Parlare con gli occhi. – Ciao come stai? Tutto bene! – Lo scorrere del tempo – Da Fierabras a falabràch! – Novembre trasforma…. – Novembre. – San Pero vei!… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Parlare con gli occhi.
Al 14 di ottobre sono stato all’inaugurazione dell’UNITRE di Cuorgnè e riflettevo che l’imperversare dell’epidemia ci costringe ad indossare la mascherina sia negli ambienti chiusi che all’aperto. E allora invece del viso possiamo leggere le emozioni di una persona che incontriamo solo nei suoi occhi? Se ci pensiamo bene, lo sguardo è la parte di noi esseri umani più comunicativa, più trasmissiva e che consente una più intensa connessione. Cogliere tutti gli indizi non verbali presenti negli occhi altrui ci permetterà di intuire, ad esempio, la falsità, la sincerità o la magia dell’attrazione. Un poeta spagnolo dell’Ottocento Gustavo Adolfo Bècquer diceva che chi può parlare con lo sguardo, si può persino baciare con gli occhi. Ritengo che gli occhi sono un affascinante organo del nostro corpo e forse solo adesso con le mascherine che coprono parzialmente il viso iniziamo ad intuirne le potenzialità nel comunicare, anche solo con un semplice sguardo degli occhi. Gli occhi esprimono un linguaggio che direi sincero, perché non sempre possiamo controllarli a differenza delle parole ed azioni che sono filtrati dalla nostra volontà, gli occhi no! L’occhio di noi esseri umani è il punto in cui si mescolano anima e corpo. Pensate solo alla pupilla che si dilata istintivamente se siamo attratti da qualcosa, o siamo sorpresi. Avete notato che quando le persone che abbiamo di fronte provano a ricordare qualcosa, lo sguardo si rivolge verso una direzione, oppure si abbassa se la persona resta sospesa alcuni istanti in uno stato di introspezione. Sono tante e sottili le sfumature che caratterizzano il comportamento dei nostri occhi. Non dobbiamo dimenticare le palpebre, dicono gli esperti che le persone nervose o in difficoltà sbattono le palpebre con maggiore intensità, pare dovuto ad un meccanico del cervello che si attiva in quei momenti. Il maggior movimento delle palpebre che riflette l’attivazione emotiva, ad esempio anche quando qualcosa ci sorprende, ci indegna o ci fa arrabbiare. Ma sbattiamo molto le palpebre, anche quando interagiamo con qualcuno che ci aggrada o quando pensiamo a più cose al contempo. Quando incontriamo qualcuno dietro la maschera possiamo intuire il suo imbarazzo o insicurezza quando evita il nostro contatto visivo diretto, guardando di lato. Possiamo intuire le sue bugie dagli occhi schivi, che non sono di timidezza e, dicono gli esperti, per dissimulare il suo inganno di solito e allora, non sostiene per molto tempo il nostro sguardo. Ho notato che certe persone se vogliono ricordare spostano di occhi a destra ed invece a sinistra se cercano di inventarsi una storia. Adesso con le mascherine già da un metro di distanza ci si può guardare negli occhi per capirsi, perché a qualsiasi distanza uno sguardo non mente mai. Purtroppo oggi con i messaggi sui cellulari composti da tante faccine cambiano anche il nostro stile comunicativo. Anche prima della pandemia molti non avevano più il bisogno di trovarsi davanti a una persona per dire qualcosa, ma trasmettevano allegria, amore o rabbia tramite emoticon. Con questa pandemia, siamo in astinenza da contatti umani e allora incrociare dei conoscenti o dei perfetti sconosciuti fa nascere la voglia di gustare anche per poco questo piacere, di questo mistero che è svelare, a base di piccolissimi gesti e magiche sfumature, la qualità o complessità delle nostre relazioni e magari di riprenderle con maggior frequenza per evitare che la comunicazione tecnologica ci faccia perdere il potere di leggere le emozioni altrui nel loro sguardo. A volte solo rimanendo in silenzio facendo la coda a debita distanza per entrare in un negozio. Prima la vita scorreva e noi insieme a lei, senza fermarci a guardarla con i giusti occhi. Occhi che oggi guardano con profondità. Occhi che brillano di una luce diversa. Occhi che sapranno vedere e non solo guardare. Occhi che sapranno amare e godere pienamente del dono prezioso della vita. In questi tempi bui di isolamento e di paura a causa dell’emergenza coronavirus, bardati come siamo con mascherine, guanti e protezioni varie, solo gli occhi sono in grado di esprimere ciò che veramente sentiamo ed io nonostante tutto rimango ottimista perché tutto ciò che mi circonda parla di speranza e lo leggo dagli occhi dei bambini che irradia di luce il mio animo.
Favria, 27.10.2020 Giorgio Cortese

