Nuove pagine di Giorgio Cortese (dal 12 Settembre)

Diamo i numeri
Donazioni sangue a Favria a luglio 50 nel 2013  49, donazioni complessive fino a fine luglio 322! Zona 2 Fidas del Canavese a luglio 3.972
322  volte grazie a tutti i donatori di Favria e un sentito ringraziamento a tutti gli altri

Amministratori pro-temprore.
Per noi che abitiamo in provincia è ovvio che il latte venga prodotto dalle mucche che hanno le corna, che i polli hanno le piume. Le mucche, appunto oltre a donarci il latte hanno le corna e se hanno dei vitelli sanno usarle se temono che il loro vitellino sia in pericolo, facciamo anche noi essere umano, mammiferi come le mucche per i nostri figli. Ho iniziato la mia riflessione con questa considerazione perché la reazione dei mammiferi in presenza della prole è sempre la stessa, e per questo che l’orsa,  che da giorni, in Trentino, tentano invano di catturare, ha reagito. Il cercatore di funghi è stato percepito dal  plantigrado, dal suo istinto di preservare i cuccioli come un pericolo. L’uomo se l’è cavata con qualche punto e tanto spavento ma per l’orso le conseguenze potrebbero essere ben più pesanti. Come sempre noi italiani, anche in questo episodio ci dividiamo tra l’ambiente e chi abita nell’ambiente. Da una parte c’è un’azione  di ripopolamento degli orsi che si vorrebbero riconsegnare gli animali all’ambiente, e l’ambiente agli animali. Ma c’è già chi punta il dito, una bestia selvatica è troppo pericolosa se è lasciata libera di circolare. Non basta un collare con radiofrequenza a scongiurare il pericolo. Né a garantirne il controllo, come dimostra la caccia infruttuosa di questi giorni.  Quanto è successo è solo l’ennesimo episodio di una difficile convivenza tra civiltà e selvatico a conquistare l’onore delle cronache, già vi ricordate le polemiche di questo inverno tra i lupi ed i pastori,  stanchi di pagare le conseguenze della politica ripopolamento. Adesso pare che arrivi anche l’allarme  procioni, precisamente da  Bergamo, li la storia è cominciata con la liberazione di una coppia di orsetti lavatori lungo le rive dell’Adda, oggi la famigliola conta un centinaio di esemplari che scorrazzano nelle coltivazioni e negli allevamenti di galline, e i danni cominciano a essere evidenti, entro la fine di settembre partirà il piano di cattura. Come dicevo all’inizio, a molti sfugge che i lupi vanno a caccia,  i cinghiali sono molto pericolosi se hanno la prole al seguito, daini e stambecchi hanno le corna e non esitano ad usarle se minacciati, gli orsi sono poco socievoli, i procioni sono molto prolifici. Mi domando allora se ha  senso che noi mammiferi bipedi evoluti tuteliamo le specie in estinzione in questa maniera, ma quale logica perversa si persegue nell’organizzare queste operazioni di ripopolamento, che inseriscono gli animali selvatici in un contesto che selvatico non è più, in un tempo e in uno spazio che li vedono ormai dei perfetti estranei in territori che della loro presenza hanno conservato solo una folcloristica toponomastica? Mi sembra che ci sia un po’ di confusione? Ma noi mammiferi bipedi  con quale diritto abbiamo di  intervenire pesantemente nell’ordine naturale anche se a fin di bene? Tutelare spazi per gli animali selvatici è importante ma va fatto con buon senso,  certi ambienti  hanno le loro regole, che bisogna conoscere e rispettare. Il nostro mondo ha strutture di vita vaste e differenziate. L’ambiente è un dono di tutti, e di questo non dovremmo mai scordaci quando continuiamo ad inquinarlo con le nostre cattive abitudini comportamentali, nella vita dobbiamo rispettare sia i nostri simili che tutti gli  altri  esseri viventi che hanno un loro valore, una ricchezza unica per tutti noi. Negli ultimi duecento-trecento anni la nostra bella Terra è stata drasticamente e drammaticamente trasformata da noi mammiferi bipedi, ed il selvaggio-selvatico ha lasciato il posto alle culture umane e agli animali domestici. Cercare di riportare certi ecosistemi alla loro originaria ricchezza non deve però tradursi in un danno per chi da quelle zone trae sostentamento. Chi si fa carico delle operazioni di ripopolamento di certe specie selvatiche deve anche saper tutelare le richieste della gente che popola il territorio. Serve un serio lavoro educativo e di mediazione culturale nei confronti della popolazione in modo che la convivenza con gli animali selvatici venga vissuta per quello che è, un  modo doveroso di condividere il pianeta blu con tutte le creature, perché noi esseri umani, mammiferi bipedi, che ci pensiamo evoluti e padroni di tutto, siamo solo degli amministratori pro tempore di questa terra.
Favria, 12.09.2014  Giorgio Cortese

Certi giorni la disarmante semplicità che si racchiude in un sorriso di chi incontro è una boccata d’aria fresca per il mio animo, qualcosa di speciale. In quell’istante anche se non c’è il sole, sembra che illumini il mio animo e dia luce ad ogni mio pensiero. Ecco, molte volte vivere la vita si riassume in un  questi brevi attini intensi che pare paiono profumati di allegria. Sono  attimi che sento negli occhi e nell’animo e che conservi nel libro dei ricordi del mio animo.

