Mal dal Grip! – San Giorgio e il drago Coronavirus! – La coda di varia umanità! – Al 25 aprile la nuova lotta di resistenza al Coronavirus! – Le speranze. – Quel burlone di Beccogiallo – Nel mio quotidiano viaggiare… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Mal dal Grip!
Nel Settecento l’influenza, “ab occulta coeli influentia” così chiamata già nel 1580 da Domenico detto Pietro Buoninsegni nel 1580 in Historia Fiorentina, incomincia ad apparire con altre denominazioni. La fonte più esaustiva afferma che nel 1729-1730 a Parigi l’influenza prese il nome di folletto, allure, nel 1743 quando si presentò epidemica in Europa. Allora questa malattia prese il nome di grippe, arrivato dalla vicina Germania chiamata krip, perché gli ammalati avevano le fattezze raggrinzate contratte o smagrite, in una parola la faccia grippata, oltre a ciò essi sentivano la pelle d’oca al minimo movimento, misto a vampe di calore, e dolori come ferite sopra tutta la superficie del corpo. Questa influenza per alcuni era una febbre catarrale, per altri affezione reumatica catarrale e pare che all’origine del nome vi fosse l’espressione polacca crypka, la quale significa raucedine. La denominazione può anche derivare dal paese in cui ebbe origine. Nel 1833 si parla dell’epidemia del 1782 che scoppiò a Pietroburgo, e si sparse con una rapidità prodigiosa in Svezia, in Danimarca, in Austria, in Prussia. Poi dalla Germania, e quasi simultaneamente in Francia, in Italia ed in Spagna per questo si chiamò malattia russa, influenza grippe in Canavesano mal dal Grip. Pare secondo gli osservatori del tempo che all’origine fosse stato un repentino cambiamento della temperatura che avvenne in una sola notte a Pietroburgo il 2 di gennaio del 1782. Infatti il termometro, che fino allora si era sostenuto sui 35 gradi sotto zero, ebbe un repentino rialzo quella notte di 5 gradi sopra lo zero, con uno sbalzo termico di 30 gradi. Il giorno successivo circa 40.000 persone di Pietroburgo furono assalite dal grip. Pensate che la pandemia mietè un grandissimo numero di ammalati e nella numerosa guarnigione militare della capitale si poterono trovare appena dei soldati sani che bastassero per fare servizio nella città. Le persone della corte imperiale furono anche loro contagiate dall’epidemia, ma pochi però furono gli ammalati che morirono, anzi la malattia non li obbligava che a pochi giorni di letto, ma le convalescenze erano molto lente e difficili. Gli vennero dati all’inizio svariati nomi, grippe, grip in piemontese, catarro Russo, folletto, allure. In Italia vennero dati dei nomi originali, la granata generale, la moscovita, la piccola posta, il piccolo corriere, in Sicilia la baraccuzza, e sinanco la civetta, la coquette, questa ultima espressione usata anche in alcune parti d’Europa. Nell’Ottocento si ripresenta dopo cinquant’anni un pochino prima del colera. Il grippe è di nuovo presente a Parigi, è segnalato nella primavera del 1837 a Brescia, Terni. L’epidemia del 1836-37 parte dalla Francia e parte del nord Italia fu colpita nel febbraio 1837, poi la Svizzera in marzo, raggiugendo Roma nello stesso mese, poi Palermo in giugno. Il 75% della popolazione di Firenze ne fu colpita. L’epidemia del 1847-48 vede il sud della Francia interessato ai primi di ottobre, Nizza e le coste nord-occidentali dell’Italia alla fine di ottobre, espandendosi nel nord Italia nel mese di novembre. Napoli non ebbe casi fino a gennaio 1848. Si hanno notizie di una nuova epidemia tra il 1889-1901 la prima manifestazione in Italia si ebbe probabilmente a metà dicembre 1889 a Roma. Due sono direttrici al nord lungo la costa ligure a Genova e La Spezia e verso l’Austria lungo l’Adriatico. Alla fine di dicembre interessa il sud Italia, la Sardegna e la Sicilia. L’insorgenza ha date precise, a Roma 11-20 dicembre, Bologna, Genova, Messina, Milano, Napoli, Sardegna, Torino, Venezia 21-31 dicembre 1889, Palermo 1-10 gennaio 1890. Le stime di morbosità per il 1889-90 danno per l’Italia 11%, per Roma 50%, per Bergamo Province 33-94%. Nella terza ondata, settembre 1891-febbraio 1892, il nord Italia è interessato in dicembre 1891. Nel 1899-1901 il nord Italia e Roma sono interessati nel gennaio 1900, Trieste nel gennaio 1901. Questa influenza veniva curata con il riposo dell’ammalato, tepore del letto, ed alle bevande emollienti, che mitigavano l’irritazione delle mucose per lenire l’infiammazione come estratti di altea, malva, amidi di grano e di riso. Ma venivano anche utilizzati dei salassi. Il salasso, era l’elemento principe di ogni intervento terapeutico di allora mediante sanguisughe. A volte la cura era peggiore della malattia ed il malato non sopravviveva. Interessate infine un articolo della Gazzetta Piemontese del lunedì 20 marzo 1837. Il grippe fece la sua prima comparsa in verso il principio del mese. Da otto giorni si può dire epidemico poche sono le famiglie in cui non sia essenzialmente preso I sintomi più costanti sono mal di capo tosse molesta consimile pel suono a asinina e tratto accompagnata di stringimento e di ardore alle fauci gola però avendosi libera la deglutizione questo ardore si propaga lungo le stanchezza universale dolori alle febbre intensa che cede per lo più 24 ore alla comparsa del sudore quasi spontaneo Succede una prostrazione e i rimedii riconosciuti generalmente utili sono bevande sudorifiche ed i lambitivi oleosi e mucillaginosi con qualche blando purgante sul fine Il corso della malattia non oltrepassa per 5 o 6 giorni e termina colla guarigione meno che non ci siano complicazioni Lo stato secco e freddo dell’atmosfera durante il mese di febbraio cui succedettero piogge basta a spiegare l’apparizione del grippe ed incolparne un principio contagioso.
Favria, 22.04.2020 Giorgio Cortese
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Sognare sa di speranza. Non smetterò mai! Nel mio animo c’è un pezzetto di cielo dove dimora il mio ottimismo accoccolato tra batuffoli di speranza a due passi dall’infinito.

