Notte in bianco a Favria! – Un guazza pimpante. – L’emozioni con i fiori. – Il Bastian Contrario- Il Quinto Stato. – Scioccato! – Ambulacro anastrofe! – Grazie..LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Notte in bianco a Favria!
Notte in bianco, notte in bianco ma dove e tutto s’inverte! Il tramonto diventa un’aurora apportatrice di sogni che per per una volta diventano realtà! Notte in bianco che rifiuti il sonno, notte fresca che emoziona l’animo. Notte in bianco lasciami ancora un poco della tua allegria, piena di gioia, appagante, straripante, musicale, colorata. Personalmente questa magica notte in bianco e non notte bianca con buona pace di Fedor Dostoevkij, e del suo romanzo giovanile “Le notti bianche”, mi è piaciuta, nonostante la minore affluenza di pubblico. Certo me l’aspettavo più ricca ma lodevole è stato l’impegno degli organizzatori, Pro Loco, Consulta Commercio e Comune. Ma un grosso Grazie, una ovazione da stadio ai Commercianti ed alle attività di Favria che si sono messe in gioco, e come sempre un grazie mille alla sempre presente Protezione Civile Comunale. Dentro la notte in bianco la finale di Telekomando dell’Associazione Baracca e Buratin con 6 finalisti, 4 band e due solisti, evento nell’evento che si conferma evento trampolino di lancio per chi vuole fare della buona musica. Camminando tra la gente durante la Notte in Bianco, ascoltando e annusando quello che succedeva mi è venuta in mente una canzone di Paolo Conte della “genialità di uno Schiaffino!, mitico calciatore vero, “longilineo ed elegante, si muoveva con una naturale destrezza: la raffinatezza della sua tecnica era pari soltanto alla sua intelligenza tattica”. Ecco gli organizzatori hanno creato l’evento con le limitate risorse economiche ma con la genialità di uno Schiaffino! Facendo vibrare l’animo di una Comunità. I commercianti che hanno collaborato meriterebbero essere menzionati ad uno ad uno ma per evitare di dimenticarne qualcuno Vi dico solo: Bravissimi! Senza di voi sarebbe un paese deserto una Comunità appassita che invece vive e la Notte in Bianco c’è lo ricorda con la musica, i colori e i suoni e poi quando la musica finisce e le strade ritornano silenziose le pietre delle case simili agli occhi restano svegli ad aspettare il bianco baluginare del giorno dopo questa notte di festa.
Favria, 24.07.2018 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana qualunque stupido può avere coraggio. È l’onore che ci spinge a fare o non fare qualcosa, dipende da chi siamo e che cosa abbiamo deciso di essere.. Se uno si sacrifica per qualcosa che ritiene importante allora avrà avuto sia l’onore che il coraggio

Un guazza pimpante.
Uso queste due strane parole trovare recentemente leggendo dei libri per definire quelle persone che di mestiere e non per vocazione fanno i politici e che non perdono occasione nel farsi fotografare operaio con gli operai, minatore con i minatori, sportivo con i praticanti dello specifico sport e fanfaroni con i fanfaroni. Spiego meglio il significato per fare capire il titolo della breve mail, la parola guazza significa della rugiada che bagna come pioggia dal tardo latino aqua, attraverso un’ipotetica forma parlata aquatia. Vista così la parola mi ricorda la meraviglia della rugiada estiva che imperla i fili d’erba. Insomma una rugiada che, per quantità, bagna come se fosse piovuto, infradicia. Così posso dire della nebbia che vedo nelle sere d’autunno che promette della guazza inattesa dopo la notte serena. La forza di questa parola e di esempi c’è ne sono tanti e nel suo suono amabile e che richiama all’umidità dell’acqua. La seconda parola è pimpante che significa sgargiante, appariscente; allegro, vivace, esuberante, deriva dal francese pimpant con il significato di attraente, seducente, affine a pimper che significa vestire in modo sgargiante, che è una variante del verbo francese piper, attrarre, adescare. Questa parola è entrata nell’italiano solo verso la seconda metà dell’Ottocento. Insomma una parola che trasmette baldanza, vivacità ma quasi un modo di essere predominante. Una curiosità etimologica dal verbo francese sopracitato deriva il lemma anglosassone pimp con il significato di lenone, triste figura di sfruttatore di donne. In conclusione, certe persone a forza di essere dei guazza pimpanti finiscono per fare dei veri guazzabuglio. E si un guazzabuglio composto di guazza di cui sopra ho detto il significato e bollire. Insomma un gran mescolone che ribolle nella pentola. Una mescolanza confusa di incompetenza ed approssimazione come di certe persone, non tutte per fortuna.
Favria, 25.07.2018 Giorgio Cortese

Le persone che costruiscono il loro successo sulla menzogna, crolleranno sotto al peso della verità.

