Lessico famigliare. – Settembre. – Gli alberi. – Nel libero pallaio del ped tanco. – Tchak-tchak, la taccola sempre fedele! – Terre rare…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Lessico famigliare.
Ritengo che sia molto interessante scoprire l’origine e il significato dei termini che indicano i rapporti familiari, dalla famiglia, che deriva il nome da quello si scapolo, che è l’uomo libero dal cappio, al coniuge, con cui si condivide il giogo, fino alle nozze, che prendono il nome dal velo, nebula che copre la sposa, per nasconderla agli occhi di chi vorrebbe rapirla. Avo, indica l’antenato, il capostipite. Cognato sempre dalla voce latina cognatus che deriva da cum, con e gnatus, parente di sangue, così viene chiamato il fratello della moglie o del marito della sorella. Coniuge, sempre dal latino cum e iugus, giogo, indica colui / colei, con cui si condivide la stessa sorte. Cugino dal latino consobrinus, che deriva da cum, con e da sobrinus, derivante da sororinus che, a sua volta, deriva da soror, sorella, significa figlio della sorella e, per estensione, figlio del fratello o della sorella di uno dei genitori. Genero, sempre dal latino genus, genere, indica il marito della figlia, che permette di riprodurre e continuare la famiglia. Germano, dal verbo germinare, indica il fratello carnale, che proviene dallo stesso germe, ossia dagli stessi genitori. Famiglia, deriva dal latino dal latino fàmulus, che significa servo ed in origine indicava tutti i servitori e gli addetti alla famiglia. Fratello, dal latino frater, che deriva dal greco phrater, che indicava un membro della stessa famiglia, fratrìa, ossia tribù. Figlio, dal latino filius, da fellare, che significa succhiare e inizialmente indicava il poppante, il neonato. Madre dal latino mater, oltre ad essere collegato con la voce onomatopeica mamma, potrebbe derivare dal sanscrito ma, misurare, ed indica colei che si preoccupa di predisporre, preparare e formare i membri della famiglia. Mamma invece è una voce onomatopeica, deriva dalla ripetizione della sillaba ma, una delle prime sillabe emesse dai bambini entro il primo anno di vita. Questa voce ha un suono simile in molte lingue, mamy in inglese, maman in francese, mamà in spagnolo. Marito deriva dalla voce indoeuropea mari, che indicava l’adolescente che aveva una compagna giovane; successivamente il termine si è incrociato con la voce latina maris, che significa maschio. Moglie dal latino mulier, che significa donna, indicava la donna sposata in contrapposizione a virgo, ossia la nubile. Nipote, dalla voce di origine incerta, deriva dal latino nepos, che potrebbe derivare da natus post, colui che è nato dopo, ossia il figlio del figlio, oppure significa discendente. Padre, dal latino pater che, a sua volta, deriva dal sanscrito pati, che significa proteggere, è il nome dell’anziano che ha il compito di nutrire e proteggere il nuovo nato, pater familias. Nonno, derivante dal tardo latino nonnus, significa colui che educa, alleva, ma anche monaco Papà, voce onomatopeica, derivante dalla ripetizione della sillaba pa, una delle prime sillabe del bambino. Nubile, dal verbo nubere, sposare, indicava la fanciulla da marito, ossia la donna non sposata. Nuora, dal latino nurus, che deriva a sua volta da snusus, da sunus, su-generare, alla lettera significa figlia o figliastra e indica la donna che acquisisce un nuovo ruolo filiale rispetto ai genitori del marito. Parente dal latino parens, che deriva dal verbo parere, produrre, generare, inizialmente indicava i genitori e per estensione a tutti coloro che hanno legami di sangue. Prole, deriva dal latino proles ed è composto da pro, avanti, in successione nel tempo e alere, nutrire e allevare, indica i figli. Scapolo. Dal latino volgare ex capulare, liberare dal cappio, è l’uomo non sposato, celibe o single. Sorella, deriva dal latino soror, sorella, incrociato con fratello, che deriva da sor, ed indica la figlia degli stessi genitori. Suocero, dal latino socer, che sembra derivare dal sanscrito sva, suo e dal greco kyrios, signore, il termine indica il padre del marito. Zio, secondo alcuni si tratta di una voce onomatopeica; secondo altri deriva dal greco theios, divino, ed indica rispetto verso il fratello di un genitore. Zitella deriva dal soprannome o nome medievale Zita, che, tratto da una variante del termine cita o citta, significa letteralmente bambina, fanciulla e per estensione, anche pura o vergine. Di etimologia discussa, il termine cita o zita ha assunto diversi significati nel corso del tempo, tutti legati, in maniera più o meno figurata, a quello originale di bambina, ragazzina: in particolar modo, si pensi al vezzeggiativo di questo termine, ovvero zitella, dal significato di donna nubile. In siciliano ed in pugliese zita e zito significano rispettivamente “fidanzata” e “fidanzato”. In italiano indica una donna non sposata.
Favria, 30.08.2017 Giorgio Cortese