Quando leggo le pagine di un libro con occhi d’incanto posso sfiorare l’infinito viaggiando su nuvole di parole.

Ciao come stai? Tutto bene!
Un caro amico mi ha raccontato di aver ricevuto una telefonata di questo tenore, che in questi tempi gli hanno subito creato un fremito di paura nell’animo quanto l’interlocutore gli disse per telefono abbassando la voce, quasi fosse una empia condanna: “ma lo sai che Tizio”, e chi mi ha raccontato: “Tizio!”. L’interlocutore prosegue dicendo si proprio Tizio, quello che hai incrociato al bar al caffè, ma lo sai… pausa…che ha il figlio ricoverato per Covidi!” e qui cala la tenebra nell’animo, mala tempora currunt sed peiora parantur, corrono brutti tempi, ma se ne preparano di peggiori, e al telefono il mio amico mi ha detto di essere rimasto inebetito con il gelo della paura che si insinuava nel suo animo. Poi parlando di Tizio al telefono, nell’animo del mio amico sgorga un pensiero salvifico, che Tizio non è sposato e non ha figli! Ha lo stesso nome e cognome di Caio ma sarà da giugno che non lo si frequenta. L’interlocutore invece di scusarsi dell’equivoco continua imperterrito a parlare di tutte le persone che non stanno bene, e il mio amico si domandava, ma come a faceva a sapere tutto o forse vendeva false informazioni di sapere tutto per farsi bello, mah. Viviamo in tempi non facili, ma se ci facciamo prendere dall’ansia e dall’angoscia facciamo il gioco del virus che trova già le nostre barriere nell’animo depresse. Certo l’ottimismo e la speranza non sono medicine ma aiutano tantissimo l’animo e ci permettono di collaborare anche a distanza con chi interloquiamo. In molti hanno pensato che la battaglia contro il virus fosse vinta. Adesso va recuperato lo spirito di questa Primavera, quando, grazie allo straordinario comportamento di tutti noi italiani e al grande lavoro svolto da tutti gli operatori sanitari e dalle istituzioni, siamo riusciti a piegare la curva. E’ stato un merito di tutti noi italiani, ed ora bisogna ripetere quell’impresa! Allora scegliamo di essere ottimisti, ci sentiamo meglio. Ricordiamo sempre che la lunga notte del corona virus alla fine svanirà. La speranza non è mai così persa da non poter essere trovata.
Buona vita a tutti
Favria, 28.10.2020 Giorgio Cortese

Le sfide quotidiane sono ciò che rendono la vita interessante, e superarle è ciò che le dà significato.

