La salute di stare bene, diventa donatore di sangue. – Ma esiste ancora a Favria il bello ed il buono? – La quotidiana percezione del dovere. – Perché il cane? – Dalle castagne al ballottaggio. – La forza di una vocale. – Fiamminghi e valloni separati in casa!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

La salute di stare bene, diventa donatore di sangue
La salute è importante, la più grande ricchezza su questa terra è stare bene in salute. La maggior parte delle persone possono donare il sangue. Possono donare le persone in buone condizioni di salute, di età compresa tra 18 anni e 60 anni e con peso superiore a 50kg. La donazione di sangue è un atto volontario, un gesto di un piccolo sforzo ma di grande solidarietà. Il sangue dei donatori è infatti una risorsa inestimabile dal punto di vista terapeutico, in quanto moltissimi interventi chirurgici e tantissime malattie richiedono ingenti trasfusioni di sangue. Per chi si candida a diventare donatore, è previsto un prelievo di sangue e un’accurata analisi di quest’ultimo, in modo da stabilire se il volontario è effettivamente una persona sana. Come si vede donare sangue vale doppio, perché salva la vita a chi riceve il sangue e mantiene sano il donatore. La Tua salute è importante e se pensi di essere in buona salute vieni a Favria mercoledì 11 gennaio, cortile interno Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Per chi ha un lavoro come dipendente sono previste massimo due ore di permesso retribuite per questa prima volta, alle successive donazioni effettive, se idoneo la giornata retribuita. Vieni a Favria per vedere si puoi donare Ti aspettiamo, grazie.
Favria 8.1.2017 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana dare gioia dà anche gioia, lo scopo della vita non è vincere ma crescere e condividere. Vivere per gli altri, non è soltanto la legge del dovere, ma anche la legge della felicità!.

Ma esiste ancora a Favria il bello ed il buono?
Cari concittadini Favriesi dopo la posa della barra dissuasoria per i camion mi domando se esiste ancora il concetto del bello. Sono consapevole che il terreno è insidioso e che nulla è più soggettivo del concetto di “bello”, ma qualche considerazione va pure fatta. Personalmente, e questa è una mia personale opinione Favria diventa sempre più “brutta”, infatti conserva, insieme a tante cose belle, bruttezze antiche e sedimentate cui pare abbiamo fatto l’abitudine e ne aggiunge di nuove, come questo ultimo manufatto che mi auguro venga rimosso al più presto. Purtroppo nel territorio canavesano sovente il brutto e l’inutile, vengono introdotti, come un cavallo di Troia, con la blandizia della gratuità, della serie sì è vero, quella tale “installazione” non è bella a vedersi, ma pagano gli sponsor e non costa nulla ai cittadini. In questa caso specifico mi piacerebbe sapere quanto costa, se è omologato e se nell’installare tale manufatto si è tenuto conto di un costo, che per superficialità si tralascia quasi sempre, il “costo” del disagio esistenziale nel vederci davanti agli occhi un manufatto che non arricchisce la Comunità ma la impoverisce, questo dissuasore mi sembra che strida con i buoni propositi del piano del colore o del disciplinare la posa del fotovoltaico nel centro del paese. Penso che prima di prendere certe decisioni si potrebbe veramente riprendere il concetto di cittadinanza attiva che non vuole dire dei referendum ma aprire un dibattito con i cittadini, stare a stare sentire con pazienza e di recepire tutti i suggerimenti con le loro relative motivazioni e nell’ascoltare meno la grigia burocrazia. Non voglio addentrami in concezioni filosofiche dato che sono un grande ignorante ma rispolverare nella nostra Comunità il concetto kalokagathìa, che significa il bello e il buono non sarebbe male.. Ne approfitto per chiedere ai concittadini di farsi tutti parte attiva nel proporre dei piccoli e a volte per nulla costosi suggerimenti per abbellire dove abitano, perché le strade sono nostre, e se le manteniamo pulite e gradevoli anche Favria ne trarrà giovamento e ritorno economico. Certo qui parlo della bellezza che percepiamo magari con sensibilità diversa ma con una radice comune che ci unisce. A volte basterebbe poco, delle fioriere e altri piccoli accorgimenti, per attrarre le persone a venire a Favria e perché no a fare degli acquisti da noi. Ricordo che il commercio è quell’insieme variegato di attività che evita che una Comunità diventi dormitorio, “macte animo” cari concittadini a maggio o massimo giugno andremo a votare, coraggio.
Favria, 9.01.2017 Giorgio Cortese

Pistè ‘l fum e fè le fassine d’sabia .Voler fare l’impossibile. Lamentesse d’gamba sana. Lagnarsi senza motivo. Tirè la pèra e asconde la man .Fare il male di nascosto. L paireul a dis a là padela: tirte an là ch’il m’sporche. Vedere i difetti altrui e non i propri. Nen savei quanti pé a j’entra ant un stival, Essere un ignorante.