San Giorgio e il drago Coronavirus!
Oggi ricorre la festa in onore di San Giorgio un culto diffusissimo del Santo cavaliere e martire Giorgio, godé in tutta la cristianità. Nella sola Italia vi sono ben 21 Comuni che portano il suo nome, Georgia è il nome di uno Stato americano degli U.S.A. e di una Repubblica caucasica, sei re di Gran Bretagna e Irlanda, due re di Grecia e altri dell’Est europeo, portarono il suo nome. È Santo Patrono dell’Inghilterra, di intere Regioni spagnole, del Portogallo, della Lituania, di città come Genova, Campobasso, Ferrara, Reggio Calabria e di centinaia di altre città e paesi. Forse nessun Santo sin dall’antichità ha riscosso tanta venerazione popolare, sia in Occidente che in Oriente. Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti: l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”, l’Ordine Teutonico, l’Ordine militare di Calatrava d’Aragona, il Sacro Ordine Costantiniano di S. Giorgio. E’ considerato il patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri, dei sellai; inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano. Il suo nome deriva dal greco gheorgós cioè agricoltore e lo troviamo già nelle Georgiche di Virgilio e fu portato nei secoli da persone celebri in tutti i campi, oltre a re e principi, come Washington, Orwell, Sand, Hegel, Gagarin, De Chirico, Morandi, il Giorgione, Danton, Vasari, Byron, Simenon, Bernanos, Bizet, Haendel e molti altri. In Italia è diffuso anche il femminile Giorgia, Giorgina, in Francia è Georges, in Inghilterra e Stati Uniti, George, in Germania Jorg e Jurgens, Jorge in Spagna e Portogallo, Gheorghe in Romania, Yorick in Danimarca, Yuri in Russia. Una leggenda cita l’episodio del drago e della fanciulla salvata da San Giorgio. Il drago pare che fu trafitto dalla lancia del Santo, da quel sangue fiorì subito un roseto, di uno straordinario colore rosso, mai visto prima. Il cavaliere, colse da quel roseto una rosa e la offrì alla fanciulla. Da questa antica, e molto romantica leggenda, traggono origine le festività dedicate a San Giorgio, che in questi giorni, si svolgono non soltanto a Barcellona, ma in tutta la Catalogna. San Giorgio è anche il protettore degli innamorati, in questa regione della Spagna, ove gli uomini sono soliti regalare delle rose rosse, insieme ad una spiga, simbolo di fecondità alle proprie amate e…anche un libro. Da questa usanza nasce la Giornata Internazionale del Libro, proprio sulla base di questa tradizione catalana di celebrare i libri e la cultura. Lo scopo di questa giornata è quello di incoraggiare a scoprire il piacere della lettura e a valorizzare il contributo che i libri danno al progresso sociale e culturale dell’umanità. Questa leggenda è stata immortalata da famosi artisti, bellissimo è il San Giorgio e il drago di Raffaello, conservato presso il Louvre. Qui, in un paesaggio dal sapore tipicamente umbro, fatto di colline e di alberi rigogliosi, San Giorgio, dal volto aristocratico e distaccato, è a cavallo e sta per finire il drago con la spada, mentre la lancia giace già spezzata a terra e nel petto del mostro. Il santo indossa una lucente armatura e un elmo col cimiero, mentre il mantello è gonfiato dal vento, esaltando il dinamismo della scena. Molto originale, con tratti drammatici e teatrali, è il San Giorgio e il drago del Tintoretto, dove la principessa è in primo piano e sta scappando dal mostro procedendo verso lo spettatore, mentre il vento le gonfia il mantello, enfatizzando il senso di movimento. Dietro, su una collinetta, si vede il santo su un cavallo bianco, che sta affondando la sua lancia in bocca alla belva. Sullo sfondo si innalzano le mura della città e in cielo uno sfolgorio luminoso accompagna l’apparizione di una figura divina benedicente, a sottolineare l’intervento di Dio nell’atto della salvezza. Oggi la valenza religiosa si è attenuata sempre di più però la battaglia di San Giorgio si è sublimata nel contrasto sempre attuale tra forze maligne e benigne, tra spirito e corpo, tra ragione e forze dell’inconscio. Oggi affidiamoci al Megalomartire, il grande martire come lo chiama la Chiesa Orientale per la battaglia dell’umanità contro il drago del Coronavirus e auguri a tutti i Giorgio e Giorgia, buon onomastico
Favria, 23.04.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno viviamo il presente, lanciamoci in ogni onda per trovare la nostra eternità in ogni momento

