Mantenere la parola data. – La speranza ci guida – Nel blu dipinto di blu. – Le nostre comuni radici – Un dono che vale doppio! – Dall’Anchoiade alla Bagna Cauda – Il sapiente gioco degli intrecci…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Mantenere la parola data.
Una mattina andando al lavoro ho ascoltato al bar prima di entrare questo racconto che un diversamente giovane raccontava ad un mio caro amico. L’episodio risale negli anni trenta, e allora il protagonista del racconto portava i pantaloni corti ed era un adolescente. La narrazione dell’episodio avvenuto prima della seconda guerra mondiale negli anni trenta del novecento. L’episodio si riferisce al suo impegno nel frequentare con assiduità costante le lezioni di dottrina, come allora veniva chiamato il catechismo. Il Parroco di una paese Canavesano di allora che gli teneva le lezioni di catechismo, verso la fine dell’anno catechistico ebbe per lui di fronte a sua madre delle sincere parole di elogio, per l’impegno, la dedizione e per la volontà nell’animo. In quella occasione, con lui presente il religioso disse alla madre che il bambino avrebbe preso sicuramente il primo premio ma, oltre a quello gli avrebbe conferito un altro personale visto che andava sempre a servire la S. Messa, senza mai mancarne nessuna. Gli occhi di chi racconta l’episodio si illuminano ancora della gioia che pregustava nel ricevere il promesso premio che era, allora, un aquilotto, si trattava di una moneta d’argento dal valore di allora di cinque lire. Appresa la notizia il protagonista aveva già deciso di lasciare la moneta alla mamma e lui di tenersi il premio speciale, magari di una o due lire, detti allora soldi. Arrivato al giorno delle premiazioni e riconoscimenti, con sua grande delusione, il protagonista vide che vennero premiati dei suoi coetanei che venivano saltuariamente al catechismo ma che avevano alle spalle delle famiglie ricche ed in vista nella Comunità, cosa che non poteva vantare la sua famiglia che non aveva tutta questa ricchezza ma che dignitosamente con il sudore del lavoro si manteneva. E qui gli occhi del narratore, si riempiono ancora a distanza di più di quattordici lustri, di amarezza. Allora, prosegue il narratore si strinse a sua madre e si mise a piangere. Questo episodio mi ricorda che esiste il modo di dire che: “C’era una volta la parola data”, la sua caratteristica principale era prendersi un impegno e mantenerlo. Chi usava la parola data a costo di farsi del male dava assoluta priorità alla promessa presa. Altri racconti narrano che in rispetto alla parola data si arrivava anche a morire. Ma già allora come oggi per molti era “normale” rimangiarsi la parola data e questo non solo legato alla attuale politica ma anche e spesso alla cultura nelle varie epoche. Ma se non si mantiene la parola data cade uno dei cardini fondamentali che per secoli hanno retto tutte le società. Sin dai tempi dei Romani, come l’episodio di Attilio Regolo, che fatto prigioniero dai cartaginesi, era stato mandato a Roma dopo aver promesso che sarebbe tornato, e lui allora aveva rispettato il patto anche se sapeva che lo attendeva una morte atroce. Per secoli le transazioni si sono fatte sulla parola e con una stretta di mano. Persino grosse somme di denaro venivano pagate sulla fiducia reciproca. Certo che il protagonista aveva avuto un grosso turbamento nella sua educazione morale, in quanto al di là del valore venale del premio, nei suoi confronti non era stata rispettata una parola data. Una promessa tradita è un fattore destabilizzante, un tradimento, quel bambino è diventato uomo e padre di famiglia, il suo animo ha superato quell’episodio e ha sempre rispettato con maggiore motivazione la parola data perché dove regna nell’animo l’onore la parola data sarà sempre sacra come nel suo caso. Ma ricordiamoci sempre che ci dà presto quello che promette, dà due volte, ed una promessa è simile ad una nuvola ed il suo compimento è come la pioggia.
Favria, 30.01.2017 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana mi trovo a volte di fronte a situazioni che non vanno guardate, ma semplicemente ascoltate. Non sempre posso farlo con le orecchie perché in quei casi serve umanità, cuore e comprensione. Le persone che in quei momenti non sono capaci di ascoltare oltre le parole non saranno mai capaci di vedere oltre ciò che appare.