Se ogni giorno cerco di pensare di più a far del bene che a stare bene forse finirei anche a stare meglio.

La quotidiana percezione del dovere
Se sfoglio un dizionario trovo che il lemma dovere deriva dal latino debere, composto da de, “da”, e habere, “avere”, ovvero, “avere qualcosa da qualcuno”. L’azione doverosa è quell’azione che è vincolata a un obbligo e a una necessità, sia essa in forza di un’imposizione esterna che a un impulso spirituale o intellettuale. Dunque, seguendone il significato etimologico, dovere significa “ricevere, avere un obbligo che proviene da altro o da altri rispetto a sé e alla propria volontà”. Ed per questo che oggigiorno quotidianamente cerchiamo la formula giusta per sopravvivere alla crisi finanziaria che morde sempre di più e che speriamo finisca presto. Certo quando siamo in difficoltà è facile dare la colpa al vicino di casa che inquina lasciando il mozzicone della sigaretta per la strada o che non effettua correttamente la raccolta differenziata. Diamo la colpa alla politica locale e nazionale che non ci tutela che ci lasciano soli ed insicuri. Diamo la colpa agli immigrati che non sono visti come una risorsa ma solo come una minaccia al nostro modo di vivere. Ultimamente ho letto un libro di uno scrittore americano che non conoscevo, Elbert Hubbard, un estroso personaggio la cui vita merita di essere raccontato, che mi fa capire nel suo libro “un messaggio per Garcia” che nella vita di ogni giorno la cosa importante è quella di guardare prima di tutto sempre dentro di noi, per misurare ogni giorno quale contributo ed apporto possiamo dare ai nostri simili per crescere meglio. La storia narrata nel libro è questa, siamo nell’anno 1898, precisamente il 5 febbraio,e la corazzata Maine, ancorata al largo dell’Avana. Avviene all’interno della nave una esplosione misteriosa e le tensioni tra Spagna e Stati Uniti per il controllo di Cuba trovano così modo di sfociare in una guerra. Nei mesi successivi, il presidente McKinley capisce che l’unico modo per sconfiggere gli spagnoli è allearsi con il generale García, capo del gruppo di ribelli che da tempo lottano per l’indipendenza di Cuba. Occorre prendere subito contatti col generale, nascosto da qualche parte nelle montagne orientali dell’isola. Serve qualcuno che, da solo e in incognito, sbarchi in territorio ostile e rintracci in fretta García, consegnandogli il messaggio del presidente. Una missione pericolosa, forse suicida. Si fa avanti un ufficiale qualunque, di nome Rowan. Non fa domande, non si lamenta, non indietreggia, prende la lettera e parte per Cuba, tornando giorni dopo con la risposta del generale. Ritengo che non ha tanta importanza come il sottotenente Rowan eseguì e portò a termine la sua missione, basti dire che ci vollero 4 giorni di navigazione e tre settimane per attraversare una giungla ostile a piedi e portare la lettera a Garcia. Piuttosto il fatto che Rowan non chiese domande, ma partì e fece quello che gli era stato chiesto perchè gli era stato chiesto e sentì il dovere di farlo. Garcia è morto, ma ci sono tanti altri Garcia nella nostra vita. Il punto è che nessuno che abbia iniziato un’impresa, un business o qualsiasi altro lavoro in cui vi sia necessità di un’azione da parte di altri, abbia incontrato l’esatto contrario di Rowan, o, in generale la mancanza di abilità, di desiderio nel concentrarsi su una cosa e farla. Personalmente ogni giorno nella vita incontro delle persone dotate di una mente brillante ma che non sanno dare lezioni di vita ne riceverle. Se dovessi chiedergli di portare un messaggio al Generale Garcia, la loro risposta sarebbe, probabilmente, “ma cosa ci guadagno?”. Questa incapacità di indipendenza di azione, questa stupidità morale, questa infermità della volontà, questa ristrettezza mentale di non collaborare mi fanno sorgere una domanda, ma se le persone non sono capaci di agire per se stesse, cosa faranno quando i benefici dei loro sforzi sono per un bene comune? Ma meno male che esistono ancora delle persone, seppur rare che prendono in consegna il messaggio a Garcia senza formulare sciocche domande e nascoste intenzioni di gettare la lettera nel più vicino cestino della spazzatura, per non doverla recapitare. Di queste persone abbiamo bisogno in ogni Comunità, Regione e luogo di lavoro. Il mondo li l cerca e ha bisogno urgentemente di loro , perchè trovare delle persone che portano a termine un compito con efficienza e tempestività e una sfida quotidiana, non solo sul lavoro ma anche in ogni attività collettiva, compreso gli incarichi nella politica sia locale che nazionale. Un messaggio per García diventa allora manifesto ideale in questi tempi, dove è sempre più difficile tenere a mente che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e non nel dare sempre la colpa ad altri
Favria, 10.01.2017 Giorgio Cortese