La coda di varia umanità!
In questi mesi di Coronavirus, sono aumentate le code per entrare nei vari negozi, che paiono più lunghe visto la distanza da osservare per stare in sicurezza. Noi esseri umani per quanto ipertecnologici ed evoluti socialmente, dopo due milioni di anni il nostro patrimonio genetico è caratterizzato in larga parte da ciò che abbiamo assimilato con comportamenti adottati per millenni quando abitavamo nelle caverne e la nostra unica preoccupazione quando ci si svegliava al mattino era restare vivi fino a sera, procurandoci da mangiare e di non essere mangiati. Ciò ha determinato quello che viene definito un comportamento detto present bias, ossia un ancoraggio al presente rendendo astratto e lontano il concetto di futuro. Ed ecco la coda, la vedo da lontano, e mi dico ma io devo comprare solo due cose veloci e poi torno a casa e allora d’istinto devio verso il secondo esercizio commerciale che vedo da lontano con sole due persone che aspettano il loro turno. Ma poi quando ritorno al precedente negozio, e non ci vuole una scienza per capirlo, la coda si è allungata e allora mi accodo ordinatamente per ultimo pensando che se mi fermavo prima adesso ero all’ingresso del negozio e sarebbe toccato a me. Avevo letto diverso tempo fa che come italiani stiamo in media per circa 400 ore in coda ogni anno. Il prossimo anno le ore cresceranno sicuramente, ma quello che voglio parlare è della varia umanità che si trova in questi giorni a fare la coda. Trovi le persone corrette e gelidamente silenziose o che si ascoltano musica con gli auricolari, quelli che iniziano un discorso e si tolgo la mascherina e cercano di avvicinarsi o peggio chiacchierano tra di loro molto vicini, altri che indossano la mascherina solo entrando nel negozio. Quelli che fumano e hanno la mascherina a mo’ di bandana e poi gli insofferenti, che strepitano contro tutti e ne hanno per tutti e poi buttano per strada il mozzicone di sigaretta. A questi ultimi bisognerebbe mandarli a “caté an capel”, a compare un cappello, e se vogliano esagerare a “trequare”, a tre punte! Questa curiosa espressione Canavesana vuole significare pagare una salata multa. La frase tra origine da caplà o caplada che vuole dire colpo dato con il cappello, può essere un inchino di cortesia nel salutare ma anche un rimprovero. Questo termine deriva da un antico gioco dei bambini detto spacciasot, vecchio gioco della buchetta, consistente nel gettare piccoli oggetti in una buca. Il lemma nasce dalla voce celtica suteg, porcile, perchè nel gioco i bambini si sporcavano giocando con la terra, e poi venivano sgridati e messi in punizione. La voce piemontese sot vuole dire buca, piccola fossa ma anche stupido e questo dice tutto. In conclusione stiamo in casa, e se usciamo armiamoci di pazienza nel rispettare quanto prescritto evitando gesti di insofferenza che non servono a nulla. Buona vita a tutti.
Favria, 24.04.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana senza la speranza è impossibile trovare l’insperato.