Lo scorrere del tempo.
Nella vita di ogni giorno con l’avanzare degli anni il tempo è la cosa più preziosa che come essere umano posso spendere, certo il passato porta con sè il bagaglio di ricordi e rimpianti ed il futuro è una continua scoperta e umanamente ma è il presente l’unico posto in cui ho il potere di cambiare le cose. Il tempo è limitato e a volte a questo non ci penso e la clessidra scorre inesorabilmente ed invece dovrei lasciare perdere le preoccupazioni banali e concentrami di più su cosa vale veramente. Se poi penso al tempo che scivola via inesorabilmente mi rendo conto che il tempo che spreco è una perdita incommensurabile. Nella vita di ogni giorno non mi rendo conto che la vera felicità sta nel valutare il tempo e usarlo per vivere al meglio. Parlo del tempo e degli anni che passano e allora vorrei provare a parlare di vecchiaia nella nostra società iperindividualista tentata dal giovanilismo, la vecchiaia è socialmente rifiutata e individualmente rimossa. I vecchi vengono lasciati nella solitudine in quanto la vecchiaia è diventata una transizione personale con una continua discesa di gradini inavvertiti di declino. L’effetto principale della transizione è che l’anziano diventa giorno dopo giorno diverso da noi, lentamente perde occasioni di sodalità e quote di relazionalità a piccolo e medio raggio. La perdita della relazione, causa ed effetto della solitudine, si sente isolato e diverso da chi lo circonda e poco compreso con poca socializzazione da chi gli è vicino. Oggi gli anziani si trovano a vivere in una società che non vuole avere memoria del passato e non accetta avere dei vecchi trasmettitori di valori assoluti, condannati a vivere di un eterno presente. Quello che manca oggi è il riscoprire un certo protagonismo dell’anziano con la riaffermazione della sua dignità personale e la sua potenzialità di crescita anche in età avanzata acquisendo nuove esperienze e tecnicalità. La morte è poi solo il compimento della conoscenza, perchè fino all’ultimo respiro possiamo esprimere qualcosa di noi stessi, qualcosa che resta negli altri. La pienezza della vita di ognuno di noi si realizza solo nella continua fedeltà non a noi stessi, come talvolta retoricamente viene affermato dai media ma il fine della vita è la nostra azione che siamo stati chiamati a fare nella umana esistenza. Quindi fedeltà alle scelte culturali e professionali, al nostro lavoro, alle nostre relazioni umane e legarci a queste fedeltà cercando di trasmettere valori ed esperienze significa portare avanti un pezzo del processo evolutivo, utile a tutta la società. Questo non è un cattivo modo di invecchiare, è anzi una coerente preparazione al finale ‘tutto è compiuto’ dove non si evoca il dissolvimento nel nulla ma il compimento di una vita piena, degna, portatrice di frutti. E allora da adesso sta a me decidere cosa fare del tempo che mi viene dato per non sprecarlo, forse ci sono stati tempi migliori ma adesso questo mi viene dato.
Favria, 29.10.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana non c’è nulla temere se non noi stessi e bisogno capirla