Nessun essere umano ha la schiena dritta o come quando si china per aiutare un altro simile. In questi casi il denaro è decisivo in quando può servire ad aiutare il prossimo. Personalmente il mio più grande piacere è fare una buona azione di nascosto, e in modo che venga scoperta per caso

Perché il cane?
Da dove salta fuori l’imprecazione “porco cane?” Ma perchè ad una bestia, il migliore amico dell’uomo si abbina in modo così spregiativo un altro animale, perche? Non si dice capra, pecora, trota, orso o lupo ma cane! Ma una volta il cane non aveva tutti gli onori di oggi, pensate che tra i greci nell’Iliade il peggio insulto era “cane parlante e cuore di cervo”, Achille ad Agamennone. In certi modi di dire è rimasto l’uso per indicare una persona spietata e cattiva: “ cane di aguzzino”, oppure per un lavoro fatto male: ”lavoro fatto da cani” o “cane di cantante o attore, cane d’un traditore, o figlio di un cane”. Anticamente l’epiteto veniva usato come titolo ingiurioso rivolto dai cristiani agli infedeli, specialmente ai Turchi. In molte metafore il cane in quanto bestia viene contrapposto all’uomo, ed ecco allora “vita da cani” oppure, “vivere, lavorare, mangiare, dormire da cane”. Questo, però, non spiega del tutto l’accostamento fra cane e maiale: che bisogno c’è di rafforzare lo spregiativo “cane” con il “porco”? Sull’origine di questo detto, circola un’ipotesi inaspettata, pare che l’espressione risalirebbe al 1792, quando in Lombardia si scatenò la caccia a una bestia feroce che aveva divorato diversi bambini nelle campagne seminando il terrore tra la gente. Pare che fosse un animale feroce di colore nero della grandezza di un grosso cane con testa porcina, alla fine dopo due mesi di intese battute la bestia fu uccisa ed era un lupo. Il caso fu archiviato, ma senza troppe convinzioni: “le unghie e i denti di questo lupo non sembravano compatibili” con le ferite inferte alle vittime. Se non era un lupo, che animale poteva essere? Una iena, dato che all’epoca un circense ne aveva smarrita una? Oppure un cinghiale ovvero un porcocane! Direte leggende di altri tempi, mah! Nel 2012 in Africa è stato avvistato un animale simile che attaccava i villaggi. Se il racconto sopra indicato è vero allora l’espressione porcocane, sarebbe all’origine un’esclamazione di terrore per esorcizzare un pericolo. Ma forse porca l’oca e porco cane hanno una origine molto più antica e meno fantasiosa e risalgono alla lingua greca. In greco oca e cane hanno una assonanza con Zeus e allora invece di esclamare “per Zeus” allora dicevano porco cane o porca l’oca, come adesso quando certe persone per evitare di bestemmiare dicono cribbio, orcocane o Cristoforo Colombo alla buona pace dello scopritore delle Americhe e dei povero e fedele amico dell’uomo.
Favria 11.01.2017 Giorgio Cortese

Oggi si dona a Favria, prelievo collettivo Fidas cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20 venite numerosi Vi aspettiamo grazie

Negli esseri umani la sensibilità è una prerogativa di cui pochi sono dotati, ed è perfettamente inutile tentare di spiegarla a chi ne è privo.

