Nuove pagine di Giorgio Cortese dal 26 Settembre

Molte volte la morale si cela nei piccoli dettagli  –  L’amicizia. – W LA Tuma ed i formaggi piemontesi -Vino annacquato – Capacità nascoste

Molte volte la morale si cela nei piccoli dettagli
Molte volte mi viene da pensare che la morale e la moralità di una persona sono simili ad una casa che si fonda sulla solidità dei sui mattoni,  modellata sulle stanze e gli spazi domestici, fedele di piccoli quotidiani gesti, con delle giornate ritmate da atti apparentemente minimi, quasi al limite della banalità, ma in realtà molto carichi di significato perché costituiscono la trama del mio vivere di ogni giorno. La casa dove abito è simile alla mia morale perché entrambi sono una spazio fisico e mentale  frapposto tra me e il mondo che mi circonda. Non solo un riparo, ma un luogo scelto per riprendere in mano i fili profondi della vita. Nella casa alla sera tardi, nel ritirarmi nell’intimità in me stesso, posso per cogliere meglio i pungoli incessanti che la storia privata e pubblica mi ha inviato, per riflettere, durante la giornata come dei puntuali sms. La morale non è altro che l’invito che tutti noi riceviamo nell’abitare nel mondo e a muoverci in esso non solo perché abbiamo dei ruoli, ma per il desiderio di stare nel mondo e con il mondo quando sono preso dall’inquietudine, che nasce dalla mia presa di coscienza della mia inadeguatezza nel capire certi avvenimenti che mi capitano. Ma questa inquietudine che definerei megli come incertezza vissuta non come un taglio delle mie potenzialità ma, come inguaribile ottimista il trampolino di lancio per rituffarmi del mare della vita e di ricominciare a vivere. La mia quotiana marcia non  si esaurisce  solo nell’azione, ma si slancia in un orizzonte che è innanzitutto ricerca, passione per il possibile, attenzione per il dettaglio.  Ritengo che sia importante ogni giorno  pensare da un lato, la lettura dall’altro che danno linfa alla morale quotidiana. Oggigiorno pensare con la propria testa, è un atto eroico e  bellissimo,  un progressivo identificazione di ciò che mi circonda, di ciò che avviene. Pensare è il carburante necessario che mi  permette di uscire da una visione superficiale e distratta della vita. Il pensare è accompagnato da una inquietudine, da una specie di insonnia quotidiana e da una costante ricerca di un significato a quello che succede intorno a me. Il continuare a leggere, non è un allontanamento dal mondo, al contrario leggere mi genera un impulso interiore, la possibilità di cercare di avvicinarmi verso qualcosa o qualcuno  che ha lasciato una traccia scritta, leggere è una  tensione costante per  imparare, assimilare, crescere, legato al cambiamento, al divenire delle cose, al tempo e alla vita in generale; un modo, non egocentrico ed ottuso, di stare al mondo. In conclusione, mi viene da pensare che se in apparenza il peso materiale rende prezioso l’oro allora quello morale rende gioisa la mia coscienza
Favria, 26.09.2014   Giorgio Cortese

Purtroppo in Italia la corruzione è l’arma della mediocrità.

L’amicizia.
L’amicizia è la colonna sonora della mia vita che, senza di essa, rischierebbe di essere vuota e incolore. Certo oggi molti non credono più nell’amicizia, forse perché sono stati scotti da delusioni, personalmente ritengo che se anche ho delle  cocenti delusioni non devo mai abbattermi ma continuare a credere riuscirò a  trovare un vero amico, che mi offrira la sua amicizia, perché la  vera amicizia non chiede ma offre ed è un sentimento delicato, per rovinarlo basta una parola di troppo o non detta.
Favria, 27.09.2014    Giorgio Cortese

Purtroppo i mediocri hanno  un solo vantaggio, quello di credere  solo a se stessi.

