Rispettare le leggi, sempre! – Costruttori del Bene Comune! – Liutprando! – 17 gennaio – La Chioma di Berenice. – Felicità nell’animo! – .Liminare l’agguato scarmigliato.- Dittatura del clima…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Rispettare le leggi, sempre!
Leggo sui media la polemica sul decreto sicurezza tra esponenti del Governo da una parte e diversi Sindaci e Conferenza Episcopale Italiana, CEI, che si appellano alla disobbedienza civile per non rispettare tale legge. Premetto che non sono sicuramente un votante di questo Governo ma non è di questo che voglio parlar ma sulle leggi e la loro delegittimazione che portano all’illegalità. Mi sembra assurdo che i locali rappresentanti del Governo, i Sindaci si possano permettere di non applicare le leggi, siano buone oppure come questa che ritengo di non aiuto ai deboli, chiusa ed intollerante. Ma se questa è la legge deve essere applicata. Gli amministratori locali non hanno la facoltà di legiferare ne tanto meno la Cei. La delegittimazione delle leggi è iniziata propeio quando il Ministro dell’Interno era all’opposizione ed invitava i sindaci a disobbedire alle unioni civili! Certo in Italia ci sono migliaia di leggi, decreti e regolamenti con un perverso sistema assurdo che modifica una legge senza però abrogare quella precedente. Questo genera una giungla legislativa nella quale è difficile muoversi ed e per i furbetti è facile cercare e trovare l’inghippo. Questo sistema è contorto ma non per questo non significa che non dobbiamo osservarlo. Troppo facile dire adesso che sono all’opposizione non lo trovo giusto per cui non lo rispetto, mi sembra una politica schizofrenica. La legge va rispettata sempre e comunque! Poi, dato che fino a prova contraria siamo in democrazia possiamo lamentarci, combatterlo e contestarlo, ma la legge dobbiamo sempre rispettarla. Altrimenti siamo all’anarchia dove anche a livello locale vengono fatte le giuste ordinanze contri i botti di Capodanno e poi intanto i soliti furbetti non le rispettano. Andando avanti di questo passo le Istituzioni sono delegittimate e con loro anche i tutori dell’ordine che devono giustamente farle rispettare. Se vogliamo finalmente cambiare il Patrio Stivale, voltare pagina, dobbiamo smettere di domandarci se una legge sia giusta o sbagliata, ma semplicemente osservarla e se non ci piace dare battaglia politica e per dirla con una frase di Cicerone :” Legum servi sumus ut liberi esse possimus, siamo servi delle leggi perché possiamo essere liberi!”
Favria, 14.01.2019 Giorgio Cortese

Non tutte le ciambelle riescono con il buco e non tutti i buchi hanno intorno le ciambelle, quindi ogni errore è relativo e ogni perfezione è puramente soggettiva.

Costruttori del Bene Comune!
Mercoledì 9 gennaio a Favria sono state raccolte 41 sacche, 3 nuovi candidati neo diciottenni e 4 esami, a cui bisogna aggiungere altre due donazioni effettuate nei giorni precedenti da donatori del gruppo alla Banca del Sangue a Torino. Il 2018 si è chiuso molto bene con 347 donatori ed una raccolta di 533.. A fine dicembre è stato eletto il nuovo direttivo con Cortese Giorgio Presidente, vice Presidenti Macri Nicodemi e Varrese Vincenzo. Responsabili Giovani: Zaccaro Morena e Spaducci Antonello. Segreteria: Battuello Livia, Simona Manca, Santina Foresta e Spaducci Antonello. Revisori dei Conti: Benincasa Carmela, Caboni Bartolomeo, Varrese Serafina. Tesorieri: Simona Manca e Spaducci Antonello. Accoglienza: Pretari Franco. Come si vede ogni membro del Direttivo, i Consiglieri hanno un loro ruolo perché cosi tutti assieme con i donatori possiamo essere sempre di più una voce sola e non puro ed inutile rumore, per comunicare a tutti il grande valore del donare il sangue. Una voce che con l’azione concreta del donare il sangue cerca di dare la solidarietà agli esseri umani più indifesi, i malati, con la pratica solidale del dono anonimo, gratuito e volontario per cercare di edificare il Bene Comune!
Favria 15.01.2019 Giorgio Cortese

Non devo mai i ricambiare il male ricevuto, perché chi mi ferisce, lo fa perché è un povero infelice.