Al 25 aprile la nuova lotta di resistenza al Coronavirus!
Per la prima volta nella nostra storia Patria, il XXV Aprile non sarà una festa con corteo, musiche ed inni per le strade delle nostre Comunità. Per la prima volta non si terranno comizi per ricordare il valore della libertà ritrovata dopo la dittatura, viste le attuali regole sanitarie, niente assembramenti. Ma la Festa della Liberazione non perderà il suo valore, anzi si accrescerà ancora di più negli animi di tutti noi italiani, perché oggi ci troviamo uniti a combattere di nuovo contro un subdolo comune nemico, il Coronavirus. Oggi più che mai abbiamo bisogno di celebrare la nostra libertà nel momento in cui siamo costretti all’isolamento per combattere un nemico invisibile, in cui la distanza sociale ci rende un po’ più soli, possiamo e dobbiamo stringerci e sostenerci. Personalmente non ho visto la guerra e i suoi protagonisti, ma questo immondo virus è un vigliacco, come lo furono gli aguzzini di 75 anni addietro, perché è più forte con i deboli, quei nonni che sono la nostra memoria orale collettiva, e che li sta portando via. Con i suoi agguati falcidia maggiormente gli anziani e lascia a noi il compito di resistere e di ereditare quella memoria di quelle centinaia di concittadini che muoiono ogni giorno con esso. Ricordiamo i nostri padri, madri, nonne e nonni che hanno combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti, per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro e oggi tocca a noi combattere questa guerra cercando di essere tutti uniti perché la nostra amata Patria ha bisogno dell’aiuto di tutti in vista di quella ricostruzione morale, economica e sociale che si renderà necessaria dopo l’emergenza planetaria della pandemia dagli effetti devastanti. Per questo la Festa della Liberazione, il XXV Aprile è la festa di tutti noi italiani, al di là delle fedi politiche, nel nome della solidarietà e dell’unità e simbolicamente ci stringeremo uniti per combattere il comune nemico e per ricostruire il Paese dopo l’epidemia.

Un solo piccolo pensiero positivo al mattino può cambiare l’intera giornata

Le speranze…
Le speranze le ritengo simili a dei ponti che mi permettono di avanzare verso nuovi percorsi. A volte potrà capitare che quei ponti crollino subito dopo averli attraversati oppure rimangano intatti come granitiche rampe, ma ciò che avrà importanza è che quei piccoli tratti di roccia mi avranno permesso di arrivare in posti dove non avrei mai pensato di arrivare.
Favria, 26.04.2020 Giorgio Cortese

Se mi volto indietro, vedo quel che resta del mio passato, ma preferisco guardare avanti e vivere tra i colori di nuove speranze.