La meraviglia della sophora
L’aria era umida nella tarda serata di questo dolce settembre, ero a casa di amici e parlando con loro arrivammo per una via tortuosa, come è il dialogare liberamente tra amici  sulla pianta detta Sophora. Il mio amico con parole entusiaste mi ha parlato  prima della sophora secundiflora. La sofora è un albero deciduo di medie dimensioni, originario della Cina e propagatosi poi in Corea e Giappone, per certi versi simile alla robinia, dalla quale differisce per l’assenza di spine e per le foglie che sono arrotondate all’apice. il nome generico proviene dal termine arabo sufayrà, col quale erano denominate alcune piante simili alla cassia, a fiori papilionace.  L’appellativo specifico secundiflora, dal latino secundus, cioè “secondo, che segue”, ricorda come i racemi floreali siano rivolti tutti verso l’esterno, cioè in “seconda fila” rispetto all’ubicazione della chioma. Questa particolarità, molto distintiva, consente ai fiori di risultare visibilissimi e facilitare quindi il compito degli insetti pronubi . Il racemo floreale, è simile a quello del familiare glicine. Nei luoghi di origine questo albero viene collocato nei pressi dei templi,  da cui il nome inglese di pagoda tree, o vicino alle tombe dei personaggi più illustri. Specie introdotta in Europa dalla Cina nel 1747, per la prima volta, a Parigi, al Jardin des plantes, dal missionario gesuita e botanico francese Pierre Nicolas Le Chéron d’Incarville, è stata da quel momento diffusa ed utilizzata come pianta ornamentale per il pregevole fogliame, per la bellezza della fioritura e per l’eleganza del portamento eretto, col tronco diritto e la chioma snella, ampia e globosa. Esiste un’altra varietà detta  Sophora tomentosa, già conosciuta dai Francesi già dal ’600 quando colonizzarono le isole Seychelles, patria d’origine della sophora tomentosa. I Francesi la chiamarono “bois chapelet”, “legno da rosari”, per la peculiare morfologia dei baccelli che presentano una strozzatura dopo ogni seme, così da ricordare, in maniera alquanto verosimile, un rosario. In Inghilterra la pianta è conosciuta invece con il nome di “silvery bush”, “cespuglio d’argento”, in riferimento, questa volta, al particolare colore che assume ogni parte della sophora. La pianta, che predilige litorali con inverni miti, non è molto nota in Italia. È invece apprezzata in India dove è utilizzata nella medicina popolare. La loro introduzione in Piemonte avvenne per opera del paesaggista prussiano Xavier Kurten, che , giunse in Italia nel 1815 portando alla corte dei Savoia e dei loro ministri il gusto del nuovo giardino all’inglese. La riscoperta della natura nei giardini del Kurten avvenne all’insegna dell’esotismo: il giardino divenne l’evocazione di luoghi lontani, moltiplicando gli orizzonti e le immagini del mondo e tra le piante messe a dimora vi furono le  Sophora japonica. Questo mio amico, un vero conoscitore di piante mi ha spiegato che fino  a qualche decennio fa, specie si usava fare crescere nei parchi delle ville dei nobili, per dare vita a scenografie superbe, atte a creare pergolati arborei o i cosiddetti “berceaux”, pergolati.. Sempre nel passato, non era raro che la polpa che va a svilupparsi attorno ai semi della sofora venisse richiesta con insistenza a livello medico, perché taluni esperimenti avevano dimostrato come questa contenesse una particolare materia zuccherina, il soforosio, che pareva avesse rilevanti benefici nella cura contro il diabete. Osservando la pianta dopo la sapiente esposizione che dire, se non provare ancora una volta incanto e meraviglia, fiducia e amore nella natura
Favria, 13.09.2014   Giorgio Cortese

La natura mi parla sempre, dono io sempre distratto dalla vita quotidiana con l’ascolto, molte volte anche preso dall’ego, eppure se provo a fermarnmi un attimo a guardare con gli occhi dell’animo, sono sommerso da un lieta meraviglia.