W LA Tuma ed i formaggi piemontesi
La storia  del  formaggio ha origini antichissime nel  bacino del Mediterraneo. La leggenda vuole che un pastore avesse messo del latte in uno stomaco di pecora in cui era rimasto del caglio, dove si trasformò in formaggio; probabilmente fu invece determinante l’osservazione delle viscere di animali macellati ancora in fase di allattamento. Il più antico reperto ritrovato che testimoni la produzione del formaggio risale ai Sumeri, in Mesopotamia nel III millennio a.C. Altri documenti risalenti alla stessa epoca testimoniano la conoscenza dei metodi di lavorazione e produzione del formaggio si possono trovare anche in Egitto. Per la diffusione del formaggio anche in Italia dovremo aspettare il 1500 a.C. che poi darà origine a famosi formaggi Italiani come il gorgonzola. L’arte di produrre formaggio è andata sempre più migliorando e affermandosi fra gli antichi  Greci e gli antichi  Romani. Nel Medioevo vi fu inizialmente un’involuzione, poiché solo nei monasteri era possibile conservare la tradizione latina, ma nel periodo più tardo i formaggi cominciarono ad essere apprezzati e a comparire sulle tavole nobiliari. Un trattato sulle qualità nutritive del prodotto fu redatto dal medico ed accademico vercellese  Pantaleone da Confidenza nella sua Summa Lactinorum nella seconda metà del 400. In latino il termine usato per indicare questo prodotto era “caseus”, ma era anche in uso, fra i legionari, il termine “formaticum”, col quale si indicava appunto una “forma” di questo prodotto “de caseus formatus”. Dal latino “caseus” derivano termini italiani quali caseificio, cacio, da cui, per esempio “caciocavallo”, ma anche lo spagnolo “queso”, il portoghese “queijo”, il tedesco “kase”, l’olandese “kaas, il lussemburghese keis, il romeno cas, il corso casgiu, in calabrese e sardo casu, in inglese cheese. Da “formaticum” derivano, oltre all’italiano formaggio, il francese fromage”, il termine “formatge” in catalano e occitano e il lemma  “formadi” del friulano.  In Piemonte c’è il formaggio detto Toma  Piemontese, il cui etimo “tomè” indica, in dialetto, la fase della coagulazione in cui si verifica il distacco della caseina. L’etimologia è incerta e nessuno fino ad oggi è riuscito a darne una spiegazione plausibile o convincente. Come al solito le etimologie proposte partono dal latino e, più indietro dal greco. La prima attestazione di Toma, nella forma diminutiva Tomino si trova in un documento del XIV secolo, della zona di Piacenza, e riporta l’inequivocabile frase: “formagii Tomini seu cenerini”.Evviva il colesterolo, perché,  come potete vedere, apprezzavano la Toma allora esattamente per le stesse qualità organolettiche per cui, ahimè, viene apprezzata anche oggi. Secondo altri studiosi il lemma toma potrebbe derivare dal greco tomé, taglio, témnein, tagliare. Secondo altri il lemma deriverebbe dal  greco ptóma, caduta, e poi dal latino tumor, rigonfiamento. Insomma, non ho la certezza da dove viene il nome diffusissimo di uno dei  più buoni formaggi. In Piemonte vengono prodotte diverse versioni di Toma, la Tenera e la Semidura. Entrambe sono ottenute da latte vaccino che può provenire da differenti mungiture, portato a temperatura di coagulazione e addizionato con caglio di vitello. Seguono una o due rotture della cagliata poi messa in fasce e pressata. Dopo la salatura, a secco o in salamoia, le forme vengono messe a stagionare per 15 giorni se non superano 6 chilogrammi, diversamente un anno. Alla commercializzazione la Toma pesa da 1,8 a 8 chilogrammi. La versione Tenera ha crosta elastica di colore giallo o bruno; la pasta morbida e semicotta, di colore paglierino, dotata di piccole occhiature molto diffuse; il sapore è dolce e delicato. La Toma Semidura ha crosta spessa e scura, la pasta è consistente, di colore paglierino intenso e finemente occhiata; l’intensità dell’aroma sapore diventa più marcato con il prolungarsi della stagionatura. I formaggi sono amati dai grandi e piccini, stranamente però, come sosteneva Gilbert Keith Chesterton “i poeti hanno sempre mantenuto un misterioso silenzio sul soggetto formaggio“. Personalmente ritengo che, essendo il formaggio un alimento della tradizione gastronomica italiana. Genuino, verace, nostrano il formaggio mi rimanda a immagini di altri tempi, forse poco “poetiche”, ma di certo autentiche. Se penso a tutti formaggi piemontesi mi perso, mi viene in mente ol formaggio di Bra dall’omonima città piemontese oppure un cremoso caprino. Penso al  Macagn, in italiano il  Maccagno dal sapore dolce e gradevole, dall’aroma molto delicato che mi ricorda il burro e la crema di latte. La Mollana della Val Borbera, la  Toma di Balme, in dialetto francoprovenzale toùma, dalla  pasta compatta, elastica, con occhiatura diffusa e di colore fino al giallo intenso, a seconda della stagionatura. Ripenso al  Murazzano, anche conosciuto come tuma o robiola, grasso a paste fresca. Oppure divago con il  bettelmatt formaggio prodotto esclusivamente in alcuni alpeggi estivi siti nell’Ossola superiore, formaggio già citato nel 1710. Ma che dire per gusto e profumo della  Robiola di Roccaverano, il nome robiola deriva dal tardo latino “rubeolus” riferito alla colorazione rosata rossastra assunta dalla superficie dei formaggi con l’avanzare della stagionatura, formaggio grasso e fresco. Ottimo il  Plaisentif  una particolare  toma dell’alta valle di Susa, viene anche chiamato formaggio delle viole per il suo particolare profumo ma anche la Mascarpa o Mascherpa dal caratteristico sapore. Ma certo non rinuncio ad un formaggio dalla pasta semidura, erborinata e prodotto in forme cilindriche, ma di chi parlo di Messer Castelmagno dal gusto ed aroma imconfondibile già citato nei documenti nel  1277. La  Toma del Mottarone  dalla antiche tradizioni ma divago anche con il  Salignön è una ricotta dalla consistenza cremosa e grassa e dal sapore piccante e speziato, ottenuta dal siero residuo della lavorazione casearia arricchito con latte o panna, in piemontese salgnun o salignun e nella Valle D’Aosta è noto come   salignoùn. Concludo con il  Montébore formaggio molto raffinato, pensate che nel 1489 fu l’unico formaggio servito al banchetto nuziale di  Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza e con l’inconfondibile  bruss, bross in piemontese che spalmo sul pane dal gusto forte e tondo e che mi ricorda le fiere agricole dell’adolescenza. Anticamente veniva prodotto facendo fermentare croste o pezzi di altri formaggi,  spesso anche ammuffiti,  nel distillato di vinacce, la grappa che i contadini allora producevano in proprio. Dopo aver mescolato il composto si otteneva un prodotto cremoso dal sapore intenso che veniva mangiato sul pane. Senza dimenticare il tomino canavesano fresco e asciutto. ! Amo gustare la verde gorgonzola, piccante e appetitosa, che devo confessare mi fa fare peccati di gola, a vedere quella muffa m’attira e spendo nel negozio di Renza qualche lira..
Cordialmente, buon appetito W la TUMA!!!
Favria, 28.09.2014         Giorgio Cortese

