Da fabula a bufala. – Le bufale famose – Miton mitena, ne male ne bene! – Il mesto scombussolare – Gli analfabeti dei social forum – L’arte di andare avanti…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

A volte basta poco per rendere felice la nostra umana esistenza, se ci pensiamo bene è tutto dentro di noi, perché il pensare positivo non costa nulla ma aiuta tantissimo a tenere accesa la fiammella della speranza anche nelle giornate di buio pesto!

 

Certe volte un solo atto di gentilezza mette le radici in tutte le direzioni, e le radici nascono e fanno nuovi alberi.

Da fabula a bufala.
Questa mattina sono stato raggiunto da una notizia che mi ha inquietato l’animo, correva voce che un mio caro amico era stato colpito da probabile infarto. Avuto conferma, con mio grande sollievo nell’animo, dal diretto interessato che si trattava una colossale bufala, mi è venuto da pensare che in italiano la parola bufala significa sia la femmina del bufalo ed anche una panzana, insomma una affermazione o notizia clamorosamente falsa. Questa parola ha un successo straordinario ed il suo significato figurato è quello di una notizia falsa ampiamente diffusa, e nella cosiddetta era dell’informazione torna parecchio utile. Ma perché si dice “bufala” per indicare una storia falsa? Se parto dell’etimo della parola in senso stretto. La parola “bufalo” deriva senza ombra di dubbio dal latino tardo bufalus , che a sua volta deriva dal latino classico babulus, il quale a sua volta deriva dal greco antico, ma allora come mai dall’animale si passa ad indicare la falsità. Secondo alvuni dizionari dal sottoscritto consultati, il lemma ha assunto per la prima volta il significato di “notizia falsa” nel dialetto romanesco e la diffusione nell’italiano standard è avvenuta solamente negli ultimi decenni. Nel dialetto capitolino esiste da tempi immemori l’espressione “arifilà ‘na bufola”, ossia “truffare qualcuno, cedendo ad alto prezzo qualcosa di poco valore”. Secondo il dizionario De Mauro, la parola “bufalo” si usa anche per indicare una persona “ottusa” e “rozza”. Non va dimenticato che i pastori, un tempo, conducevano i bufali al pascolo tirandoli dall’anello che portavano al naso e coloro che si lasciano “prendere per il naso” sono gli stolti, i creduloni. Una notizia falsa, dunque, potrebbe essere diventata una “bufala” proprio per questo: solo i “bufali”, gli ingenui, gli sciocchi, possono crederla vera. Più suggestiva è l’ipotesi che la “bufala” sia detta tale in memoria della “bufalata”, un palio semi-serio e festoso tipico di molte città italiane nel Cinque-Seicento. Data l’atmosfera carnevalesca che dominava questo genere di manifestazioni popolari, infatti, la “bufala” sarebbe diventata sinonimo di “scherzo”, “burla”, e dunque anche di notizia inventata allo scopo di prendere per i fondelli qualcuno. Secondo altri l’origine del significato di “bufala” deve esere cercata nelle pratiche su caccia. Anticamente, i cacciatori si mimetizzavano nella boscaglia indossando una sorta di costume, soprattutto durante l’uccellagione, e uno dei travestimenti tradizionali era il cosiddetto “bufalo” o “bue”. Una notizia falsa travestita da notizia vera sarebbe come il cacciatore che si maschera per non dare nell’occhio: una “bufala”, dunque. Un’altra possibile etimologia è quella dall’espressione “pescare a bufala”, ovvero la pesca con due tartane che tirano una sola rete[4], tecnica di pesca difficile e che, in caso di errori, può portare a risultati disastrosi. Una possibile interpretazione del significato si può collegare al termine “buffa” ovvero folata o soffio di vento, buffare, soffiare e pertanto derivabile in senso figurato da un qualcosa che viene comunicato tramite un soffio di vento, perciò senza solide basi, sicuramente falso. Nel tempo, sempre per ipotesi l’etimologia di questa parola si sarebbe via via trasformata, perdendo una “f” e acquisendo il fonema “la” alla fine, tipica della pronuncia dialettale toscana, base della moderna lingua italiana. Da nitare infine xhe la parola bufala è l’anagramma della parola latina fabula, ed in latino fabula significa anche diceria, mah sarà solo coincidenza? Ad ogni modo questa parola può anche essere usata con un significato meno diffuso, cioè quello di errore madornale. In questo senso sembra più difficile trovare un nesso con l’animale. Ma, quale che sia il percorso che ha portato a questi significati, nel nostro orecchio il loro ventaglio e il quadrupede restano legati – con il buon vantaggio che, nonostante la gravità di ciò che questa parola intende, mantiene un piacevole colore scherzoso, ed una successiva mail segnalo le bufale fanose.
Favria, 14.03.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno sono felice e non so di saperlo!