Nella vita devo solo vedere la strada del mio traguardo quotidiano anche quando la strada mi sembra impossibile.

Settembre.
È il nono mese dell’anno, ma il settimo del calendario romano, motivo per cui il suo nome è settembre. Mese che mi ricorda ancora la bella estate che ormai sta sfuggendo via con i sui giorni che ancora calore dell’estate nelle loro ore più centrali, ma nelle sere che si allungano si intravedere l’autunno dai bei giorni di cristallo che non sono più caldi e non sono freddi. Mattino di settembre dal chiaro cielo illuminato e tranquillo sugli alberi ancora verdeggianti sulle tegole rosse del muro dello steccato. Le giornate di settembre non hanno più la luce di luglio e di agosto, ma sono tenere nell’illuminare ogni cosa.
Favria, 1.09.2017 Giorgio Cortese

Il mio quotidiano proposito è di vivere una vita semplice ma non vuota.
Gli alberi.
Gli alberi sono importanti, e nei giorni caldi di inizio agosto, una domenica assolata, nel primo pomeriggio, sono andato a prendere l’acqua alla fontana Comunale, nel ritorno sono passato nel parco silenzioso, con il sole ancora alto allo zenith.e passando mi è parso di sentire il dialogo tra degli strani personaggi. Il merlo Beccogiallo, parlava con la grandiosa Quercia, la quale si lamentava dell’insipidezza di uno dei due Liriodendri, detti anche alberi del tulipano, ma entrambi concordavano con la ghiandaia Nocciolina intervenuta, non invitata al dibattito estemporaneo, che l’assenza del grande Cedro da diversi anni nel parco si faceva sentire. Al suo posto era stato messo a dimora un piccolo cedro proveniente da una villa, ma era ancora piccolo e alcuni lo scambiavano per un abete rosso. I due abeti rossi li vicino si facevano delle grasse risate per questo marchiano errore. Il piccolo cedro, aveva una voce esile ma rassicurava tutti che con il giusto spazio intorno, sarebbe cresciuto forte e vigoroso, come simbolo di tutta la Comunità, come emblema di unione e non di disunione. Poi il passaggio veloce di una lucertola mi a ridestato dal sogno ad occhi aperti e forse il dialogo me lo sono sognato, si un sogno ad occhi aperti ma come quella Lucertola sulla panchina vorrei per un attimo stare fermo, con lei godere del sole, in un silenzio riverente coperto solo di calore. Poi guardo il cielo e le rondini che scivolano nel blu intenso del cielo e, porto la mano agli occhi, la luce intensa di questa giornata pare che arrivi fino nel profondo del mio animo ed in un attimo tutto si trascolora, poi il sogno svanisce ed io con l’animo sereno mi avvio verso casa.
Favria, 2.09.2017 Giorgio Cortese

Mi affasciano le nuvole bianche perché non hanno una provenienza precisa e non hanno una meta, il loro esistere in modo così semplice è pura perfezione