Dare un calcio al secchio del latte!
C’era una volta nel settecento, in un ayrale(così si chiamavano le cascine di allora ndr.) ai margine del bosco della Favriasca un contadino con dei figli che aveva una bella mucca. Quell’anno in primavera l’aria era fresca e leggera che sembrava di volare  nell’azzurro del cielo sopra il folto bosco vicino. Il contadino ed i figli avevano portato a pascolare la mucca negli allodi, i terreni comuni, che aveva avuto in concessione dalla Comunità e dal Feudatario. La mucca pascolava placida ruminando la fresca erba con un ritmo regolare e tranquillo. Oltre alla mucca il contadino aveva anche due capre ed un asino. Tra loro, la superba mucca si sentiva più bella, la più brava di tutti gli animali del suo padrone e cercava in  tutti i modi di farsi notare, soprattutto dagli esseri umani. Questa superba e bella mucca,  sfoggiando ogni arma a sua disposizione,  riuscì nel suo intento e fu scelta per il concorso di bellezza alla fiera agricola di  primavera del primo di maggio, la Fiera di Calendimaggio.  Ogni anno si svolgeva in quel luogo una  competizione dove i  vari contadini facevano gareggiare le loro mucche più belle frutto orgoglioso del loro duro lavoro. La mucca fu dai figli del padrone lustrata a dovere ed  addobbata con nastri lucenti e colorati e così acconciata si diresse con il suo padrone al luogo della Fiera di Calendimaggio. Appena arrivata nei campi dove avveniva la Fiera la mucca rimase allibita che concorresse quella  scialba mucca del campo vicino. Una delle prove importanti per designare la migliore mucca delle Calendimaggio era quella mucca che dava maggior latte in una mungitura  rispetto alle altre. La superba mucca già stizzita ed innervosita appena finita la gara non trattene più la sua amarezza del suo  smisurato ego ferito nel vedere un’altra sua simile anche lei brava e, diete perciò un forte calcio al secchio facendo cadere per terra il latte e perse anche la gara delle Calendimaggio di quell’anno. Verso sera quando mestamente tornava verso l’ayrale la mucca dall’ego orgoglioso capì che fino ad allora la sua unica  ragione di vita era diventata quella di essere considerata la migliore da tutti, ma a scapito dell’amicizia delle sue compagne e schiacciando ogni tipo di buon sentimento. Capì che esistevano altri tipi di valori e che era meglio essere ricordati per le cose belle e buone che si era in grado di compiere e non per le angherie che chiunque riesce a fare agli altri. Nella vita di ogni giorno è sicuramente  la bellezza interiore che ci porta a raggiungere i traguardi più ambiti il resto è solo apparenza che brucia generando una luce forte ma breve in quell’istante, ma poi oltre alla cenere  non resta nulla
Favria, 14.09.2014     Giorgio Cortese

Il mondo sorride agli ottinisti ed appartiene agli entusiasti capaci di non perdere la calma.

Il Quinterno
Ricordo che la mattina del compito in classe, quando frequentavo la scuola media,  in cartoleria vicono alla scuola, c’era la fila. Bisognava rifornirsi dei fogli protocollo. Si compravano a  “quinterni’ e si riponevano subito nella cartelletta perché non si sciupassero. Poi raggiungevo la vicina scuola con nelle gambe già la tremarella.Ricordo un mio compagno che in aula arrivava sempre per ultimo. Il giorno del compito in classe, calmo e sereno, raggiungeva il  proprio banco con un unico foglio protocollo che faceva sventolare tra le dita. Lui non comprava il quinterno come noi. Ma non era povero. Non lo faceva neanche per furbizia perché non l’ho mai visto scroccare alcunché. Egli era sobrio perché sicuro di sé. Scriveva di getto e subito in bella. Il tema lo consegnava sempre per primo. “Perché?”, gli chiese una volta la professoressa. La sua fu una sintetica risposta: “Non ho nient’altro da dire nello scrivere”. Ed io ancora a sforzare  il cervello per trovare la conclusione degna del componimento, e poi a rileggere, correggere e magari ricopiare in fretta su un altro foglio protocollo.Ma perché si chiamavano quinterni? Se notate un libro che leggete, potete notare con non è fatto da  pagine singole incollate, ma di quinteni legati assieme. E questo è una tradizione che risale già al medioevo, con i primi manoscritti rilegati come un libro, come lo conosciamo oggi.  Al tempo dei  dei romani i libri non erano fatti di pagine che si potevano sfogliare. Erano invece fatti da un unico foglio molto lungo ed arrotolato. Per leggere si srotolava il rotolo a poco a poco. Non era un sistema tanto comodo ed agevole, e sicuramente non leggevano a letto, come faccio abitalmente io alla sera.   Così qualcuno nel medioevo, più di mille anni fa, ha inventato il modo di fare libri come oggi. Prendevano dei fogli di pergamena, fatta con la pelle di pecora, o di carta se ne avevano e li piegavano in due. Anzi prendevano un mazzetto di fogli, quattro o cinque e li piegavano in due. Nel mezzo del mazzetto così piegato facevano passare uno spago. Questo era un quinterno. Se i fogli erano cinque, piegati in due e scrivendo sul davanti e sul dietro ci sono quattro pagine per foglio. Se i fogli doppi erano cinque, allora il quinterno era formato da venti pagine. Si mettevano poi i quinterni uno sopra l’altro e poi si legavano assieme gli spaghi che uscivano da ognuno, Ecco fatto un quaderno, su cui si poteva scrivere.
Favria, 15.09.2014    Giorgio Cortese