Le bufale famose
La Donazione di Costantino a giustificare il potere temporale del papato. Antiquitatum variarum falso storica del quattrocento in 17 volumi, realizzata Annio da Viterbo, alias Giovanni Nanni. La sua mistificazione si reggeva sia su remotissime cronache da lui fabbricate, sia sulla finta scoperta di falsi reperti archeologici da lui stesso fabbricati e seppelliti. I Protocolli dei Savi di Sion, creato dalla polizia segreta zarista, Okhrana, all’inizio del novecento, con l’intento di diffondere il disprezzo verso gli ebrei. La burla di Fortsas che guarda un falso catalogo di libri rari messi all’asta nel 1840. Faldo realizzato in Belgio e furono vittima librai, bibliofili e collezionisti di tutta Europa. L’invenzione può assumere il valore di uno scherzo inteso a colpire a ridicolizzare un movimento politico del partito radicale francese che cadde nel tranello. Nel 1913, la fantasia di un tipografo francese, poeta surrelista, inventò una commemorazione della figura di un politico tanto benemerito quanto inesistente, Hegesippe Simon. L’uomo di Piltdown, che fu 1912 una famosa beffa archeologica, con la scoperta di resti ossei attribuiti a un ominide preistorico. I resti furono dichiarati falsi nel 1953. Un’altra bufala archeologica è stata quella che nel 1725 che ha visto coinvolto J. Beringer, imbattutosi in fossili falsi, nascosti dai suoi colleghi, ed e inseriti all’interno di un libro, salvo poi scoprire poco dopo che si era trattato di uno scherzo. In In ambito politico, la cosiddetta “lettera di Zinovev” un falso creato dal servizio segreto britannico per aiutare il partito conservatore nel 1924. Poi ci sono le fmose false teste di Modigliani ritrovate nel 1984 in un canale di Livorno. Poi oggi tramite internet nella posta elettronica o con messaggi sms ne viaggiano di tutti colori. Ma l’ultima famosa bufala simpatica e a tutta favriese è quella quando agli inizi degli anni 2000 venne fatto credere ad un Palio dei rioni, che avvenivano allora a settembre, che arrivavano le subrette di una nota trasmissione televisiva in voga in quei anni, ed invece erano solo dei simpatici ragazzi di Favria che si erano travestiti per l’occasione e le vere letterine di i ‘Passaparola” che non arrivarono mai!
Favria15.03.2017 Giorgio Cortese

La felicità più grande che posso provare non è dovuta dalla ricchezza materiale, ma arrivare alla fine della giornata ed essere soddisfatto di quanto ho fatto durante il giorno