Da Fierabras a falabràch!
Quando in Piemonte si indica qualcuno e si dice, scuotendo la testa: “Chiel lì a l’è mach an falabràch!”, si intende definire questa persona come ciò che in italiano può dirsi un cialtrone, un parolaio, una persona di paglia, un pagliaccio, un venditore di fumo. Falabràch è la trasposizione piemontese della parola francese Fier-à-bras, dal francese, fier à bras, coraggioso, braccio formidabile. I vocabolari piemontesi dell’Ottocento traducono Falabrac come omaccione, significato rimasto ancora in Canavesano. Ma com’è penetrata questa parola nel lessico piemontese? E’ arrivata nel piemontese attraverso les Chansons de Geste medievali. Fier à Bras, è infatti il protagonista della Chanson de Fier-à-Bras, una delle più popolari canzoni di gesta francesi, la cui composizione cade verso il 1170. Fier-à-Bras è un cavaliere saraceno, un gigante alto 15 piedi, figlio del re moro di Spagna Balan e fratello della bella Floripas. Egli, con l’esercito saraceno, invade Roma e la mette a sacco, impadronendosi di varie reliquie, tra le quali la croce, la corona di spine e il balsamo con il quale era stato unto da Maria Maddalena il corpo di Gesù Cristo, che aveva la proprietà miracolosa di guarire qualsiasi ferita. Dopo aver saccheggiato Roma, l’esercito saraceno ritorna in Spagna, ma viene inseguito da Carlo Magno, che invade la penisola iberica per recuperare le reliquie. Fier-à Bras viene affrontato in duello dal cavaliere Olivier, che lo vince. Durante il duello però Fier-à-Bras viene toccato dalla fede cristiana, e si converte. Decide così di diventare un cavaliere dell’esercito di Carlo Magno. Ma nel frattempo i Saraceni catturano quattro cavalieri cristiani, tra i quali Olivier. La sorella di Fier-à-Bras, Floripas, che si trova nel campo saraceno, però si innamora di uno di loro, Guy de Bourgogne, e li aiuta a fuggire. Dopo una serie di episodi, vi è lo scontro finale tra l’esercito saraceno e quello di Carlo Magno. Il re Balan è ucciso in battaglia, e le reliquie recuperate e inviate alla basilica di Saint-Denis per esservi conservate. Carlo Magno divide il regno di Balan in due, affidandone una metà a Guy de Bourgogne, che nel frattempo ha sposato Floripas, e una metà a Fier-à-Bras. Per la cronaca esistono tre versioni antiche del Fier-à-Bras, in occitano, una in langue d’oil. Successivamente la Chanson de Fier-à-Bras, conobbe nei secoli seguenti adattamenti nelle varie lingue, divenne in inglese Ferumbras, in spagnolo Fierabrás, in italiano Cantare di Fierabraccia ed infine in Germania Fierrabras. Una storia a parte ha il racconto di Balsamo di Ferabras, che, partendo dalla base dell’originario balsamo usato da Maria Maddalena, diventa nelle saghe cavalleresche successive una pozione magica in grado di guarire ogni male. Essendo morbosamente appassionato di letteratura cavalleresca, anche Don Chisciotte lo conosce bene. Cervantes ci racconta l’episodio in cui Chisciotte afferma di conoscerne la ricetta e tenta di prepararlo, bevendone lui e facendone bere a Sancho Panza. Senonchè, mentre l’intruglio produce su di lui vomito, sudorazione e sonno profondo, su Sancho Panza provoca una violentissima crisi di diarrea che lo porta quasi a morire. E Don Chisciotte trova che tutto ciò sia giusto perché, mentre lui è un nobile cavaliere, Sancho non è altro che un rozzo scudiero. La storia di Fier à bras continuò ad essere scritta in varie versioni fino a tutto il XVII secolo giundendo sino in Lombardia, nel milanese, dove si trovava il termine ormai antiquato di “falabrach” come aggettivo, con il significato di fantastico, fantasioso, come si vede la parola falabrach ha ha una lunga storia alle spalle. Curioso è stato il suo uso quando Torino quando venne privata dal ruolo di capitale, che perse di colpo la sua identità senza alcuna sicurezza per il suo futuro. Questa incertezza allontanò imprese e investitori, gettando la città in uno stato di prostrazione economica, la cui manifestazione più appariscente, oltre al calo repentino della popolazione da 220.000 a 193.000 abitanti, fu la chiusura di un grande numero di negozi, botteghe, locali di ristorazione. Alberto Viriglio, scrittore e poeta, giornalista italiano, noto soprattutto per le proprie opere in lingua piemontese, commentando a posteriori questi avvenimenti, ne canzonò la drammaticità scrivendo: “Chi dice che la crisi del 1865 fu un male? E’ vero, Torino ha perso degli abitanti, ma non era quella la vera popolazione della città: abbiamo solo perduto le legioni di stupidi perdigiorno che affollavano i caffè!”. Ossia, con le parole di Viriglio: “Turin a l’a përdù ‘nt ël 1865 ij batàjôn ‘d falabràch che a fôrmavô la vita fitìssia dla Sità e la pôpôlassiôn d’ij café”
Favria, 30.10.2020 Giorgio Cortese

Il tempo è un amico prezioso per i suoi consigli.

Vieni a donare il sangue, Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 6 NOVEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Il sangue è destinato a circolare. Condividilo.

