Passano gli anni…. – Il giorno del compleanno. – Stati Uniti d’Europa. – Tartan. – Suzerain, Il signore supremo!. – Teutoburgo, il senso della storia. – Serto tra il lusco ed il brusco…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Passano gli anni….
Passano gli anni e scivolano via passeggeri fugaci di vita portando con loro gioie e affanni, attimi dolci ed altri tristi. Passano gli anni, solcano le stagioni, scivola lenta e veloce la vita come un torrente limpido che raccoglie immagini, ricordi, pensieri. Le emozioni crescono nell’infinito silenzio del tempo ed i segni del tempo li sento nel fisico mortale, le dita diventano nervose al tempo che passa, passano le stagioni ma segreti nell’animo respiro confortato dai ricordi tutte le mie piccole gioie quotidiane venate di deboli rimpianti
Favria, 27.02.2017 Giorgio Cortese

Nella vita i problemi assumono forma diverse, a seconda della prospettiva con cui li guardo e se li osservo con attenzione possono divenire delle opportunità.

Il giorno del compleanno
Le considerazioni che si fanno nei giorno intorno al proprio compleanno sono inevitabili. Come in una passeggiata tra i monti, mi fermo a prendere fiato e a contemplare il panorama. E’ il tempo della sosta, della riflessione, di guardare alla strada fatta e ai prossimi bivi, di ricalibrare il passo e le energie e accorgermi che, tappa dopo tappa, meta dopo meta, godersi il viaggio è il dono più grande. Nella vita si cresce, si invecchia meno male dico io. Sono fiero dei mie capelli canuti e della barba bianca. Certo iniziano le rughe che sono le orgogliose testimoni di esperienze di vita vissuta. Sento di dover onorare tutti gli anni che sono in me, senza sconti, approssimazioni e arrotondamenti, non sono un macigno né un fardello scomodo, ma la mia valigia piena, lo sgabello su cui sono potuto salire per guardare più lontano. Ricordo molto bene quando intorno ai 20 anni il mondo era tutto da scalare, era il tempo della costruzione e della conquista, della prova continua, della competizione e della prestazione, per occupare il proprio posto nel mondo e confermare anche a me stesso di meritarlo. Anche quello era un tempo speciale perché mi sentivo giovane e adulto allo stesso tempo con il privilegio di poter giocare su entrambi i fronti, ma contemporaneamente infastidito se mi chiamavano signore. Evidentemente non ero pronto al rispetto non avendolo ancora consolidato dentro di me. Ritengo che nella vita di ognuno di noi ci sia un istante, impercettibile ma definitivo, che ci fa passare da un’idea di noi stessi, giovani ad un’altra la maturità di adesso con il tempo che passa senza perdermi. Posso senz’altro dire che comincio a invecchiare. Naturalmente, come tutti, non lo desideravo affatto, ma questo non basta a spiegare il perché non me l’aspettassi, e neppure la sorpresa, l’incredulità con le quali ho accolto i primi indizi di questa evidenza. E neanche riesco a dire che l’ho capito che invecchiavo, i primi cambiamenti sono così impercettibili che si notano appena, mi permettono persino di vederci dentro come sono sempre stato. Si tratta piuttosto di un sentire del corpo che, nato da un’inezia, si trasforma in un gelatinoso presentimento, in un brivido, meglio, in una vertigine. Beh, comincia la discesa, e se soffro di vuoti d’aria mi sento perduto. A me è capitato che avevo da poco compiuto cinquantanni e pur portando gli occhiali mi sono reso conto che dovevo potenziare le lenti per leggere la guida telefonica, da miope banalmente cominciavo a diventare presbite. D’altra parte, cos’è la giovinezza se non quell’età della vita che attraversiamo con la presunzione arrogante dell’eternità? Uno spreco, uno sperpero, un tempo che non si sa, destinato al ricordo. Insomma, ho avvertito uno strappo. Se il tempo, fino a quel momento, sapevo coniugarlo solo al presente e al futuro, ora cominciavo ad assaporare il gusto ancora sconosciuto della nostalgia, quel sentimento che fa della mia vita un cammino ricurvo, una linea che procede in avanti solo perché c’è qualcosa che l’attende nel passato. La vita è un mare e noi siamo onde, è così che passa il tempo. Il tempo non è preciso, il tempo, ma corre ad ondate, e quando arriva una nuova onda mi sono accorto che non era più la mia. Il tempo, ecco il problema, si muove ed io resto indietro. Sento dentro di me l’impressione di uno scollamento tra come mi percepisco dentro e come sono fuori, tra il mio essere profondo nell’animo e l’età anagrafica che è data dal corpo, dall’altrui percezione, dall’oggettività del tempo trascorso su di me insieme a Voi cari amici. Ma sono fermamente convinto che dentro ciascuno di noi alla fine vale la storia che ci portiamo dentro. Ed è un’idea alla quale mi aggrappo come un naufrago al suo tronco. Mi consolo credere che la singolarissima, irriproducibile storia di ognuno di noi sia scritta sulla propria faccia, si stratifichi come un racconto, bello o brutto che sia, nel divenire della carne e del corpo. E che tradire quella narrazione sia in fondo tradire, insieme alla mia natura umana, la mia personale ed irripetibile storia che devo ancora scrivere dei meravigliosi capitoli sul libro della vita sempre con sincera passione e genuino entusiasmo
Favria 28.02.1958 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno sicuramente non posso cambiare il vento ma posso sicuramente orientare le vele per navigare contro