La speranza ci guida
Secondo gli antichi Romani “Spes ultima de”’, cioè la Speranza è l’ultima Dea, perchè è l’ultima divinità a cui rivolgersi, questo detto romano derivava dal mito greco del vaso di Pandora. Secondo il mito raccontatoci da Esiodo, Zeus aveva affidato a Pandora, la prima donna forgiata da Vulcano, un otre che non doveva essere aperto perché conteneva tutti i mali. Ma Pandora, per troppa curiosità, lo scoperchiò e i mali si diffusero sulla terra. Solo la Speranza rimase nel vaso e quindi tra gli uomini. In realtà il mito è il rimaneggiamento di un mito più antico, quello della Dea Pandora, la quale aveva affidato a tre sacerdotesse dei cesti di fichi e in uno solo di questi era posto un serpente. Tanto è vero che nell’antica Atene avveniva ogni anno una processione di sacerdotesse che portavano le ceste col serpente nei sotterranei del tempio. Marra il mito che dove c’è un serpente c’è una Grande Madre, e la sacerdotessa che aprendo il cesto trovava il serpente era la preferita, e poteva oracolare in nome della Dea. Mi è venuta in mente questo mito sulla speranza vedendo sui media e sui giornali la tragedia dell’albergo travolto dalla slavina. Vedere negli occhi dei soccorritori la luce della speranza di ritrovare altre persone in vita, il vedere quel freddo e glaciale varcato scavato con la fatica dell’uomo dove anche la tecnologia è impotente, perché possiamo avere tutta la tecnologia che vogliamo ma di fronte alla furia degli eventi naturali, terremoto e smisurate nevicate i telefoni non funzionano, i motori tacciono, i cingoli si fermano, e i mezzi di soccorso si accodano fermi e muti. È impressionante la debolezza dell’umanità nei confronti delle forze della natura. La neve, il terremoto, il fuoco, l’acqua in pochi minuti si impadroniscono della nostra vita. Ciò che più mi colpisce è infine la velocità con la quale le vittime e questi dolorosi eventi verranno dimenticate per restare come ombre sullo sfondo del comune dolore coperti da altri terribili eventi. L’animo umano è così? Si infiamma, si spegne. Passa da una disperazione che giura sarà eterna, ad uno stato di silenzio del dolore fino a credere sia necessario compagno dei nostri giorni. Anche quando si ha bisogno di ascoltare il proprio dolore, di non perderlo, il tempo mi sembra nemico perché asciuga le lacrime e mi ruba i ricordi. Ma quello che mi consola e mi da fiducia è che ogni giorno la speranza è la stella Polare che ci guida nell’uscire dal freddo e glaciale tunnel della crisi, la speranza che non è cocciutaggine ma la forza quotidiana di andare avanti nello scavare di fronte alle avversità anche con i badili quando la tecnologia non funziona di prendere in braccio i vecchi ed i bambini e nel non lasciare nessuno indietro. Di non arrenderci mai nonostante tutto e quando va male e tutto sembra crollare che si riconoscono gli esseri umani dagli animali che per istinto scappano. Perché la quotidiana speranza è un sogno che aspetta di essere raggiunto, anche una matita spezzata può continuare a disegnare.
Favria 31.01.2017 Giorgio Cortese

L’entusiasmo è il più grande patrimonio che possiedono gli esseri umani, è il sentiero che conduce al successo, perché stimola idee positive. Rappresenta ogni giorno la colonna portante attorno alla quale posso muovermi con libertà e creatività.