Nella nostra società i governi sono le vele, il popolo che li ha eletti democraticamente sono il vento, la nave è lo Stato, ed il tempo è l’immenso mare.

Humpty Dumpty!
Humpty Dumpty, talvolta tradotto Unto Dunto, è un personaggio di una filastrocca om Inghilterra di Mamma Oca, rappresentato come un grosso uovo antropomorfizzato seduto sulla cima di un muretto. Fu utilizzato anche da Lewis Carroll, che gli fece incontrare Alice in uno dei capitoli più celebri di Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, molto caro, oltre che ai bambini, agli studiosi di semantica e linguistica.Secondo l’ufficio del turismo della East Anglia, Humpty Dumpty fu un potente cannone all’epoca della Guerra civile inglese. Era montato sulla cima della torre della chiesa di St Mary’s at the Wall di Colchester e difese la città durante l’assedio del 1648. La torre fu colpita e Humpty Dumpty fece il suo “capitombolo” rovinando al suolo. L’esercito del re cercò invano di ripararlo. Secondo altre fonti, Humpty Dumpty sarebbe il re Riccardo III d’Inghilterra, che secondo la tradizione,  per esempio secondo quanto riportato da Shakespeare nel Riccardo III,  era gobbo, ma in realtà le fonti storiche non sembrano confermare questo fatto. Pare inoltre che il suo cavallo si chiamasse “Wall”. Durante la battaglia di Bosworth Field, la quale segnò la fine del suo regno e della dinastia York, Riccardo cadde da cavallo, facendosi molto male.Il nome Humpty Dumpty potrebbe anche riferirsi alla formazione a  testugginedei legionari romani, ma  potrebbe essere anche un’espressione colloquiale medioevale per indicare una persona bassa e goffa. Martin Gardner, in The Annotated Mother Goose, suggerisce che da questa espressione fosse stato tratto un indovinello. La filastrocca di Humpty Dumpty, in effetti, stranamente non cita mai il fatto che Humpty sia un uovo, informazione che potrebbe essere la “soluzione” ell’indovinello.Personalmente preferisco la verione di persona goffa e di bassa statura
Favria, 16.09.2014    Giorgio Cortese

Humpty Dumpty
Humpty Dumpty sat on a wall. Humpty Dumpty had a great fall all the king’s horses and all the king’s men couldn’t put Humpty together again. Humpty Dumpty sedeva su un muro. Humpty Dumpty fece una bella caduta e tutti i cavalli e tutti gli uomini del Re non poterono mettere Humpty di nuovo insieme.

Per essere felici nella vita  bisogna desiderare soltanto quello che si ha

La funzione del cuore.
Il cuore non è solo un organo vitale per la nostra vita è anche la dimora dell’animo. Secondo gli Egizi il cuore era il produttore incessante di ogni conoscenza, per i greci e dopo per i romani il cuore era il  centro della vita dei poeti lirici, non solo di allora ma anche per poeti più recenti come di Baudelaire, che gli attribuiva l’essenza della passione e della poesia. Il cuore immaginato come elemento per fare regnare l’armonia dei diversi spiriti, e di condurre questa armonia alla purezza del vuoto secondo il taoismo…il cuore non solo organo che pompa il sangue e ci mantiene vivi ma molto di più
Favria, 17.09.2014    Giorgio Cortese

Certe giornate sembrano passare sotto  uno stato di calma apparente.

Enduvonej!
J’è na còsa cl’ha la stesta gròssa con cla dla randolina, l’ha pì ‘d sent pertus ent la schina, cò l’è?
Cìè una cosa che ha la testa grossa come quella della rondine, ha oiù di cento buchi nella schiena, cos’è?

J’è na còsa tuta taconà, l’è mai ‘staje l’uja piantà, cò l’è?
C’è una cosa tutta rattoppata, non c’è mai stato l’ago puntato, cos’è?

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