Dalle castagne al ballottaggio
Oggi indichiamo con la parola ballottaggio la seconda votazione limitata ai candidati che hanno ricevuto più voti alla prima. Ma l’origine di questa paroila è antica e anche un pochino curiosa. Il lemma deriva dal francese, ballotage, che a sua volta proviene dall’antico franco balla, palla, passata prima per l’italiano attraverso ballotta castagna. Come si vede l’origine è antica e umile a Firenze le castagne si chiamano appunto ballotte. A Firenza una Torre prese il nome di “Torre delle Castagne” in cui otto secoli fa si riunivano i Priori delle Arti che usavano mettere in un sacchetto, per esprimere il proprio voto, delle castagne, ed ecco allora perchè l’ uso delle castagne come “palline” per le votazioni sta all’ origine della parola “ballottaggio”. Col tempo, naturalmente, le castagne furono sostituite con le palline di cera, di metallo o di legno, di colori diversi per espimere voti differenti. Cionondimeno, la castagna rimane, per la sua forma rotondeggiante, il primitivo strumento di votazione dei Priori, che la impiegavano per i loro “ballottaggi”. Ma pare che usare le castagne fosse usanza molto comune in Europa a quei tempi. Secondo alcuni studiosi pare che provenienze dall’arabo, ballut, o dal greco, balanos, sempre col significato di ghiande o castagne. Ricorda un tempo in cui il cibo aveva un senso diverso nella vita quotidiana, perso forse con gli ultimi fagioli per segnare i numeri della tombola, quando era una materia più viva che serviva la vita civile più che la gola. E oggi è all’interno della democrazia è l’apoteosi decisiva dell’ultima votazione, dell’entrare nella cabina con la matita indelebile e tracciare un segno su uno dei due candidati finali e mi fa a percepire la meraviglia del fluire della storia, quando il cibo e la vita sociale permangono nei secoli anche in questi tempi balogi, lemma che vuole dire infiacchito ed incerto, parola quest’ultima non a caso deriva dal lombardo balòs, furfante a sua volta dal provenzale balucco
Favria 12.01.2017 Giorgio Cortese

Ognuno di noi possiede dentro il proprio spirito una fiammella. Se ognuno si impegnasse a portarla nel mondo, quella fonte di luce, per quanto flebile ed esigua, unita a quella degli altri, formerebbe la luce invincibile della speranza.

La forza di una vocale.
Un carissimo e saggio amico mi ha narrato una storia relativa ad un cognome di una famiglia che lui conosce. Per evitare collegamenti a persone reali i cognomi da me indicati sono casuali e non sono quelli veri. La storia inizia verso la fine dell’ottocento in una ridente località in Canavese dove una famiglia dopo un a paio di generazioni era divenuta proprietaria di una piccolo ma prosperoso stabilimento tessile. Ma quello che rodeva nell’animo al padrone dello stabilimento che chiamo per caso con un cognome diffuso Rosso, era che le maestranze del suo tessilificio portavano per la maggior parte il suo medesimo cognome. Allora, non esisteva come oggi il rimescolamento nel territorio delle famiglie e tutte vivevano li da secoli e portavano per la maggior parte questo cognome, allora ogni Comunità aveva dei cognomi che erano molto diffusi e tipici per ogni piccolo paese. Il titolare, munito di ampi baffi a manubrio, una mattina decise che doveva differenziarsi dai concittadini che avevano lo stesso suo cognome, ed erano tutti poveri. Il padrone dello stabilimento tessile che voleva mettere in risalto la posizione economica raggiunta dalla sua famiglia, prese il calesse e si avviò al Comuno per parlare con il Sindaco. Il Sindaco appena lo vide, vista la sua potenza economica ed il prestigio che aveva, si mise a sua disposizione e gli consigliò un buon avvocato per modificare il suo cognome e quello dei suoi congiunti in Rossi, in quanto la vocale “i” sembrava dare un certo fascino di nobiltà e pertanto non guastava con l’orgoglio di questa persona. Passano una decina di anni e seguendo il suo esempio, mettendo da parte i soldi necessari, anche altri cambiamo il cognome da Rosso a Rossi. Dei rimanenti Rosso, alcuni emigrano in America e si perdono le tracce, altri muoiono senza lasciare eredi maschi nel perpetuare il cognome, e alla fine rimane solo una famiglia in quel piccolo paese dopo più di centocinquanta anni con l’originario cognome Rosso, acquisendo quella peculiarità che il padrone della tessilificio aveva perseguito pagando in soldoni, ma i Rosso rimasti l’avevano raggiunta senza pagare nulla. Pensando al racconto e alla parola vocale che deriva dal latino vocalis, emettere voce”, nella vita di tutti i giorni sarebbe bene che tutti noi ricordassimo che, mentre differiamo per le poche, piccole cose che sappiamo, di fronte alla nostra infinita ignoranza siamo tutti uguali e chi a parole si ritiene superiore solo per la sua ricchezza materiale in realtà non è nessuno
Favria 13.01.2017 Giorgio Cortese