Liutprando!
Alzi La mano chi sa chi era Liutprando? Era un re dei Longobardi, re cattolico, costruttore e restauratore di chiese, Liutprando, 712-744, incarna il momento di massima potenza politica del regno longobardo che, sfruttando i gravi contrasti che indebolivano l’Italia bizantina, lacerata dalla controversia iconoclasta, riuscì a estendere i possessi longobardi in Emilia, a prendere per breve tempo Ravenna e spingersi fino alle porte di Roma, ripristinando il controllo sui ducati ribelli di Spoleto e Benevento. Nel 742, a Terni, si riappacificò con il papato restituendo alcuni territori posti ai confini del ducato romano; essendo però riprese le ostilità contro i bizantini dell’esarcato, ricevette papa Zaccaria a Pavia per le trattative di pace, e morì poco dopo la partenza del pontefice. Amico dei franchi, che soccorse in Provenza nella guerra contro le milizie islamiche introdusse una legislazione ispirata ai princìpi cristiani sancendo la definitiva conversione del suo popolo e fece trasportare a Pavia dalla Sardegna, minacciata dai saraceni, le reliquie di Sant’Agostino. Forse qualcuno ricorda il “ piede di Liutprando”. La leggenda racconta che nella prima metà del VII secolo, Liutprando, re dei longobardi, volendo garantire la regolarità delle transazioni commerciali, fissò in tal modo ed in maniera definitiva, la lunghezza di questa nuova unità di misura. E la leggenda racconta ancora che Liutprando prese come riferimento la misura del suo piede, cm. 43,60. L’eredità liutprandea e la memoria che nel corso dei secoli la sua immagine e la cultura longobarda hanno ispirato a uomini di governo, letterati e artisti fino al Novecento.
Favria, 16.01.2019 Giorgio Cortese

Nella vita tutto ciò che è esatto è anche breve!

17 gennaio
In passato, durante la notte degli animali parlanti, i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio. Il 17 gennaio ricorre la festa di Sant’Antonio Abate. Secondo la tradizione e sulla base di antiche leggende, durante la notte di Sant’Antonio Abate agli animali è data la facoltà di parlare. Sant’Antonio Abate, egiziano di nascita e morto nel deserto della Tebaide il 17 gennaio del 357, è considerato un Santo protettore degli animali domestici che di solito viene raffigurato con accanto un maialino che reca al collo una campanella. Questa particolare festa, oltre a ricordare gli animali e la vita del Santo, scandisce anche il tempo tra le semine e i raccolti in agricoltura. A volte i festeggiamenti comprendono una benedizione degli animali in occasione delle celebrazioni in onore del Santo. La benedizione degli animali, in particolare dei maiali, come da iconografia del Santo, ha origine medievale. In alcune zone d’Italia la sera del 17 gennaio si accendono dei falò che simboleggiano la volontà di abbandonare tutto ciò che appartiene ai mesi passati e di rinnovarsi a partire dal primo mese del nuovo anno. I fuochi purificatori possono essere accompagnati da processioni e celebrazioni, soprattutto nelle località d’Italia particolarmente legate alla figura di Sant’Antonio Abate la cui festa, ad esempio, è molto popolare in Abruzzo, dove si svolgono processioni in costumi ottocenteschi. Sant’Antonio Abate in Sardegna è chiamato e venerato come ‘Sant’Antoni de su fogu’, cioè Sant’Antonio del fuoco. Si narra infatti che fu lui a rubare dall’inferno il fuoco e a portarlo sulla terra per donarlo agli uomini. In Sardegna, nelle località che festeggiano il Santo, si accendono dei falò e si prepara un dolce tipico, il pan’e saba. In Toscana, a Grosseto, si festeggia Sant’Antonio con dei falò che rievocano il miracolo che Sant’Antonio avrebbe compiuto secoli fa mettendo in fuga gli invasori stranieri e trasformando le querce in grandi torce.
Favria 17.01.2019 Giorgio Cortese

Il dono della pazienza è molto importante per vivere bene. Più sarò pazienti e meglio accetterà la vita così come è, invece di insistere per cercare di cambiarla. Senza un po’ di pazienza basterà un niente per farmi perdere la rotta.

