certe persone per fare carriera in politica basano il tutto su l’opportunismo, l’incoerenza, l’incostanza, usandola sempre come dominante azione quotidiana. Oggi nel grigiore generale invito tutte le persone che credono di avere ancora una morale ad essere non più “termometri” ma “termostati”! Coraggio, non adattiamoci al clima generale ma lottiamo per cambiarlo!
Favria, 13.12.2019 Giorgio Cortese

Buon Natale per ogni regalo che vorrai trovare sotto l’albero, per ogni sorriso che ti farà star bene, per ogni abbraccio che ti scalderà il cuore… Auguri.

L’importanza del bue nell’alfabeto!
Se intuitiva è l’etimologia della parola alfabeto che deriva dalle prime due lettere usate nella scrittura, l’A e la B o, in greco, alfa e beta. Anche queste due prime lettere hanno però una loro storia od etimologia. Alfa deriva dall’ideogramma del bovino o aleph. Infatti, l’A maiuscola, come oggi conosciamo, era rappresentata rovesciata, ed in questa posizione è facile ravvisare il muso triangolare del bovino con le due corna rivolte verso l’alto, le “gambe” dell’A. Beta invece deriva dall’ideogramma di beth, che significa casa, che è rappresentata come un rettangolo diviso in due quadrati, due stanzette, rappresentate in pianta. Interessante è il posto assegnato alle prime due lettere dell’alfabeto: prima il bovino ed immediatamente dopo la casa. Adesso è necessaria una doverosa precisazione. Nell’antichità il bovino, con la sua testa, era la ricchezza. Il bovino era importante, pensate al ruolo del bue Api nella cultura egizia. La testa era inoltre la parte più importante e la ricchezza era definita dal numero di teste, o capita, da qui il termine capitale ancora in uso oggi. La casa quadrata, con due locali, non è più la tenda o la capanna circolare dei popoli nomadi, era il simbolo dell’insediamento stabile, quindi della città. Insomma all’inizio dell’alfabeto troviamo il capitale, bovino, e la casa la città. Da qui è nata la scrittura, prima con ideogrammi, come la testa del bue e la rappresentazione della casa, poi trasformati in simboli o lettere. Mentre il nomade, il pastore di pecore e capre, che viveva in capanne circolari di solito s’affidava alla memoria, il cittadino e soprattutto quello ricco, con molti capi di bestiame da contare aveva bisogno d’affidarsi alla scrittura. Ma quello che è singolare che il bovino viene prima della casa, non una semplice coincidenza, perché i bovini allora ed adesso erano e sono importanti nelle culture degli esseri umani e da lì si è sviluppato l’alfabeto che si è poi diffuso, sia pure con varianti grafiche, a tutto il mondo.
Favria, 14.12.2019 Giorgio Cortese

Il nostro Natale più bello è essere i veri portatori dell’amore di Cristo. Buon Natale!

Lo sguardo della notte.
Quando arriva la notte il cuore inizia a raccontare e al calar del sole mi lascio cullare dal silenzio della notte concedendo i miei pensieri alla sola luce delle stelle, così che queste possano guidarmi verso sentieri di pace. La sera ha il respiro lento, si annullano i pensieri e sono in pausa dal mondo, come virgole appese ad un silenzio e poi quando la tenebra diventa più buia, ogni luce brilla più vivida. Da piccolo avevo paura del buio, adesso lo cerco, amo il crepuscolo quando la notte ed il giorno si fondono nel crescendo delle emozioni che serbo nel mio animo. È un silenzio strano il mondo dei suoni che precede la notte, poi quando la notte cala il mio animo vibra, si accorda con l’oscurità come le corde di un violino e inizia a suonare una musica intensa. Penso che poche cose servono nella vita per essere felice, una di queste è poter guardare il cielo stellato per rendermi conto di quanto sono fortunato. Durante la notte la luna ingigantisce tutto, i sogni, la malinconia e perfino i ricordi e le parole svaniscono, tutto si acquieta ed i sogni prendono vita. La notte va sempre oltre gli ostacoli perché crede nei sogni raccoglie i miei desideri, e li fa viaggiare in universo che brilla di fantasie. Nel buio della notte, in ogni stella, dorme un ricordo. Se la notte è meravigliosa è perché stelle e sogni l’adornano. Le stelle non avrebbero motivo di esistere se le notti non fossero buie. Ed io riprendo speranza perché anche nella buia notte la stella più piccola riesce a far luce!
Favria, 15.12.2019 Giorgio Cortese

Un albero addobbato di auguri… e una stella luminosa sul Vostro cammino. Buon Natale.

Il viaggio di Corinna
Uno dei sogni più segreti di Corinna era quello di diventare una statuina viva, altezza massima 15 cm, per riuscire un giorno a percorrere i sentieri del suo presepe che aveva fatto coi nonni. La notte di Natale, Corinna era vicino al presepio, presa ad ammirare il suo capolavoro, il suo presepio, preparato con i nonni. Era alta come le statuine, che non erano immobili ma si muovevano e chiacchieravano. Chiese alla giovane ed instancabile Lavandaia con la rossa fusciacca alla vita, da quale sporco lavava i suoi panni. Lei gli rispose, senza smettere di lavare che nella sua tinozza torna a far brillare le vesti di coloro che hanno smesso di sperare. Nel momento in cui capiscono che vale ancora la pena di lottare, arrivano da lei, carichi di lacrime, che più potenti di qualsivoglia sapone puliscono e donano nuovo colore e vigore a quelli che erano i loro sporchi stracci. Poi Corinna saluta i fratelli Boscaioli, che segano da sempre il Legno della Determinazione con venature di Costanza. Proseguendo nel suo cammino nel Presepio passa sul Ponte del Dolore, pericolante, stretto, tortuoso. Ma è l’unica strada per raggiungere il Villaggio dei Legami che brulica di vita che per il Dolore bisogna sempre passare. Una volta giunta nel piccolo villaggio, quello che da altezza normale vedeva nello sfondo, piccolo, Corinna ha acquistato una fragrante Pagnotta d’Affetto dall’umile fornaio, che ogni giorno impasta con Amore la morbida massa, dedicando il suo operato a tutti coloro che da sempre si vogliono bene. Poi proseguendo lungo la strada verso la grotta passò davanti al saggio Falegname, che con la sua pialla toglie la ruvida corteccia dai tronchi ottusi facendone venir fuori legno plasmabile e affamato di sapere, chiedendo pochi riccioli di quel nobile materiale che lui ha già sapientemente sgrezzato. Trova poi nel suo percorso la bottega dell’anziana Calzolaia, che suola le scarpe degli instancabili viaggiatori che ancora cercano la loro strada, ma ahimè, fanno fatica a trovarla e a volte si demoralizzano. Quella donna ha un dono speciale, guarda negli occhi, sorride con dolcezza, e dopo aver riparato le scarpe mi augura Buon Viaggio infondendomi tanto coraggio. Corinna si avvicina alla grotta del Salvatore, ma…… ecco che Corinna si trova assonata vicino al Presepio forse era un sogno o forse era realtà, chissà!
Favria, 16.12.2019 Giorgio Cortese

È Natale ogni giorno, che ricordiamo di avere un affetto, un amico, una persona squisita. È Natale col cuore, che batte ad ogni respiro. Nella vita siamo ricchi di pianto, avari di sorrisi, ma se abbiamo nell’animo la bontà tutto questo mai e poi mai finirà. Da me a Voi, Buon Natale.Giorgio