Nel libero pallaio del ped tanco.
Il ritrovarsi tra parenti in una calda e placida domenica d’estate per un compleanno è sempre una bella occasione di festa e per ricordare i tempi ormai passati della gioventù. Una gradevole occasione per passare una piacevole giornata di allegria. Dopo il lauto pranzo in onore della zia arrivata alla veneranda età dei 93 anni e le relative torte siamo scesi nel cortile per ammirare una vespa di inizio anni sessanta, restaurata e ben funzionante. Poi ci siamo trovati senza neanche averlo concordato prima a giocare a bocce nel vicolo antistante al cancello di ingresso del cortile, dove i mio papà e i miei zii, con gli amici, dopo il pranzo domenicale, quando eravamo adolescenti, iniziavano delle lunghe partite a bocce. Ma non ho giocato con le classicehe bocce, ma con quelle della petanca. La petanca, parola strana che deriva dal provenzale “ped tanco”, ovvero “piedi ancorati al suolo”la pétanque! In questo gioco di bocce il giocatore che lancia deve restare fermo, a differenza del gioco classico delle bocce dove si muovono alcuni passi per prendere lo slancio per andare a punto o per bocciare. Gioco abbastanza recente, la prima partita ufficiale ebbe luogo nel 1907, dopo che il gioco fu inventato dai fratelli Ernest e Joseph Pitot, per permettere ad un loro amico Julies Lenoir di continuare a praticare le bocce nonostante i suoi reumatismi, ed il nome di “pétanque” fu attribuito al nuovo gioco nel 1910, in occasione della prima competizione ufficiale.La pétanque è considerata la versione a piedi fermi del normale gioco delle bocce, per lanciare le bocce abbiamo fatto un rudimentale cerchio del diametro di circa 35-50 cm, mi pare, dove a turno lanciavamo, tenendo i piedi immobili, fino a quando la boccia non colpiva il terreno o colpiva con una sonora bocciata quella avversaria che era vicino al pallino. Penso che per chi non pratica l’agonismo, il gioco delle bocce resta un passatempo rilassante, da vivere in compagnia e in amicizia, senza stress, senza fretta. Nel pomeriggio del gioco alla petanca pare che siano presenti anche quei famigliari che non ci sono più ricordandoli con quanto divertimento e spensieratezza passavano le domeniche estive, perché noi bipedi evoluti siamo veramente umani quando giochiamo. Il gioco delle bocce è una metefora della vita, anche li come nella vita siamo sempre soli a risolvere i problemi e dove le personali abilità si confrontano senza odiarsi com quelle degli altri e dove le amicizie si toccano simili alle bocce che sorridendomi mentre scorrevano fino al pallino erano come un rinsaldare costante i legami amicali con i parenti. La vita non è altro che il tempo giocato splendidamente da bambini ed invecchiamo se smettiamo di giocare. In quei momenti, durante il gioco, pensavo che la vita è più divertente se si gioca ogni tanto a bocce sulla terra in un libero pallaio.
Favria, 3.09.2017 Giorgio Cortese

Il premio per una giornata ben spesa e di averla vissuta!