La Chioma di Berenice.
Passeggiando in una serata invernale dopo cena in una strada assente di luci, ho potuto notare che nel cielo si apre un sipario che con le sue costellazioni che mi racconta storie e miti tramandati da secoli, forse per dirmi che alcune narrazioni sono talmente belle che vanno scolpite nell’infinito universo e non solo nei mortali libri e nella sottile memoria umana. Non c’è nessun biglietto da pagare, basta solo da alzare la testa e godersi lo spettacolo, sperando che il cielo sia sereno come la sera che ho avuto modo di osservale bene. Dando un’occhiata al cielo fermo il mio sguardo sulla costellazione della Chioma di Berenice, costellazione del cielo boreale vicino l’Orsa maggiore, distinguibile ad occhio nudo per una configurazione a forma di “v”, nei pressi del centro dell’arco costituito dalla coda dell’Orsa Maggiore. Questa costellazione fu introdotta dal mitografo greco Conone verso la fine del III secolo a.c in onore di Berenice II d’Egitto moglie di Tolomeo III d’Egitto. La costellazione prende vita da una leggenda che fu narrata dal poeta greco Callimaco, nato intorno al 300 a.c a Cirene, in un poemetto di cui ci sono giunti solo pochi frammenti. Per nostra fortuna il poemetto piacque molto ai romani e ai poeti latini, devoti alla cultura greca, tanto che Catullo lo tradusse e lo inserì tra le sue opere come carme LXVI. Successivamente ebbe una traduzione in volgare italiano da Ugo Foscolo: “…chi scruto’ nell’immenso firmamento e apprese delle stelle ,delle albi ,dei tramonti e come il fiammeggiante lume del sole si scuri e in tempi fissi le costellazioni vengano meno quel conone nel chiarore celeste vide me una ciocca recisa dalla chioma di Berenice…”, traduzione dal poemetto di Calimaco ”La chioma di Berenice”. Ma adesso Vi spego bene il mito che narra di Berenice II, regina d’Egitto vissuta nel III secolo d.c, moglie di Tolomeo III.. questo faraone ellenista, dopo le nozze mosse guerra in Asia Minore e data la pericolosità della missione Berenice, timorosa per la vita del marito, fece voto di tagliarsi i capelli in segno di gratitudine verso gli dei se il marito fosse tornato vivo e vittorioso. Tolomeo tornò vincitore il giorno stesso e Berenice mantenne il suo voto e sacrificò la sua lunga chioma, che era motivo di ammirazione per tutti quanti la conoscessero, deponendola nel tempio della dea Afrodite. Ma il giorno dopo la treccia non c’era più, ci fu un gran vociare e qualcuno disse che era stato un sacerdote del tempio di Serapide, scandalizzato dall’offerta della regina ad una divinità greca. Berenice si sentì profondamente oltraggiata dall’accaduto e suo marito Tolomeo III, preso da una folle rabbia fece chiudere le porte della città setacciandola a fondo, ma senza alcun risultato. A questo punto entrò in scena il saggio ed ammirato Conone di Samo, matematico e astrologo noto anche per l’amicizia con il Siracusano Archimede, che per rimettere pace nel regno e consolare l’oltraggiata regina, ma anche per salvare la vita ai sacerdoti egiziani del tempio, disse a tutti che l’offerta era talmente piaciuta agli dei che avevano deciso di elevare la treccia in cielo e fissarla nel firmamento e a dimostrazione del suo racconto egli indico tre stelle che da allora presero il nome di Chioma di Berenice. Una curiosità, la stella più luminosa della chioma chiamata, “Comae Berenices”, detta anche Diadema, e’ poco più’ luminosa del sole! Ciò un’idea di come apparirebbe debole il sole ad una distanza di 27 anni luce, che è la distanza che ci separa dalla “Chioma”. In direzione delle tre stelle della chioma, ma molto molto più lontano, troviamo la Galassia Black Eye. Un poderoso ammasso stellare frutto di uno scontro tra due galassie che genera in simpatico quanto incredibile vortice centrale. Il nostro occhio non è in grado di vedere questa meraviglia, ma grazie ad Hubble su internet abbiamo a disposizione fantastiche foto da ammirare. Ed infine il nome Berenice viene utilizzato anche in aeronautica per indicare un fenomeno causato dalla resistenza indotta. In parole semplici, tra la parte superiore ed inferiore dell’ala, a causa degli scompensi di pressione, si generano dei flussi di aria che si avvitano tra essi, rassomiglianti appunto alle “trecce di Berenice”. Tale fenomeno è a volte osservabile anche sui comuni aerei di linea, in atmosfera umida e con bassa temperatura.
Favria 18.01.2019 Giorgio Cortese