Novembre trasforma….
Novembre trasforma i colori in silenzio ma non la voglia di andare a donare. Ecco dove si può donare a ottobre nella zona 2 Fidas, Canavese:
Barbania, domenica 1 novembre
Montanaro, lunedì 2 novembre
Rivarolo C.se, lunedì, 2 novembre
Favria, venerdì 6 novembre
Ciriè-San Carlo, sabato 7 novembre
Montanaro, sabato 7 novembre
Valperga, lunedì 9 novembre
Rivarolo, venerdì 20 novembre
Ciriè- San Carlo,, sabato 21 novembre
Ciriè-San Carlo, domenica 22 novembre
Rivara, mercoledì 25 novembre
Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827
Qui di seguito cellulari dei referenti gruppi dove potete prenotarvi
Aglie’ 331-3539783
Barbania / Front _ 347-9033486
Bosconero 011-9889011 e 338-7666088
Cirie’ 340-7037457
Corio 348-7987945
Favria 333-1714827
Feletto 339-1417632
Forno Canavese _ 338-8946068
Levone 340-0675250
Locana 349-6623516
Lombardore / Rivarossa 333-3310893
Montanaro 377-7080944
Ozegna 339-3921510
Pont 333-8937412
Rivara 339-6339884
Rivarolo Canavese 348-9308675 e 347-4127317
San Giusto Canavese 377-1213021
Valperga / Salassa / Pertusio 347-5821598
Varisella / Vallo 333-9584743
Favria, 31 ottobre 2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana si annodano su un petalo i giorni vissuti con semplicità anche con il genuino gesto di donare il sangue. Vieni a donare il sangue, Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 6 NOVEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Nella vita quotidiana la vera amicizia, è una storia di fiducia, fiducia cieca. Questo è quello che differenzia i veri amici dagli altri.

Novembre.
Il mese di novembre comincia con la festa di tutti i Santi e con la ricorrenza dei Defunti “è l’estate, fredda, dei morti…”: come diceva Giovanni Pascoli. Per ij Sant maniòt e guant, Per i Santi: manicotto e guanti. Inizia l’inverno e dunque si devono indossare, per chi li aveva, gli indumenti pesanti tipici della stagione: il manicotto le donne, i guanti gli uomini. Ricordo che mia mamma e mia nonna, rigorosamente ai Santi indossavano e facevano indossare il cappotto. Quando le nostre terre non erano ancora invase da manie filo-anglo-americane quale quella di Halloween, letteralmente: “vigilia di tutti i Santi”, la notte tra il 31 ottobre e il primo di novembre era segnata dal “cors”, cioè il “corso”, la camminata delle anime del Purgatorio dal camposanto lungo i sentieri e le stradine intorno al paese. Triste sfilata, ricordata anche dal poeta Alfredo Nicola, Torino, 1902-1994, nella sua intensa poesia “La porcission” (La processione), nella raccolta Stòrie dle valade ’d Lans, ora ristampata nell’edizione completa delle poesie, Torino 2007; con traduzione italiana. In questa “processione” i vivi non dovevano entrare, limitandosi, nel caso malaugurato di un incontro con essa, a seguirla di lontano. Ogni anima con una fiammella in mano, fino al cimitero, dove sparivano nuovamente. A questa tradizione si sovrapponeva poi quella che voleva che, nella stessa notte di vigilia, le anime dei familiari defunti tornassero, silenziosamente, a visitare le loro case: per tale motivo si lasciava per loro sul davanzale, o anche sulla tavola, della cucina una scodella di latte ed un piatto di castagne lesse, ij maròn brovà dij mòrt, talora anche con un bicchiere di vino. Va da sé che normalmente i vecchi, nonni e zii: le case erano allora “patriarcali”, come le famiglie, mangiassero le castagne e bevessero il vino, il latte forse un po’ meno, per far credere ai nipoti che le anime dei morti fossero passate davvero ed avessero gradito l’offerta di cibo e bevande. Concludo con questo proverbio meteorologico, Com a fà ai Sant a fà a Natal, come fa ai Santi fa a Natale. A Natale, si diceva, farà lo stesso tempo fatto il giorno dei Santi, anche se tale proverbio poteva essere confermato, o ribaltato, da altri proverbi.
Favria 1.11.2020 Giorgio Cortese