Tchak-tchak, la taccola sempre fedele!
La taccola era famosa già ai tempi degli antichi Romani e veniva chiamata “moneta”, probabilmente poiché accusata di essere una piccola ladra di monete e oggetti luccicanti. Fama rafforzata da Ovidio ne “Le Metamorfosi” dove nel libro VII narra dell’avida principessa Arne che consegnò la propria terra a Minosse, Re di Creta, in cambio d’oro ma, dopo averlo ricevuto, venne mutata in Taccola, in un uccello che continuò ad amare l’oro e questa reputazione che viene ripresa anche dal significato del suo nome, corvus monedula, dove monedula significa moneta. A Favria ne vedo sempre degli esemplari intorno al castello, dove penso che nidifichi nei paraggi, infatti la sua adattabilità a nidificare su alberi, campanili ed altre costruzioni umane è sorprendente. Pare che la taccola sia anche un importante “controllore” della popolazione di colombi che vengono scacciati come intrusi, se nidificano all’interno di colonie di taccole, grazie alla coalizzazione di quest’ultime. Controllore e non distruttore poiché per un equilibrio naturale di mutua convenienza un predatore non estingue mai la sua preda e quindi si limitano solo al prelievo di una parte del surplus della popolazione dei colombi. Le taccole sono fedeli per tutta la loro vita che dura circa sette anni, il maschio e la femmina restano uniti anche quando si aggregano allo stormo invernale e svolgono, insieme agli altri adulti che lo compongono, un’insostituibile ruolo educativo verso i piccoli ed i giovani che riescono a riconoscere i predatori ed i pericoli solo attraverso l’apprendimento e l’esperienza del gruppo e non per istinto innato come avviene in altre specie di uccelli. Al riguardo della taccola mi ricordo di quando un pomerggio di domenica in primavera, passavo per una solitaria via di Favria sentii un ticchettio come di tacchi su di una lamiera vicino alla strada e vidi allora una piccola taccola in compagnia di altre e rammento allora di quanto scriveva il mitico Shakespeare nell’Amleto, nei consigli di Polonio a Laerte, consigli validi ancora oggi per noi, quello di non fare giungere alla lingua i pensieri che si ha in testa, insomma di pensare prima di agire. Di essere familiare con gli altri ma senza cadere nella volgarità. Nella vita sempre tenerci vicino gli amici di provata fiducia ma anche di evitare le liti, e se proprio ci sono fare in modo che sia l’avversario di preoccuparsi di noi. E poi offrire sempre l’orecchio a tutti, ma a pochi la propria voce. Certo è importante ascoltare il parere degli altri ma evitare di esprimerlo con troppa facilità. Sempre indossare abiti che siano adeguati ma di sobria eleganza, perchè molto spesso il vestito rivela la persona che li indossa. E poi non prestare soldi e non fare debiti, perchè ciò che si da in prestito spesso si perde assieme all’amico e i debiti fanno smarrire il senso della parsimonia. Ma il consiglio finale è quello di essere sinceri con noi stessi, solo così uno è sincero con tutti. Questo pensavo vedendo quel gruppo di taccole che ticchettavano sulla lamiera, pensavo con il loro tchak-tchak, stessero dando i consigli ai giovani della nidiata.
Favria, 4.09.2017 Giorgio Cortese

Nella vita mi devo sforzare ogni giorno di vivere con semplicità e pensare con grandezza.

Terre rare.
Ho letto recentemente un libro che parlava di terre rare, mi sono documentato e mi si è aperto un mondo di informazioni che desidero condividere. Siamo circondati da terre are ma pochi ne conoscono l’esistenza ma il loro uso è vitale per la società attuale tecnologicamente avanzata. Dagli smartphone ai veicoli ibridi, passando per i trapani senza fili, tutti gli oggetti contengono un pizzico di terre rare, elementi che provengono perlopiù dalla lontana Cina. Queste terre rare sono state scoperte alla fine del Settecento, sono dei metalli e non sono effettivamente rari. Se raccolgo nel campo e nel cortile di casa una manciata di terra è probabile che ci siano anche in poche parti per milione dei residui di terre rare. Vengono chiamate terre rare perchè sono rari i giacimenti dove se ne trovano in alta percentuale e che possono essere sfruttati ai fini dell’estrazione industriale. Pensate che il telefonino smart phone di uso comune ne è pieno, ed emette luci e suoni con l’aiuto delle terre rare. I magneti di neodimio, una terra rara fanno funzionare le cuffiette, altoparlanti e motorini per la vibrazione. Europio e terbio producono i colori degli schermi detti a cristalli liquidi. I militari usano il lantanio ed ittrio per i visori notturni. Invece i magneti di samario che resistono al calore sono usati per il controllo dei droni Predator e nei missili Tomahawk. Il gadolinio viene usati come agente di contrasto nelle risonanze magnetiche, il praseodimio, erbio e neodimio sono usati per scurire le lenti degli occhiali da sole, il cento favorisce l’assorbimento dei raggi ultravioletti nel vetro delle bottiglie di vino. Il lantanio ed il cerio sono usati come catalizzatori nel processo di raffinazione del petrolio. Il lutezio, costosissimo è contenuto nelle macchine per la PET, Tomografia ad Emissione di Positroni, e rappresenta una vera innovazione in molti campi della medicina, soprattutto in quello oncologico. L’erbio che è a basso costo si trova nelle fibre ottiche. Oggi il mercato mondiale dipende dalla Cina che le utilizza per la maggior parte per le proprie industrie e questo ci dovrebbe fare riflettere sugli equilibri mondiali economico sociali.
Favria, 5.09.2017 Giorgio Cortese

Buona giornata. La semplicità è la necessità di distinguere sempre, ogni giorno, l’essenziale dal superfluo.