Stati Uniti d’Europa
Il termine “Stati Uniti d’Europa”, Etats-Unis d’Europe, fu usato Da Victor Hugo il 1 marzo, durante il suo discorso al congresso internazionale di pace tenuto a Parigi nel 1849. Hugo privilegiava la creazione di un senato sovrano supremo, che sarebbe stato per l’Europa quello che è il parlamento per l’Inghilterra e disse: “Verrà un giorno in cui tutte le nazioni del nostro continente formeranno una fratellanza europea… Verrà un giorno in cui dovremo vedere… Gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa faccia a faccia, allungarsi tra di loro attraverso il mare”. Victor Hugo piantò un albero nella sua residenza sull’isola di l’isola di Guernsey e e disse: “Quando quest’albero sarà maturo, esisteranno gli Stati Uniti d’Europa”. Questo albero al giorno d’oggi cresce ancora nel giardino della casa d’Altavilla a Saint Peter Port, nell’isola di Guernsey, dove visse Hugo durante il suo esilio dalla Francia. Profetiche mi sembrano le parole del filosofo italiano Carlo Cattaneo: “L’oceano è agitato e vorticoso e le correnti hanno due possibili fini gli autocrati, o gli Stati Uniti d’Europa” . Pensiero sempre attuale e penso che per mantenere la libertà, la pace e la giustizia una sola strada è possibile ricostruire L’Unione Europea da Ente impersonale in mano a dei freddi burocrati a dei nuovi Stati Uniti d’Europa di popoli liberi con un esercito ed un unico confine doganale sorvegliato per lasciare fuori dai confini le guerre ai limiti della novella Federazione di popoli liberi
Favria 1.03.2017 Giorgio Cortese

Personalmente ritengo il successo la serenità di coricarmi ogni sera con l’animo in pace