Ogni giorno conto sempre su quello che ho e mai su quello che gli altri vogliono offrirmi!

Felicità nell’animo!
Pare, da quello che dicono i media sempre più persone hanno paura nel provare felicità. Quasi hanno timore che quando ci sia troppa felicità scatti poi un meccanismo perverso di compensazione per cui, quando ci si lascia andare, accada qualcosa di terribile. Questa fobia, paura, si chiama cherofobia che è una forma d’ansia, ritengo ben descritta in una recente canzone. Certo potrebbe sembrare strano che delle persone temono delle emozioni positive, perché tutti tendiamo alla ricerca della felicità, forse, come dicono degli studiosi, in molte persone sino dalla tenera infanzia si è creato un legame fra felicità e punizione e adesso hanno paura che se si sentono felici poi la bolla della gioia esploda di nuovo facendoli sprofondare in chissà quale umiliazione e questo li rende introversi. Ma forse oggi la cherofobia è alimentata dai rapporti umani sempre di più rarefatti dato che molti giovanissimi passano molto più tempo sugli Iphone e nei mondi virtuali dei social con i bisogni materiali soddisfatti dai genitori. Allora, penso, si perde quelle emozioni di fare qualcosa con i coetanei, di faticare per vincere, anche di perdere, per raggiungere delle mete. Premetto non sono uno psicologo ma il mio personale parere che per superare questa paura, per ritornare alla voglia della ricerca della felicità credo sia importante assumere tutti i giorni delle buone dosi di sorrisi e di emozioni con i nostri simili. Importante è ridere, ma ridere di noi stessi forse li ci sono gli anticorpi alla fobia della felicità. Dicono che ridere di noi stessi non solo aiuta a sopprimere la rabbia, ma aiuta in modo significativo il benessere psicologico, e credetemi è vero! Se impariamo ad essere autoironici, viviamo meglio e con più leggerezza. Ogni giorno dobbiamo accettarci per quello che siamo e riconoscere senza paura i quotidiani sbagli per poterci migliorare.
Favria 19.01.2019 Giorgio Cortese

Che ridicole quelle persone che usano buona parte della loro umana energia viene per alimentare la loro sensazione di essere importanti ed indispensabili