Quel burlone di Beccogiallo.
Il merlo Beccogiallo si posa nelle ore mattutine sulla ringhiera del balcone, con un becco arancione acceso e il corpo nero come la pece. Lo guardo, mi guarda, lo fisso negli occhietti scuri, mi sembra di conoscerli, mi fissa, un attimo mi volto, quando mi rigiro è scomparso, volato libero tra le nuvole, lasciandomi in mente la sua immagine, l’immagine dei suoi occhi, che continuano a sembrarmi familiari. Beccogiallo è volato nel campo di Melampo e da gran burlone scopre le patate appena seminate, e neanche la musica dei cd lo ferma, anzi sembra che si muova al ritmo della canzone, cosi si diverte il merlo. Beccogiallo poi va nel vicino parco e dopo il suo assolo avvincente si accontenta di un po’ di ammirazione al minimo applauso dal balcone si precipita nel fogliame. Da giorni ormai Beccogiallo mi accompagna ovunque io sia e provo una incredibile bellissima emozione. Cribbio, mi perdo nel pensare in questo periodo di tempo sospeso. C’è un merlo nel Parco, volteggia nell’aria, vira a destra, poi a sinistra, si abbassa poi all’improvviso vola via, scompare e ricompare tra il folto degli alberi. Lo seguo con lo sguardo, va a posarsi sui bassi rami del pino. Beccogiallo, scava con il suo becco aguzzo in cerca dei vermiciattoli nascosti nel tappeto erboso, io sono chiuso in casa, lui vola via e mi tiene compagnia. Quando arriva la notte insonne, con i suoi sogni misteriosi, si consumano, con gioia, pensieri reconditi per poi avvolgere in un turbinio di emozioni, sempre nuove, che stordiscono la mia anima di speranze e desideri. Domani mattina un gallo canterà e Beccogiallo già mi chiederà il suo cibo quotidiano ed io sorriderò pensando che è finita la notte del sognare ed il giorno mi attende con nuovi impulsi, con gioie da provare, tutto sarà incredibile e vero. E se ogni giorno gli uccelli cantano a noi umani per rammentarci che abbiamo un’anima, e ogni giorno ogni difficoltà è una grandissima occasione.
Favria 27.04.2020 Giorgio Cortese

Al mattino noto come è strana la sottile linea dell’orizzonte che separa terra e cielo. Nonostante sia tanto sottile sorregge da sola tutta la nostra umana speranza.

Nel mio quotidiano viaggiare….
Nel mio quotidiano viaggiare, assorto nei pensieri tornando a casa dal lavoro mi sono accorto all’improvviso della bellezza della natura nei bellissimi alberi rigogliosi di foglie e fiori ai bordi delle strade. Già gli alberi che sono poi l’esplosione lentissima di un seme. Ma nel mio viaggiare al ritorno verso casa con la radio accesa, tra ciò che non ascolto e altro che non so dire, questi bellissimi alberi che svettano verso il cielo sui bordi strada mi rammentano senza bisogno di usare i social e senza alcuna parola, che la primavera è tornata. Che bello, sono assordato dalla silenziosa felicità del mio animo. Che belli gli alberi che guardano a Dio tutto il giorno ed elevano le loro braccia coperte di foglie in perenne preghiera. Ogni anno sugli alberi spuntano le tenaci foglie, ed insistono ad infoltirsi ogni aprile- maggio per ricordare a noi umani di non perdere mai la speranza. Nella vita quotidiana dovremmo fare come gli alberi, cambiare le foglie e conservare le radici, cambiare le idee ma conservare sempre i saldi principi. Coraggio, amici, lottiamo ogni giorno con sagace costanza contro il virus e la crisi, perché noi vinceremo se uniti e conserviamo la speranza.
Favria 28.04.2020 Giorgio Cortese

Nella vita la felicità non è quando lo siamo, ma quando ci perdiamo nel fare del bene agli altri.