Tartan.
Conosciuto in Italia come “scozzese” il tartan, tipico tessuto a quadri ottenuto tramite l’intreccio di fili colorati, ha origini molto lontane. Risale infatti al Medioevo, ma a quei tempi esisteva solo sotto forma di toga o plaid. Nel 1600 nasce il kilt, una gonna che diventerà il simbolo della Scozia, ma di tessuti tartan ne esistono tipi molto diversi, ognuno dei quali, a partire dalla fine del 1700, rappresenta un clan delle famiglie dell’alta società scozzese. Pare che il lemma inglese tartan derivi secondo alcuni dal francese tiretain, che probabilmente deriva a sua volta dal verbo tirer, in riferimento alla tessitura del tessuto in contrapposizione al panno in tinta unita. Un’altra possibile origine del nome lo farebbe risalire al termine gaelico tarsainn che significa attraverso. Non si conosce l’origine esatta dell’uso di tessere la lana con questo disegno nelle Highland ma sicuramente è molto antico. Comunque solamente intorno al XVI secolo il tartan scozzese assume le caratteristiche di oggi e diventa un simbolo di identità nazionale estremamente diffuso nel XVII e nel XVIII secolo. Fino alla metà del XIX secolo gli highland tartan erano associati a regioni e distretti piuttosto che ad uno specifico clan e serviva per distinguere gli abitanti delle diverse regioni. La distinzione dei tartan in connessione alle diverse famiglie pare dunque un’istituzione moderna originata dal fatto che i clan utilizzavano il tartan della zona dove erano presenti. Ancora oggi famiglie scozzesi che non sono connesse ad alcun clan utilizzano il tartan della propria regione. Dopo la battaglia di Culloden nel 1746, il governo britannico vietò l’uso del tartan, con l’Act of Proscription, per cercare di sedare la rivolta dei clan gaelici filo giacobiti. Nel 1765, finita la guerra, venne introdotto nelle divise degli Highland Regiments. Nel 1815 la Highland Society of London chiese ai capoclan quale fosse il loro tartan e in tal modo venne stabilito il collegamento ufficiale tra un clan e il suo tartan. Nel 1819 erano stati giaà raccolti 250 tartan differenti, oggi ne sono registrati 4.000 anche se i tipi in commercio si aggirano tra i 600 e i 700. Della sua diffusione lo scrittore Sir Walter Scott fu, in parte, il responsabile della rinascita del tartan, quando si assicurò che re Giorgio IV, nato in Germania, fosse interamente vestito di tartan durante la sua visita di stato nel 1822. E poi la Regina Vittoria nel 1800 lo rese status symbol, sfoggiandolo, con il marito Alberto, durante i loro soggiorni a Balmoral. Ma il tartan è anche il nome commerciale di una resina poliuretanica di particolare composizione adottata per ricoprire in maniera durevole e tecnicamente soddisfacente attrezzature sportive di vario genere, come piste di atletica, salto, scherma, campi di basket, pallavolo, tennis. Questo nome brevettato, è forse allusivo al tessuto omonimo. Dopo il successo ottenuto dal materiale, il termine tartan è stato erroneamente adottato anche per definire altri materiali sintetici impiegati da altre aziende per realizzare piste di atletica.
Favria, 2.03.2017 Giorgio Cortese

Se già di mattino incomincio con il fare ciò che è necessario, poi tutto mi pare possibile e alla sera certi giorni mi accorgo di avere fatto anche l’impossibile.

Suzerain, Il signore supremo!
Leggendo un libro di storia mi sono imbattuto in questa parola strana, Suzerain, formata con la sovrapposizione lemma dell’antico francese suz o sus, su, sopra e souverain, sovrano. Il lemma deriva dall’antico diritto feudale ed indica una figura gerarchicamente sovraordinata rispetto agli altri signori feudali, ma attenzione questo status non è da confondere con il sovrano. Si trattava di un signore dei signori o un signore superiore, in inglese veniva chiamato overlod. Nell’Europa medievale al Suzerain i vassalli erano tenuti a corrispondere un tributo e a rendere omaggio feudale e a garantire appoggio in caso di guerra. Da questa definizione discende che la figura del suzerain deve essere distinta dal bannale altra forma di signoria feudale. Erano solo dei suzerain, ad esempio, tutti i primi re della dinastia capetingia. Purtroppo oggi i novelli Suzerain, hanno come armi la prepotenza e l’arroganza, insomma le armi dei “piccoli”, se ad esse aggiungete la cattiveria, ma sono solo dei perdenti. Certo il prepotente usa l’arroganza per raggiungere i suoi scopi nefandi. Vessazioni, soprusi, cattiverie maldicenze sono le sue armi preferite per costringere i malcapitati a sottostare alle sue angherie finché non acquista la certezza di essere assiso sulla poltrona degl’intoccabili. È proprio allora, però che l’infallibile mira di persone oneste e giuste lo annientano e sotterrano insieme alle sue prepotenze ed arroganze!
Favria 3.0.03.2017 Giorgio Cortese

Durante la giornata ogni mio respiro, ogni mio passo che faccio, può essere pieno di pace, gioia e serenità e questo dipende solo da me.