Le emozioni colorano la vita, sono carezze per anima e cuore. Vieni a donare il sangue, Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 6 NOVEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Certi giorni non mi pare avere solo dei piedi ma delle ali per volare alto nei miei pensieri

San Pero vei!
Ecco arrivato il giorno di Ognissanti seguito al giorno della commemorazione dei defunti, penso a queste ricorrenze religiose ed inizio con un pensiero laico riprendendo l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, con “la collina”, una poesia che ha già affascinato Cesare Pavese o poi immortalata in una celebre canzone da Fabrizio De Andrè. A San Pero Vej come viene chiamnato il cimitero di Favria, nome che evoca l’antica Parrocchia e che ricorda San Pietro immortalato nell’agiografia Cattolica con le chiavi del paradiso e qui in terra favriese il luogo dove tutti dormono. Nel cimitero, trovo la lapide dell’amico di diversi anni fa, dei coscritti, persone dal portamento terreno gagliardo e altre meno, uomini pii e altri che erano un pochino facinorosi, tutti dormono ma non sono quell’immaginario sospeso, rarefatto, quasi da fantasmi evocato nella poesia. Nella strada che percorro a piedi per arrivare al cimitero le foglie gialle, fradice di umidità, sembrano già cominciare a disfarsi. Se ripenso al turgore dei germogli di marzo, gonfi di linfa chiara, l’autunno mi costringe inevitabilmente a pensare alla mia vita. Certo, non quando un tempo ero un baldanzoso ventenne, pensando di esserlo per sempre. Ma adesso che sono arrivato ai 62 anni, mi sento più vecchio in questi giorni. Ogni domenica mattina passo nel cimtrero in Primavera, nel cuore della solare Estate e anche adesso, e nonostante abiti a Favria solo da trentacinque anni, vedo tra le lapidI, tanti ricordi affettuosi, e rifletto che di tanti limiti che l’umanità è riuscita a varcare, quello della morte rimane l’inviolato, l’inappellabile. E il mio animo ogni volta sembra sbattere contro il muro di chi ho conosciuto ed ha varcato quel limite, ed io posso solo bussare con la mia preghiera per tenere vivo il suo ricordo. Se non avessi la fede sarebbe solo un tenace dolente far memoria, senza alcuna speranza. Nel mio animo emerge una nebulosa vaghezza ed una inconfessata incertezza, poi con la recita delle preghiere ai defunti si rinfranca quando penso al Credo che recita: “Credo nella resurrezione della carne”. Ma poi cosa immagino allora: un grande giardino, di una nube di luce? Beh confesso che non mi importa tanto, vorrei riabbracciare mia madre e mio padre ancora una volta….solo il credere nella fede mi porta calma nell’animo pensando che tutti siamo nati per non morire mai più. In Cristo non moriremo per sempre, e non sono morti per l’eternità quelli che abbiamo amato. In Cristo, nella sua morte e nella sua resurrezione, ci è dato il pegno di ritrovare la vita nostra, e loro. I volti sulle lapidi, fermi in quel sorriso distante, così diverso da quello che io ricordo, non sono persi. Io credo che li ritroverò, non so in quale forma e come sarà il “corpo glorioso”, ma niente di cosa ho amato su questa terra andrà perduto.
Favria 2.11.2020 Giorgio Cortese

In questo inizio novembre quello che mi consol, una delle cose positive di questo mondo è che ci saranno sempre altre primavere.

La parte migliore di ogni essere umano si chiama Vita, ed allora la condivido con chi ne ha bisogno donando il sangue. Vieni a donare il sangue, Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 6 NOVEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio
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