Per sentirmi non solo sicuro ma con maggiore coraggio devo affrontare i vari problemi della vita con semplicità e con calma.

Vino annacquato
Diverso tempo fa ho letto su di una rivista la seguente citazione, che mi sono trascritto: “Per aver successo bisogna aggiungere acqua al proprio vino, finché non c’è più vino”. di Jules Renard .Mi sembra proprio che per il successo e per l’apparire tante persone sacrificano molto del loro prezioso tempo.  Questo mi pare il  concreto bluff che s’annida nel nostro tempo sotto il manto dorato di molti trionfi, per molti il metodo del loro successo consiste in larga misura nel sollevamento della polvere. La nostra società è ammalata e dietro al paravento ornato di nastri dorati si nascondono spesso vergogne. Siamo alla frutta, il re è nudo ma nessuno osa dirlo perché la polvere colorata riesce ad annebbiare il giudizio sull’autentica realtà. Ciononostante, la rincorsa al successo è così frenetica che, pur di essere al centro dell’attenzione pubblica, stormi di miserabili sgomitano per assumere un qualche ruolo mettendo a nudo le  loro intimità mentali e dell’animo. Molte volte è solo della miserabile vanità che annacqua il vino della verità, per farsi notare, correndo, il serio rischio, di svelare alla fine l’inganno. Ma perché non si ritrova un po’ di gusto per il riserbo, la semplicità, la sincerità
Favria, 29.09.2014     Giorgio Cortese

I libri sono degli amici  più tranquilli e costanti, e  sibi anche gli insegnanti più pazienti.

Capacità nascoste
Ritengo che Dio abbia dato a ciascuno di noi, nella sua grande bontà, delle capacità che  si chiamano talenti. Ma molte volte per una stupida prudenza li nascondiamo per vergogna, anziché sfruttarli come si deve.  Ogni giorno mi devo sforzare di guardare bene nella bisaccia del mio animo per trovarli e farli uscire, altrimenti a che cosa serve averli e  a vivere la vita?
Favria, 30.09.2014    Giorgio Cortese

 

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