L’emozioni con i fiori.
Là dove compaiono i fiori, si parla soprattutto di emozioni, la rosa rossa è considerata il simbolo universale dell’amore erotico, il non ti scordar di me del pegno di fedeltà ed il girasole l’emblema dell’allegria. In questo modo si attribuisce ad una grande quantità di fiori una stretta relazione con la gamma di sentimenti umani. La tradizione di ricorrere ai fiori per una lingua del cuore risale alla fine del XVIII secolo. In questo periodo nascono i primi tentativi di mettere su binari sistematici il linguaggio segreto dei fiori, nella ferma convinzione della loro forza espressiva universale, con la convinzione che trasmettano autentiche emozioni. Edera, dipendenza. Lavanda, sfiducia. Lillà, fastidio. Giglio bianco, purezza. Tiglio amore coniugale. Magnolia, amore della natura. Alloro, gloria. Calendola, dolore, tristezza. Foglia di quercia, forza. Nasturzio, patriottismo. Orchidea, dedizione. Margherita, pazienza . Olivo, pace, .Rosmarino, ricordo. Camelia, vera eccellenza. Ginestra, umiltà. Campanula, gratitudine. Gardenia, sincerità. Geranio, gentilezza. Glicine, amicizia, Ortensia, distacco, freddezza. Ogni fiore dischiude un piccolo scrigno di curiosità e fantasia, e tutti insieme aprono le porte di un giardino meraviglioso da esplorare senza fretta, lasciandosi conquistare dalla bellezza.
Favria, 26.07.2018 Giorgio Cortese

Per meschina e povera che sia, ogni vita possiede istanti degni di eternità.

Il Bastian Contrario
Fare il bastian contrario, o essere un bastian contrario, significa andare controcorrente, contraddire per il gusto di contraddire. In pratica, chi prova gusto ad opporsi all’opinione altrui, dicendo o facendo il contrario. Bastian contrario è pertanto quell’individuo che oggigiorno viene generalmente etichettato come “alternativo”, proprio perché assume sempre per partito preso un atteggiamento diametralmente opposto a quella che è la volontà della massa. A Torino il Bastian Contrario, in piemontese Bastian Contrari,pronuncia: bastiàn cuntràri, per antonomasia è considerato il Conte di San Sebastiano, che nella battaglia dell’Assietta del 1747, fu il solo a disobbedire all’ordine di ripiegare sulla seconda linea. Il gesto del Conte e dei pochi fedeli granatieri da lui comandati determinò l’esito favorevole di tutta la battaglia contro l’esercito franco-ispanico. L’episodio ha ispirato anche un altro detto tipico riferito alla popolazione piemontese, quello di bogia nen! Si pronuncia: bùgia nèn, e l’espressione significa letteralmente “non muoverti!” e col tempo è diventato sinonimo di caparbietà, in senso positivo, o di ottusità, in senso negativo, a seconda dei contesti. A Castelvecchio di Rocca Barbena (SV) si ricorda un mercenario chiamato Bastian Contrario, ivi morto in battaglia. Questo mercenario ricordato a Castelvecchio era un militare insofferente, in seguito divenuto disertore e brigante, è così descritto nell’omonimo romanzo storico di Luigi Gramegna, anche se manca la certezza della sua morte in quella battaglia. Nelle note a fine libro viene spiegato il motivo del modo di dire e non deriverebbe dalla condotta in vita reale di Bastian Contrario ma dal comportamento in una commedia teatrale dialettale posteriore del suo personaggio. Secondo altri questa espressione deriva da Sebastiano Venier, comandante di mare delle forze veneziane durante la battaglia di Lepanto, chiamato per l’appunto Bastian. Difatti, nonostante i comandanti delle altre flotte che contribuirono alla battaglia di Lepanto si fossero già messi d’accordo, Sebastiano, su tante cose, continuava ad opporsi. E quindi, per via di questo suo comportamento contrastante, si guadagnò anche a livello internazionale il titolo di bastian contrario. D’altro canto, proprio seguendo i suoi consigli, la battaglia di Lepanto fu vinta.
Favria, 27.07.2018 Giorgio Cortese

Ogni giorno non mi arrendo mai, perché quando penso che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio.