Teutoburgo, il senso della storia
Valerio Massimo Manfredi torna al romanzo e racconta, unendo alla perfezione esattezza storica e respiro epico, la storia straordinaria e mai narrata prima di due fratelli, Armin e Wulf due guerrieri, le cui scelte hanno portato a Teutoburgo, lo scontro decisivo tra Romani e Germani, la battaglia che ha cambiato il destino dell’Impero Romano e del mondo. Nella foresta di Teutoburgo, nei pressi di Osnabruck, nell’odierna Germania, vi fu una delle più grandi sconfitte dell’Impero Romano. Il disastro si verificò nella battaglia durata tre giorni, dal 9 all’11 settembre del 9 d.C. Tre legioni romane, ventimila uomini bene armati ed equipaggiati, agli ordini dello sprovveduto generale Publio Quintilio Varo, furono sterminate dal raccogliticcio esercito di un capo germanico, Arminio, il cui nome è divenuto simbolo dell’identità tedesca, c’è una squadra di calcio, l’Arminia Bielefeld, molti tedeschi si chiamano Armin o Hermann, ed è servito a fini nazionalistici nella riforma luterana, nella guerra franco-prussiana e nell’orrore nazista. L’esercito romano fu sterminato fino all’ultimo uomo da un nemico che massacrò quei soldati come se fossero bestie” racconta ancora Velleio Paterculo. Quanti furono catturati vennero crocifissi oppure arsi vivi o ancora immolati in sacrificio agli dei. Delle legioni di Varo per anni non si seppe più nulla, solo voci di una rivolta e di un massacro. Più tardi, fu Germanico a scoprire i resti dell’esercito romano nella selva: ossa calcinate, frammenti di giavellotti, resti di cavalli, teschi attaccati agli alberi. Racconta Svetonionelle “Vite dei Cesari”: “Quando giunse la notizia… dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: “Varo rendimi le mie legioni!””. Per l’Impero Romano la sconfitta nella foresta di Teutoburgo fu l’inizio della fine. Dopo questa disfatta l’imperatore Augusto decise di arrestare l’espansione dell’Impero Romano verso Nord-Est. Dopo tutto quei gelidi territori coperti da immense foreste, non valevano a suo avviso, la pena di essere conquistati. Non capì Augusto l’immenso e fatale errore commesso. Quei territori erano di una assoluta e vitale importanza strategica. La vittoria dei Germani a Teutoburgo il VolksGeist secondo Hegel inizio proprio li ”lo spirito del popolo”. Non è certo un caso che Hitler nella sua farneticante opera “Mein Kampf”, citi questo evento con orgoglio, esaltando le ataviche radici e spirito guerriero del popolo tedesco, il “Volksgeist” hegeliano ed il loro ineluttabile destino di conquistatori alla perenne ricerca del “Lebensraum”, lo spazio vitale. . Scoprire poi che un evento avuto luogo 2000 anni fa ha così pesantemente influenzato la storia recente, è quasi pazzesco! Ma questo è il senso della storia di come certi eventi segnino e tracciano il solco del destino dell’umanità. Se interessati a leggere il bellissimo romanzo citato in apertura a Favria c’è una copia in biblioteca G. Pistonatto.
Favria, 4.03.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno cerco sempre di prendere la più coraggiosa decisione della giornata, quella di impormi sempre di essere di buon umore.

Serto tra il lusco ed il brusco.
Giocando con le parole e le espressioni poco usate ne ho travate due molto carine. L’espressione “tra il lusco e il brusco”, di origine tosco-emiliana ma diffusasi anche in altre parti d’Italia, fa riferimento a quei momenti di penombra o di crepuscolo che precedono l’alba oppure successivi al tramonto in cui la luce è incerta e i contorni delle cose appena percepibili. La frase indica in senso figurato una situazione vaga e confusa, difficile da decifrare o anche un’espressione del viso indefinibile, tra il benevolo e il severo. L’etimologia dei termini rimanda al latino luscus cpn il significato di guercio, orbo di un occhio, e bis-luscus. voleva dire appunto, completamente cieco. Diverso è in vece per serto che significa ghirlanda, corona, lemma che deriva, pure questo dasl latino serere, intrecciare. Il serto è una ghirlanda nobile, finemente intrecciata di fiori o foglie, posta su teste elettissime. Si diceva serto la corona d’alloro del poeta, la coroncina nuziale di fiori d’arancio della sposa, così come un serto regale è anche la corona preziosa tempestata di gemme del sovrano. Si potrebbe estendere il significato di questa parola ogni intreccio prezioso che sia simbolo e portatore di onore e reverenza. Praticamente, una corona connotata dall’intreccio di diversi elementi. Ma certe volte certe persone che vogliono farsi passare come intelligenti ed onesta hanno invece nell’animo una situazione vaga e confusa, difficile da decifrare con un intreccio si sentimenti contrastanti tra il lusco ed il brusco e sicuramente non sono quanto canta Radames nell’Aida di Verdi: “Celeste Aida, forma divina,/ mistico serto di luce e fior”.
Favria, 5.03.3017 Giorgio Cortese

Nella vita ogni giorno campioni si diventa, perché secondi e terzi si nasce