Febbraio
Nel blu dipinto di blu.
A San Remo 1 febbraio del 1958, fù condotta da Gianni Agus, omonimo del Presidente della Pro Loco di Favria, in cui trionfò la canzone “Nel blu dipinto di blu”, cantata da Domenico Modugno, anche autore della musica, e da Johnny Dorelli, che diverrà la canzone italiana più celebre di sempre, con oltre 22 milioni di copie vendute in tutto il mondo e cinque settimane di permanenza alla prima posizione della hit-parade negli Usa, risultato mai conseguito prima e mai più raggiunto in seguito da nessun’altra canzone italiana, regalando fama internazionale a Modugno. Personalmente non mi stanco mai di un cielo azzurro. In questo inizio mese i rami degli alberi del parco davanti a casa sono simili a mani che hanno le unghie sporche di azzurro a furia di scavare dentro il cielo che mi sembra una bella vecchia pergamena in cui il sole e la luna tengono la loro agenda. Il cielo blu mi sembra sempre una perfetta tela vuota sulla quale vengono scritte con il vento le nuvole. Essi spostano e vanno alla deriva e mi chiedono sempre una loro lettura ed interpretazione. Se leggere un libro posso sporcami le mani di inchiostro, guardare il cielo è sporcarmi le mani e le labbra di azzurro. Nell’osservare il cielo blu mi ricordo di avere sempre l’azzurro di fianco al quotidiano. Infine capisco ma non sono d’accordo che certe persone guardando alla terra si possano proclamare dire atei, ma osservare il cielo e non credere in Dio è impossibile, perché il Creatore non ha creato alimenti blu, ma ha voluto riservare l’azzurro per il cielo e gli occhi di alcune donne.
Favria1.02.2017 Giorgio Cortese.

Nella vita di ogni giorno non so spiegarmi come mai, ma i bagni d’umiltà li trovo sempre liberi.

Le nostre comuni radici
Ogni popolo è attaccato alla propria alla casa, alla famiglia e a queste sono legati molti proverbi e modi di dire. Ogni popolo risente dell’antica cultura tramandata oralmente attraverso i proverbi e i modi di dire. che rappresentano una saggezza antica, ma sempre attuale. Tramite il linguaggio dei “ detti, proverbi e modi di dire “ si riscoprono vecchi valori culturali e soprattutto instauriamo un collegamento amorevole con le vecchie generazioni, depositarie di questi valori Molti sono i temi che i proverbi e i detti affrontano in modo semplice. Gran parte di essi rispecchiano l’ambiente contadino, altri il modo di essere di ognuno, e tutti tendono ad educare .La saggezza popolare, intrisa di sentimenti religiosi, civili, sociali, morali, si riassume, quindi, nei proverbi e nelle usanze verbali che non sono mai volgari, anche se a volte, crudamente, usano sostantivi o verbi poco opportuni, al fine di rendere più efficaci i messaggi che intendono trasmettere. La volgarità non è, pertanto, nel modo di dire le cose, ma solo nel pensiero della gente povera di spirito che le riceve. I proverbi e i modi di dire sono stati nei secoli passati i veri valori a cui si sono ispirate molte generazioni. Oggi, purtroppo, le nuove generazioni si ispirano a nuovi modelli che provengono soprattutto dai mass-media, e molti non sono certo educativi. Ritengo che è importante il rapporto che si crea tra le più vecchie generazioni, depositarie nei loro ricordi delle antiche virtù e dell’antica saggezza e le giovani generazioni. Per una volta ancora, gli anziani daranno ai giovani un insegnamento di vita, un testamento dei loro ricordi e dei loro valori. È importante cercare di ricordare e di imparare ma soprattutto di riflettere su quanto mi viene dal passato perchè è sul passato che si regge il presente e si crea il futuro delle nostre Comunità.
Favria, 2.02.2017 Giorgio Cortese

Nella vita facendo del bene si sta bene, vieni a donare il sangue a Favria, venerdì 10 febbraio, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Ricorda che donare il sangue è un atto di generosità nei confronti dell’altro e di noi stessi oltre che un atto di salvaguardia della salute. Non manchiamo, doniamolo. Ti aspettiamo