Il Quinto Stato.
Il 28 luglio di 150 anni fa nasceva Giuseppe Pellizza da Volpedo, che nel Quarto Stato rappresentò un gruppo di contadini della pianura alessandrina, uno degli epicentri delle lotte agrarie del primo Novecento. Allora la fiumana di persone del quadro era composta da contadini con la donna in primo piano con un bambino in braccio, emblema di fame e ricerca di giustizia. Questa classe di contadini e operai, le tute blu, sono stati i protagonisti delle lotte di classe del novecento. Oggi il Quarto Stato si è diluito nei lavoratori salariati a tempo indeterminato, ma oggi emerge il Quinto Stato. I membri del Quinto Stato sono italiani a cui non è stato riconosciuto il diritto sociale fondamentale, il diritto al lavoro. Il Quinto Stato è composto da lavoratrici e lavoratori indipendenti, precari, poveri al lavoro, lavoratori qualificati e mobili, sottoposti a una flessibilità permanente e per nulla coesi tra di loro. Oggi sono stranieri in patria, sono una comunità dei senza comunità. La loro è una cittadinanza senza Stato, non si ritrovano nelle rappresentanze parlamentari, sindacali o imprenditoriali esistenti. Galleggiano nello spazio vuoto creato dalla scomparsa dell’equilibrio secolare tra la cittadinanza e lo Stato, tra la politica e il comando, ciò che i latini chiamavano imperium, tra la sovranità degli stati e le autorità internazionali che governano la loro vita come la BCE, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale. I membri del Quinto Stato, difficilmente possono influire sulle decisioni di chi sta più in alto e condiziona tutti i livelli del potere politico. Il Quinto Stato è il risultato della divergenza tra un’autorità che non comanda e un potere che non governa. Risiede in uno Stato dove sopravvivono le antiche funzioni del controllo e della sanzioni, ma non le prerogative che hanno garantito la crescita dello status sociale, l’emancipazione di una quota crescente di persone, in alcuni casi l’indipendenza economica e la tutela dei diritti fondamentali. La loro partecipazione alla governo della polis è compromessa perché sempre meno persone in futuro riusciranno a lavorare ottenendo in cambio una parvenza di emancipazione, guadagnando un reddito da un’attività legalmente riconosciuta. Oggi i membri del Quinto Stato sono i lavoratori precari, atipici, parasubordinati o con partita IVA i quali, pur potendo dimostrare di partecipare alla vita politica della Comunità, restano cittadini dimezzati perché non godono di un lavoro a tempo indeterminato. Altrettanto complicata è la condizione di chi vive come autonomo, ed è proprio la zona grigia tra il lavoro e l’impresa a costituire uno dei tratti caratteristici del Quinto Stato svuotato di efficacia di rappresentanze parlamentari, oltre che quelli di tutela sindacale e partitica. I membri del Quinto Stato non hanno ne diritti né tutele certe, li acquistano o li perdono nello smercio quotidiano del lavoro occasionale. Ritengo che questa situazione non aprirà la strada a un ritorno puro e semplice delle forme autarchiche, comunitarie o totalitarie, ma occuperà a lungo il nostro orizzonte, mettendo seriamente in pericolo la vita democratica che oggi conosciamo.
Favria, 28.07.2018 Giorgio Cortese

La felicità è simile una ruota che gira, e non sa di girare, questa è la felicità.