.Liminare l’agguato scarmigliato.
La parola liminare significa relativo alla soglia; confinante, vicino; preparatorio, introduttivo. E’ una voce che deriva dal latino liminaris, derivato a sua volta da limen, soglia. Insomma Il liminare è letteralmente ciò che è relativo alla soglia. Quando passeggio osservo la pietra liminare posta all’ingresso dell’abitazione o delle auto con le ruote che sono sul liminare delle strisce del posteggio. Ma attenzione, la soglia può essere anche non fisica, come le soglie degli scaglioni d’imposta. Ma liminare significa anche il trovarmi prima della soglia oppure lo stato di certe strade simili a groviere che sembra quasi che vengano conservate gelosamente squassate per dare modo alle buche di tendere un agguato a noi ignari autisti. Ecco il termine agguato che evoca un attacco improvviso, e l’attacco stesso, l’insidia, tranello il classico luogo dell’imboscata. Parola che deriva dall’antico francese aguait, guardia, sorveglianza, imboscata, che deriva dall’antico francone wahta, guardia. Il l termine ‘agguato è un parente stretto del verbo guatare, anzi qualcuno lo indica come suo derivato, passando per il superato agguatare. Se guatare significa guardare a lungo e insistentemente, si potrebbe pensare che questo particolare modo di tenere fisso lo sguardo dia forma anche all’agguato. Dopotutto è quello che si fa quando chi vuole compierlo si apposta rivolto a chi vuole attaccare, senza nemmeno battere le palpebre. Ma il guardare, stessa origine, viene dopo. L’ essenza primaria dell’agguato e di questo fiume di parole è l’attesa. E se si naviga nell’origine del termine arriviamo ad una voce del francese antico che ci significa tanto la sorveglianza quanto l’imboscata. A prima vista possono sembrare due azioni quasi opposte. Nella prima uno bada a non essere attaccato e nella seconda si persegue l’azione di attaccare e a farlo all’improvviso e al momento giusto. Ma sia la risposta all’attacco sia l’attacco stesso sono due fini di una stessa azione, quella di aspettare pronti. Guarda, in agguato la guardia mi guata. Ma se qualcuno, dopo tutto questo dire sull’aspettare, ha dei dubbi, ricordo che viene da qui anche il verbo, to wait. Dopo tutto questo parlare mi sento scarmigliato. La parola scarmigliato vuole dire sia spettinato che azzuffarsi. La parola deriva da da scarminare, probabilmente sovrapposto a scompigliare o scapigliare, giunta a noi attraverso il termine latino excarminare che deriva da carminare, cardare. La parola in origine aveva la sua storia, Nel latino parlato a un certo punto doveva essere emerso il verbo excarminare, un derivato di carminare, cioè cardare. Ma cardare c’entra qualcosa con cantare. In effetti in latino esistevano due carmen: quello che significava il canto, la poesia, e quello che significava il pettine per cardare la lana. Giova ricordare che la cardatura della lana è quella pettinatura che ripulisce, districa le fibre, e le rende parallele e pronte ad essere filate. Quindi quell’excarminare doveva suonare simile a uno spettinare, con l’unica differenza di un tono più spregiativo, visto che al posto dei capelli era della lana. E alla fine di questa breve mail anche le idee sono un pochino scarmigliate o no!
Favria, 20.01.2019 Giorgio Cortese

Penso che gli esseri umani sono gli unici animali che si dedicano con impegno, giorno dopo giorno, a rendersi infelici a vicenda. É un’arte come tutte le altre. E allora quelli virtuosi li chiamano altruisti.

Dittatura del clima.
Terra clima e territorio sono stati per secoli tre categorie distinte. La crisi ambientale le ha unificate. Sino ad oggi abbiamo creduto che fosse il gioco delle tre carte: la terra, cioè la forma del suolo; il clima cioè l’insieme delle condizioni atmosferiche; il territorio, cioè l’impronta sulla terra dell’esercizio del potere politico di noi bipedi evoluti. Ora siamo costretti a scoprire che le carte in realtà soltanto una, e che non si tratta di un gioco! Non si tratta di una carta, cioè di una mappa bensì di un globo. Non che i sospetti prima mancassero, perché mai la distinzione tra terra, territorio e il clima è stata nella storia netta e fissa. Pensate che ancora nel 700, ancora prima dell’ottocentesca invenzione della meteorologia il clima era la terra. Si indicava ciascuna delle sezioni circolari globo e si suddividevano, tutte l’altra contigue e parallele, caratterizzate da diversa ampiezza ma di analoghe condizioni di temperatura se non di umidità. Oggi terra, territorio e clima sono una cosa sola sul nostro pianeta blu! E’ il clima che si prende la scena sul territorio agendo come attore principale al punto che ogni paese è costretto a rivedere le sue scelte per il nuovo corso climatico. Pensate Che per migliaia di secoli la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera a oscillato tra 200 e 380parti per milione. Oggi siamo arrivati a 411! Colpa della deforestazione e dell’uso di combustibili fossili, e anche se può sembrare un aumento modesto, l’effetto sul clima è di portata enorme. Accrescendo la temperatura globale, si sciolgono i ghiacciai, cambiano i monsoni, si alza il livello dei mari, si intensificano le città e le alluvioni. La siccità cresce alternata a violente piogge. Aumentano le migrazioni per fame che sconvolgono i paesi colpiti e quelli che accolgono. Siamo arrivati al punto di non ritorno della dittatura del clima e ne siamo prigionieri.
Favria, 21.01.2019 Giorgio Cortese

Quando ero giovane, ammiravo le persone intelligenti. Ora che sono maturo, ammiro le persone gentili.
giorgioCortese