LA “TRANSUMANZA” E’ STATA UN SUCCESSO MA QUESTA ANTICA TRADIZIONE AVRA’ ANCORA UN FUTURO ? di Marino Pasqualone

Transumanza, pascoli, lupi: parole conosciute, alcune però già rimosse dall’immaginario collettivo di chi, dalle pur vicine pianure del Canavese, volge lo sguardo verso l’incombente cerchia delle montagne che ne delimitano l’orizzonte.
( da IL RISVEGLIO POPOLARE del 5 ottobre 2017 )
Storie antiche, disegnate dove i pascoli si alzano a sfiorare il cielo, che restano comunque incise nel dna di una civiltà alpina ormai confinata tra cornici museali e spettacoli folcloristici, in bilico tra i futuristici “alberghi diffusi” che sembra dovranno nascere dal recupero delle borgate e la realtà, (al momento purtroppo l’unica “diffusa”), di case e baite abbandonate spesso allo sfacelo.
Eppure in tempi neppure troppo lontani erano centinaia gli alpeggi aggrappati alle montagne tra l’Orco e la Soana, con migliaia di animali (bovini, ovini e caprini) che ogni anno risalivano a tarda primavera e ridiscendevano alle soglie dell’autunno le strade delle valli ed attraversavano i paesi arroccati sul versante sud del Gran Paradiso.
Una fiumana di animali che si è andata via via affievolendo, non solo e non tanto per l’uso sempre più diffuso dei camion per il loro trasporto, ma soprattutto per il progressivo abbandono degli alpeggi, ad iniziare da quelli privi di accesso stradale e situati nei luoghi più impervi.
Ed oggi, a questo quadro di per se già preoccupante sul futuro dell’allevamento e della pastorizia sulle montagne valligiane, si è aggiunto l’incomodo ritorno del lupo, ormai da alcuni anni stabilmente presente in valle Soana, che ha indubbiamente aggiunto una nuova e pressante problematica da affrontare per margari e pastori.
Anche di questo se ne è parlato a Pont in occasione della due giorni dedicata alla festa della Transumanza di sabato e domenica scorsi, che ha portato nel sempre più sonnolento paese di fondovalle una vera e propria invasione di turisti e l’eco delle mandrie sopravvissute, nonostante tutto, al cambiamento epocale dal punto di vista economico, demografico, culturale ed ambientale che ha investito nell’ultimo mezzo secolo le valli Orco e Soana.
Periodo in cui è letteralmente scomparsa la secolare civiltà alpina, trasformando in villaggi fantasma decine di borgate e sacrificando prati e coltivi all’avanzata incontrollata della foresta.
Quelli dello scorso weekend sono dunque stati due intensi giorni di festa, in cui si è potuto rivivere la dimensione in gran parte perduta di un mondo contadino alpino che pure ha segnato per secoli l’economia e le tradizioni anche nelle valli Orco e Soana, e di cui il paese di Pont, naturale porta di ingresso alle montagne del versante canavesano del Gran Paradiso, costituiva certo molto più di oggi una sorta di “cerniera” irrinunciabile tra la montagna e la pianura canavesana.
E, se vogliamo, è stato lanciato anche un messaggio di speranza sulla prospettiva che l’allevamento alpino abbia ancora un futuro, seppur con la consapevolezza che niente sarà mai più come prima e che sarà terribilmente difficile invertire la tendenza ad un ulteriore spopolamento di uomini ed attività economiche che sta lentamente soffocando queste valli sempre più selvatiche e silenziose.
Marino Pasqualone