Per trattare me stesso, uso la testa, ma per trattare gli altri, uso il cuore. Trovo che sia meraviglioso che nessuno abbia bisogno di aspettare un solo attimo prima di iniziare a migliorare il mondo perché si i sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.

Fiamminghi e valloni separati in casa!
Il piccolo regno belga, creato forzosamente nel 1830, è perennemente alla ricerca di un equilibrio fra le due anime, molto diverse, che lo compongono. La difesa a oltranza della lingua della propria comunità, simbolo dell’identità collettiva, è da sempre uno dei principali nodi del contendere fra i 10,5 milioni di suoi cittadini, divisi dal settembre 1963 da ben demarcate frontiere linguistiche. L’olandese è parlato al nord da 6 milioni di fiamminghi; al sud il francese è la lingua dei 3,4 milioni di valloni; a est, il tedesco della piccola comunità germanofona, 70 mila abitanti. Uno statuto a parte ha la capitale Bruxelles: 1,1 milioni di abitanti, per l’88 per cento francofoni, che vivono in 19 comuni dove vige il bilinguismo. Bruxelles è il motore economico del Belgio, una città culturalmente vivace, sempre più lanciata in una dimensione internazionale ma con l’handicap che il suo territorio, 161 mila chilometri quadrati, è inserito nel Brabante fiammingo. L’espansione dei suoi confini è quindi bloccata. Ma chi sono i fiamminghi e valloni. Vallone deriva dal francese . Wallon, a sua volta dal latino medievale wallonis, che è dal germanico walha, nome con cui s’indicavano le popolazioni celtiche romanizzate. E in senso storico, erano delle milizie mercenarie del Brabante che a partire dal 15 secolo erano al soldo della Spagna I Fiamminghi in olandese Vlamingen sono i discendenti delle antiche tribù germaniche, soprattutto Franchi, in seguito mescolatesi alle tribù gallo-celtiche di lingua gallica, i fiamminghi parlano la lingua omonima, fiammingo. Dal punto di vista glottologico, il fiammingo, vlaamsch, è uno dei tre rami in cui si divide il francone occidentale. Oggi nek cuore dell’Europa, nel Belgio si assiste al paradosso che le due etnie fiamminghe e valloni hanno degli aspri contrasti culturali. . Contrasti che attraversavano e attraversano le formazioni puramente politiche. Fino a far temere una vera e propria divisione dello Stato, a dispetto di una monarchia ovviamente unitaria e del ruolo del Belgio come luogo centrale dell’unificazione europea. Se cio avverrebbe nell’Europa unita si assisterebbe oltre alle divisione del Belgio anche la spinta autonimista della Scozia e della Catalogna. Il paradosso è che l’unione Europea e l’Euro porta a favorire la frammentazione dei singoli Stati membri, qualcosa del genere si è sentita anche in Italia, da parte della Lega Certo sarebbero delle separazione consensuali e pacifiche che porterebbero a soddisfare le varie voglie di autonomia e localismi. Ma il problema è che la coperta è lungi dall’essere così ampia e spessa da coprire senza danni il prorompere di passioni troppo accese. La coperta è, complice la crisi economica, corta e fragile, e qua e là lacerata, a causa dei persistenti particolarismi nazionali. Se si aggiunge quelli regionali o locali, il tessuto della Cominità Europea può rompersi definitivamente. Forse i vari leader Europei devono mettersi da subito al telaio con impegno e vigore, per fare veramente l’Europa Unita dei Popoli e delle Nazioni e non dei burocrati che l’affossano sempre di più
Favria 14.01.2017 Giorgio Cortese

La scoperta di una soluzione consiste nel guardare la stessa questione come fanno tutti, e pensare qualcosa di diverso, perché a volte l’ immaginazione è più importante della conoscenza