Miton mitena, ne male ne bene!
L’altro giorno ho sentito vicino al lavoro due persone che al mattino si incontravano vicino all’edicola. Alla domanda del primo, e c hiedo scusa per l’ortografia piemontese: “Com a va-la?, come stai, l’altro interlocutore rispose :”Miton mitena, Così, così. Vado a prendere un caffè al bar e la titolare mi dice mi dice oggi sono”Miton mitena”. Questa espressione mi ha incuriosito ed ho natato che viene usata ogni qualvolta si parli di una cosa, persona o avvenimento che procedano lentamente, senza infamia e senza lode o non siano né carne e né pesce. Secondo alcuni la radice di entrambe le parole risiede nel vocabolo tedesco “mitte”, metà. Dal tedesco è passato al francese “mitaine” e il suo equivalente piemontese “mitena”. La mitena è un guanto che copre la mano e le singole dita ma, queste ultime, solo fino alla falange, lasciando libera l’ultima parte delle dita per poter eseguire in luoghi non riscaldati, lavori che richiedono sensibilità del tatto. Erano comuni fino all’inizio del secolo XX, quando le case non erano ben riscaldate, in particolare da parte di chi utilizzava libri o eseguiva compiti scrittoriali, quali scrivani, notai, scrittori ed aveva bisogno di avere le dita “libere”. Sono comunque ancora in uso a tutt’oggi, non più per necessità ma secondo le mode. La mitena, meglio “le mitene” in quanto ci si riferisce quasi sempre alla coppia o, più correttamente al “paio”, e sono per lo più realizzate in lana lavorata a maglia o in cotone; raramente se ne incontrano in pelle o cuoio essendo tale materiale più adatto a guanti classici con dita complete o a muffole. Secondo altri la parola piemontese mitena deriva dall’antico francese mite per indicare metaforicamente una gatta o ad imitazione del richiamo del gatto. Ritornado a questo modo di dire, la prima notizia scritta della locuzione risale ad almeno tre secoli e mezzo fa, quando Molière, nella sua commedia “Le Médecin malgré lui” nel 1666, cita una pomata senza effetto alcuno, definendola “onguent miton-mitaine”. Ancora oggi questo modo di dire è usato in Francia per definire un farmaco che non ha effetti positivi, né negativi, mentre in Piemonte ha assunto un significato più ampio come gli esempi indicati all’inizio e per indicare una persona mediocre, “Chiel-lì a ř’é ‘n miton mitena”. In una canzone satirica del 1763, “Le bizòche”, Le bigotte, si accenna ai giovani educati senza rigore che “tra miton mitena, a son mai bon a nen”. Da li deriva il verbo piemontese “mitoné”, cuocere a fuoco lento. Probabile, perché secondo alcuni deriva dal latino “mitesco”, diventar mite, e secondo altri dal lemma di origine germanica, “miton”, accrescitivo di “mia”, briciola. Ma a favore delle stessa origine del lemma alcune ricette piemontesi raccomandano di far cuocere, “miton mitena, su fiama meusia”, a fuoco lento. Tra queste, quella della supa mitonà, parente nobile della più modesta panada. Ma panada, in senso lato, è pure l’aggettivo con il quale si può identificare la persona molliccia, insulsa, di poco carattere, cioè un miton mitena. E qui si chiude il cerchio. Ma anche nella sfera delle emozioni il verbo mitoné trova il suo spazio e viene usato nel senso di meditare, rimuginare, angustiarsi, cuocere a fuoco lento nel proprio brodo. “Sté ‘d bon imoř, pijeva dossman e ancordevne che doman a ř’é tacà a ‘ncheu. Tant, con o temp e řa paja i mèiřa fin-a ij pocio”. State di buon umore, prendetevela con calma e ricordatevi che domani è attaccato ad oggi: nel senso che potete tranquillamente rimandare il lavoro a domani. Tanto, con il tempo e la paglia maturano anche le nespole. Riprendendo la frase miton mitena la stessa del tipo del ritornello ribon ribaine, malgrado nonostante. Ed è vero se nella vita evito di sare giudizi affrettati, rispettando sempre il prossimo ed accogliendo che incontro con un radioso sorriso, alla sera la giornata mi appare più bella, distesa e colorata ma soprattutto più serena, non dico “Sansossì” dal francese “sans souci”, senza affanno, ma sicuramente con meno crucci senza essere per questo un “miton mitena”.
Favria, 16.03.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno mi specchio nella vita perché è il mio tempo nuovo del domani.