Un dono che vale doppio!
Donare il sangue è un gesto di solidarietà.. Significa dire con i fatti che la vita di chi sta soffrendo mi preoccupa. Ricordo cheil sangue non è riproducibile in laboratorio ma è indispensabile alla vita Indispensabile nei servizi di primo soccorso, in chirurgia nella cura di alcune malattie tra le quali quelle oncologiche e nei trapianti. Tutti domani potremmo avere bisogno di sangue per qualche motivo. Anche Tu che mi leggi adesso. La disponibilità di sangue è un patrimonio collettivo di solidarietà da cui ognuno può attingere nei momenti di necessità . Le donazioni di donatori periodici, volontari, anonimi, non retribuiti e consapevoli. rappresentano una garanzia per la salute di chi riceve e di chi dona. Ti aspettiamo a venire a donare venerdì 10 febbraio a Favria cortile interno del Comune, dalle ore 8 alle ore 11,20.. Ricordo che i lavoratori dipendenti hanno diritto al giorno di riposo retribuito per la donazione e a max 2 ore di permesso, in caso di esami o la prima volta per vedere se sono idonei e quindi candidati per donare. Che aspetti vieni a donare, un gesto che vale doppio, fai del bene e viene controllata la Tua salute, investi nel volontariato!
Favria, 3.02.2017 Giorgio Cortese

La donazione di sangue è l’azione volontaria, dettata da puro spirito di solidarietà di chi dona il proprio sangue affinché siano possibili trasfusioni a chi ne ha bisogno. Ti aspettiamo venerdì 10 febbraio a Favria cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20

Dall’Anchoiade alla Bagna Cauda
Portata dai mercanti di sale e acciughe, rifiutata per secoli dalle classi abbienti, ora la Bagna càuda è un rito conviviale simbolo del Piemonte. La Bagna Càuda o Càoda, Salsa calda in italiano, è un prodotto tipico della gastronomia piemontese fatto con burro, olio, aglio e acciughe sotto sale. Viene tradizionalmente servita con appositi tegamini di coccio che poggiano piccoli fornelletti che tengono la salsa, appunto, calda. Un piatto con una lunga storia che, sebbene possa sembrare, dagli ingredienti, povero e quotidiano, è in realtà un piatto per occasioni speciali, di convivialità. È il piatto della fraternità e dell’allegria che, secondo la tradizione, viene preparato per momenti gioiosi, il termine della vendemmia era, ad esempio, uno di questi. Un piatto collettivo che serve per riunire, da consumare tutti insieme per celebrare, insieme, la storia e la terra dei luoghi incantevoli che il Piemonte sa offrire. Sebbene sia solitamente considerato un piatto genericamente piemontese, la Bagna Càuda è, più specificatamente originario del territorio di Asti, delle Langhe, del Monferrato, del Roero, delle Province di Cuneo, Alessandria e del territorio che si estende a sud della città di Torino. Molte località della regione si contendono la paternità di questo vero e proprio simbolo della sua gastronomia. In realtà, però, sembra che le origini della Bagna Càuda vadano cercate in Francia, sulle coste della Provenza, con il nome di “Anchoiade”. Fu nel Medioevo che i mercanti di Asti, durante i viaggi che compivano per rifornirsi di sale e acciughe, incontrarono questo straordinario prodotto e lo portarono in patria, e lungo le rotte dei loro commerci che toccavano tutto il territorio di quello che ora è il Piemonte meridionale e nord-occidentale. Il passaggio in terra italica comportò naturalmente un adattamento della ricetta provenzale che fu modificata ad esempio con l’uso degli ortaggi. Come detto la bagna cauda rende se si mangia in compagnia e quella mangiata con i soci delle Pro loco di Favria aveva uno di quegli ingredienti che aggiungo un quid al sapore e alla serata conviviale la sincera amicizia e convivialità. Il pranzare assieme e come vivere insieme e queste serate festanti avviene a livello umano un contatto profondo di animi. Nella vita è difficile vivere senza amici. Io non ci riuscirei mai. Ne ho avuti molti nella mia vita, ed ognuno di loro mi ha aiutato ad andare avanti. Basta una frase, un segno, uno sguardo, e tutto sembra più facile. Questa è la magia dell’amicizia. Quella magia che piano piano, crescendo, aumenta sempre di più. Anche se dco che ho pochi amici sono convinto che , ci sarà sempre qualcuno che vorrà aiutarmi e che vorrà vorrà sostenermi, nella vita di ogni giorno nessuno è solo, non dobbiamo dimenticarlo mai. Grazie Gianni e a tutto il Tuo Direttivo siete mitici!
Favria, 4.02.2017 Giorgio Cortese

