La Valsoana dij marèt: Pierino dla Butifinéra di Marino Pasqualone

Molti pontesi, ma penso anche parecchi abitanti di Ingria e frazioni, con più di mezzo secolo sulle spalle ricorderanno certamente Pierino dlà Bùtifinéra, l’ultimo solitario e coraggioso abitante stabile di quella ormai dimenticata borgata di Pont che, abbarbicata sulle pendici dell’Arbella ad oltre mille metri di altitudine, si trova ad un tiro di schioppo dal confine con il Comune di Ingria ma lontanissima dal capoluogo del fondovalle.
Essendo coscritto di mio padre (1921), Pierino a volte passava da casa mia per un saluto e per l’immancabile bicchiere di vino, prima di rimettersi lo zaino in spalla e risalire, con il pullman fino a Stroba e poi a piedi per tre quarti d’ora e trecento metri di dislivello, alle solitudini della sua Bùtifinéra (o Bùfinéra che dir si voglia).
Ricordo che un giorno d’estate all’inizio degli anni ottanta dello scorso secolo andai con la mia futura moglie a trovarlo lassù, in quell’eremo involontario che era diventata la sua borgata, dopo che le altre famiglie ad una ad una se ne erano andate per sempre lasciandolo disperatamente solo. Pierino ci aspettava (gli avevo preannunciato la nostra visita alcuni giorni prima), ed al fresco nel lavatoio aveva messo un pintone di vino nero e (sapendo che io non lo bevo) una bottiglia di bibita alla menta. Pierino ci accompagnò per le viuzze del villaggio, silenzioso ed ormai assediato dal fitto bosco circostante, e poi ci fece vedere la sua casa e l’orto che coltivava poco lontano, lamentandosi per i ladri che, già allora, salivano fin lassù per depredare i pochi arredi rimasti all’interno delle abitazioni abbandonate. In un momento di scoramento rimpianse anche tutti i sacrifici fatti per migliorare la sua casa della Bùtifinéra, ben sapendo che sarebbero stati in gran parte vani perché, dopo di lui, su quella frazione pontese che un tempo contava quasi un centinaio di abitanti sarebbe forse sceso per sempre il silenzio.
Da allora sono passati 35 anni, e nel frattempo Pierino per ragioni di salute aveva dovuto lasciare da tempo la sua borgata per poi spegnersi, circa una decina di anni or sono, nel ricovero di Pont.
Ad oggi Bùtifinéra è rimasta senza strada carrozzabile (e nemmeno finora nessuno ha contemplato la possibilità di realizzarla partendo dalla non lontana Pasturéra di Ingria), ed ancora adesso per raggiungerla occorre scarpinare per l’erta mulattiera che sale dalla provinciale della val Soana da Stroba oppure, più comodamente, in nemmeno venti minuti per il sentiero quasi pianeggiante che la collega a Pasturéra.
Da allora ci sono tornato più volte in quel villaggio pontese ai confini tra Ingria e quella parte pontese di “Valsoana dij marét”, ed ogni volta ho visto i segni della devastazione del tempo e dell’abbandono farsi più evidenti e lancinanti. Ho visto le case esplodere, aprirsi in due e crollare a valle, con i tavoli ed i letti in bilico tra i muri ed i soffitti lacerati. Ho visto le porte sfondate ed i poveri arredi rimasti buttati all’aria da ignobili sciacalli e, in una casa dalla pregevole fattura, addirittura un pianoforte arrivato chissà come, e con quale immani fatiche, fin lassù, tra quelle rupi dove oggi risuona soltanto più il grido roco della ghiandaia ed il richiamo del falco.
Poche case oggi sono rimaste in piedi, segno comunque che qualcuno ancora torna saltuariamente in quella borgata pontese evitando così che proprio tutto vada alla malora, anche se la sequela di tetti sfondati e di muri sbrecciati diventa ogni anno più ampia ed incontrollabile, anche se Bùtifinéra è ormai un pallido ricordo di quello che era stata un tempo.
E solo cento metri più in basso, nella vicina e quasi gemella borgata Cùp, non rimane invece quasi più niente in piedi delle due file di case cresciute sul promontorio roccioso da cui si domina la basse valle Soana fino a Pont, e poco lontana c’è anche una chiesetta sotto la rupe dove però, ormai da troppi anni, nessuno sale più neppure una volta all’anno per celebrare una messa in suffragio dei morti di queste dimenticate frazioni di Pont.
E così quassù è scesa, anche in pieno giorno, un’oscurità che niente e nessuno riesce più a rendere meno opprimente e definitiva: e dire che il nostro piccolo “Tibet” fino a pochi decenni fa ce l’avevamo appena dietro casa, ma non ce ne siamo neppure accorti ed inseguendo mode effimere l’abbiamo quasi ovunque lasciato scomparire tra i rovi ed il bosco invadente.
A volte mi capita ancora di pensare a Pierino dlà Bùtifinéra ed ai suoi anni di vita solitaria lassù, a quando d’inverno il buio scendeva presto dai boschi dell’Arbella ad avvolgere il villaggio, al fuoco che crepitava nella sua stufa accesa come unico compagno per farsi coraggio tra i rumori senza vita di quel villaggio diventato fantasma.
Aggrappato soltanto ai ricordi di un piccolo mondo alpino che, lo sapeva bene anche lui, non sarebbe mai più tornato a rivivere.

Marino Pasqualone
Pierino dla Butifinera