Il mesto scombussolare
Ci sono dei giorni nei quali la vita sembra arcigna e non ne va bene una. Un quei momenti l’animo rimane mesto. Mesto una bellissima parola con il significato di addolorato, afflitto. Deriva dal latino, maerère essere addolorato. La mestizia è una tristezza addolorata che si eleva per dignità. In quei momenti l’animo è mesto ma sobrio anche se una leggera venatura malinconia lo pervade, ma è un dolore paziente. Insomma in quei momenti accetto la vita con onorevole mestizia abche se sono scombussolato. Insomma l’animo è in subbuglio e turbato. Mi fermo per riflettere su queste seconda bella parola colloquiale che secondo alcuni deriva da bussolo e secondo altri, di bussola. Dell’origine di questa parola, simpatica e colloquiale, i linguisti danno due ricostruzioni diverse. La prima la vuole derivata di bussolo, variante di bossolo, barattolo di legno usato, fra le altre cose, anche per il gioco dei dadi, il bussolotto dove vengono scossi i dadi e quindi rovesciati. È proprio da questo mettere sottosopra i dadi, dallo scombinarli dentro il bussolo agitato che nascerebbe lo scombussolare. Secondo altri lo vogliono derivato di bussola. Lo scombussolare sarebbe il perdere la bussola, l’orientamento. Secondo il mio parere le due origini hanno un loro fondo di verità. Se penso al cibo pesante che mi scombussola lo stomaco, il rimestìo dei dadi calza a pennello. Così a volte certi quotidiani imprevisti mi scombussolano la tabella di marcia, ed a volte la mia strategia è scombussolata dalla mossa furba degli avversari e poi bussolo e bussola sono parole sorelle, e prendono il loro nome dal duro legno del bosso, da sempre usato per creare oggetti piccoli e di un certo pregio. Beh adesso che ho finito di scrivere l’animo è ritornato sereno perchè alla fine quello che conta è conoscere i limiti delle mie umane possibilità e accettarmi come sono con tanti difetti e forse con qualche labile pregio
Favria, 17.03.2017 Giorgio Cortese

Nella vita non sono gli anni che pesano ma come li porto

Gli analfabeti dei social forum
Sempre di più sui social forum assisto alla fiera dell’imbecillità e della ignoranza allo stato puro. Davanti a questi fenomeni mi viene voglia di chiamarli “neo analfabeti dei social” Per fare una fotografia di queste persone sono quelli che abbandonano i rifiuti in giro e poi sono i primi che si lamentano che le strade sono sporche. Sono i furbetti del parcheggio e poi quelli che se la prendono per la multa di divieto. Sono quelli che rallentano per strada per vedere l’incidente sull’altro lato della strada e poi ti parcheggiano pure in curva o anche sulle strisce zebrate. Sono quelli che abbandonano gli animali e vomitano insulti su web. Si sono loro i nuovi idioti e purtroppo ci dobbiamo convivere
Favria 18.03.2017 Giorgio Cortese

Quando certe persone parlano male di me non mettono in luce i mei difetti ma solo la loro cattiveria

L’arte di andare avanti
Dopo lo sciroppo per la tosse, è uno degli oggetti più curiosi inventati dall’uomo. Ti fanno sentire stravagante. La ciabatta infradito è come un animale che va in letargo nell’inverno ed esce dai cassetti d’estate, e d’inverno si fa vedere solo nelle piscine al coperto. Tutti ne abbiamo un paio, e sappiamo quali siano i loro pregi e i loro difetti: troppo piatte per farti camminare bene, ma leggerissime da mettere in valigia. E asciugano in un attimo quando si bagnano! Erano note fin nell’antico Egitto, e sono arrivate ai giorni nostri. Con le ciabatte infradito non si possono fare scalate sulle Alpi, o maratone a New York. Però si può ridere sulla spiaggia o sull’erba. Per esempio riproponendo alcuni sport olimpici, tutti gli atleti devono indossare le infradito. Prova a correre i cento metri, o a fare il salto in lungo se sei capace. Ma anche portare a termine una partita di basket con quelle ciabatte non è uno sforzo da poco. Certo sono capaci tutti con le scarpe giuste, ma i veri eroi hanno le infradito. Un’altra esperienza no limits è ballare, se riesci a finire almeno una canzone, potrebbero girare un film su di te. Ma gira e rigira l’infradito non è tanto diversa da certi giorni in cui si fa fatica ad andare avanti, e ogni passo è come uno sforzo, l’equilibrio è fragile e mi sento goffo, insomma ci sono ciabatte infradito, ma ci sono anche giornate infradito. Queste sono giornate difficili da affrontare, e non solo d’estate, ma non posso fare a meno di pensare che passeranno. A volte mi viene voglia di riderci su, proprio come sulle ciabatte ed intanto vado avanti.
Favria 19.03.2017