Scioccato!
Un recente incidente avvenuto mi ha scioccato anche se non sono stato testimone dell’evento ma sono passato sul luogo dell’episodio poco dopo. Questa emozione fisica mi ha turbato. La parola inglese choc deriva dal francese choquer, urtare qualcosa con più o meno violenza, causare un trauma a qualcuno, di origine probabilmente olandese. Le evoluzioni compiute da questa parola attraverso i confini linguistici, spesso ammirevolmente blandi, sono affascinanti. Nella lingua inglese il termine si arricchisce di significati a partire dal secolo XVI, quando indica letteralmente uno scontro, un impatto violento tra truppe o tra soldati. Siamo da poco usciti dal medioevo ed il lessico è ancora fortemente legato alla concretezza del campo di battaglia, alla collisione dei corpi. Nella nostra lingua, la varietà di significati è meno vasta rispetto all’inglese, utilizziamo il termine shock per indicare un’emozione improvvisa e violenta, che urta, come effettivamente vuole l’origine della parola, intensamente la mia sensibilità, sconvolgendomi. La parola è di impatto immediato, choc, breve, sordo e rappresentativo dell’urto improvviso e intenso, che rende meglio rispetto ai possibili sinonimi italiani come colpo, emozione, scossa, trauma, turbamento. Tornando al mio sentimento iniziale non ho parole da scrivere ma un semplice sentimento nell’augurare con un emozione genuina che sgorga dal profondo del mio cuore, che il conducente dell’auto ritrovi la tranquillità, una pronta e lieta guarigione alla piccola e di ritrovare calma ai genitori in questi drammatici momenti. Non oso pensare a quali preccupazioni vengono assaliti. Speriamo bene perché la vita di ognuno di noi è qualcosa di speciale unico e irripetibile.
Favria, 29.07.2018 Giorgio Cortese

Tutti i miei sogni possono diventare realtà se ho il coraggio e la passione nel perseguirli

Ambulacro anastrofe!
Il ragionamento di certe persone è simile ad vuoto camminare con continue e pericolose inversioni di pensiero. Mi spiego meglio la parola ambulacro significa corridoio, portico per il passeggio o anche quel settore del dermoscheletro dei ricci di mare che ne è organo locomotore. Voce dotta recuperata dal latino ambulacrum, derivato di ambulare, camminare, parola piuttosto affascinante, ma specie nei suoi significati architettonici ha un carattere ambiguo. Compare in italiano come voce colta in tempi recenti, si parla dell’inizio dell’Ottocento, e viene usata in maniera versatile per indicare spazi molto diversi fra loro. Nell’archeologia ambulacro descrive gli ampi portici romani sotto i quali si poteva passeggiare dilettevolmente, ma la parola significa in tempi recenti anche un modesto disimpegno. Nell’antica Atene l’ambulacro erano i portici dove i filosofi peripatetici amavano intrattenersi a passi lenti sotto le belle volte. E bisogna pure ricordare i buchi dei demoscheletri dei ricci di mare, gli echinodermi, hanno alcuni settori del dermoscheletro forati, gli ambulacri appunto. La seconda parola anastrofe è una figura retorica che consiste nell’inversione dell’ordine normale o abituale delle parole, deriva dal greco anastrophé, inversione. Per questo certe persone partono da dei bei discosri e strada facendo, come si vede strada facendo è in un determinato ordine usuale, perchè mai ci sogneremmo di scrivere e di dire facendo strada con lo stesso significa di prima, l’anastrofe è l’inversione dell’ordine normale o abituale delle parole. Altri deambulano con le loro idea senza un filo logico
Favria 30.07.2018 Giorgio Cortese

Mi affascina l’esplosione lentissima di un seme, dal seme l’albero. Ecco certe volte dovrei comportarmi come l’albero, cambiare le foglie ma conservare le radici. Cambiare certi pareri ma conservare sempre i principi..

Grazie
Grazie è tra le parole più comuni della nostra lingua. La parola grazie fa parte del vocabolario di base, ed è la prima che ci insegnano da bambini come mamma, papà, ciao. Sono le parole semplici che servono a metterci in comunicazione con gli altri. Voglio pertanto usarla oggi per dire grazie della bellissima cena passata in compagnia, con l’ottimo cibo, vino eccellente ed il valore aggiunto della presenza di Voi tutti. Grazie della bella serata nel quiete della campagna allietata dalla colonna sonora del frinire dei grilli, del sottofondo successivo dei tuoni e dello scrosciare della pioggia. Grazie a tutti.
Favria 31.07.2018 Giorgio Cortese

Nei giorni estivi, complice le vacanze, mi libero dalla trantran di tutti i giorni, ecco che allora nell’animo calmo riaffiorano nell’animo refoli di pensieri, piacevoli, inutili e a volte pure slegati, ma in fondo tutti danno una grande gioia.
giorgioCorte