Nella vita bisogna saper correre qualche rischio per poter realizzare i propri sogni.

Il sapiente gioco degli intrecci
Un mio caro amico Emilio, valente alpinista ha una passione che un’arte, quella di intrecciare i vimini. Fare cesti, la cesteria è un’arte antica ed economica dove gli unici attrezzi che occorrono sono le mani. La cesteria è un modo per riprendere e approfondire il rapporto dell’uomo con l’ambiente e con le proprie tradizioni. Con questa antica arte si riprende e si approfondisce il rapporto dell’uomo con l’ambiente e con le proprie tradizioni. Fa nascere una curiosità genuina verso analoghi usi e costumi in altre regioni, altri stati o altri continenti. Talvolta si scopre di avere qualcosa in comune, per esempio il porsi la domanda: “Come trasportare e raccogliere la frutta?”. Ed è sorprendente vedere tante risposte diverse, creative e variopinte. L’intreccio di materie vegetali è una pratica antichissima, nata molto prima della tessitura e della ceramica, pare pratica già 6000 anni fa, quando l’uomo era ancora prevalentemente nomade. Presso gli antichi Romani, il vietor o viminator costruivano con i vimini ceste, recipienti, sedili. Il clipeus era uno scudo fatto con un intreccio di vimini rivestito di cuoio. L’insieme degli oggetti fabbricati con tale materia prima era genericamente indicato con il nome di vimina. Il termine vimine deriva dal latino vimen con il significato di annodare, intrecciare, oggi indica il ramo flessibile di alcune specie di salici e adoperato per lavori d’intreccio. Dall’antichità questa arte è arrivata fino a noi, praticamente intatta, attraversando il tempo senza servirsi di musei o sotto forma di fossili, ma attraverso la ripetizione di gesti, di generazione in generazione. Allo stesso modo sono arrivate le antiche varietà flessibili e coloratissime di salice, che si incontrano ancora oggi nei campi o lungo i fossi, piantate di talea in talea, di generazione in generazione. I salici sono diversi di paese in paese. Pensate che in Italia se ne incontrano circa 150 varietà, contro le 300 presenti al mondo. Abbiamo quindi nel patrio stivale la metà della biodiversità europea, ed infatti anche in Canavese basta percorrere pochi chilometri perché cambi il clima, la vegetazione, la cultura e delle pronunce sempre nel dialetto piemontese. Questa è una vera ricchezza che mi fa riflettere sulla bellezza della biodiversità che abbiamo e che molte volte ignoriamo. Questo mi fa pensare che in un mondo ipertecnologico e virtuale, creare con le proprie risorse dei manufatti partendo da alcuni rametti non è un revival nostalgico. L’attività dell’intreccio permette infatti di riappropriarsi delle abilità materiali e cognitive da sempre appartenute all’uomo e sviluppa capacità come l’attenzione, la coordinazione e manualità fine perché tutta la natura si tocca e si intreccia, tutta la natura si abbraccia e anche noi esseri umani siamo un continuo intreccio di sensazioni e di emozioni come i vimini intrecciati sapientemente con sagace maestria da Emilio
Favria, 5.02.2017 Giorgio Cortese

Molte volte certe idee per realizzarle hanno bisogno solo di passione che di energia.