La memoria nell’animo. – Alleniamoci ogni giorno ad essere più umani. – Grazie a tutti. – Le allegre scorribande. – Grazie donatori di sangue! – Sparavél! – Bucolico convivio…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

La memoria nell’animo.
Ultimamente ho letto questa bella leggenda araba che narra di due amici in viaggio nel deserto che ad un certo punto si misero a discutere. Uno dei due l’offeso, senza dire nulla, scrisse qualcosa sulla sabbia. Poi proseguendo il viaggio in mezzo al deserto circondati da un mare di sabbia verso il mattino arrivarono ad un’oasi dove decisero di fare un bagno. Preso dall’euforia, il ragazzo offeso stava per affogare ma venne salvato dall’amico. Allora il ragazzo prese una pietra che era posta sul ciglio della pozza d’acqua dell’oasi e scrisse sopra. Incuriosito l’amico gli chiese il perchè dopo che prima era stato colpito, aveva scritto sulla sabbia e ora scriveva sulla pietra? Sorridendo il ragazzo gli rispose che quando un grande amico ci offende, dobbiamo scrivere sulla sabbia, così che il vento dell’oblio e del perdono lo possano eliminare, ma quando compie qualcosa di grande, dobbiamo scrivere sulla pietra la memoria del cuore, così che il vento o qualsiasi altra cosa al mondo non potrà mai cancellarlo.
Favria, 10.06.2020 Giorgio Cortese

Cosa ci ha insegnando questo virus? Che la vita è una “boccata d’ossigeno”, il più delle volte ignorata perché crediamo che ci sia semplicemente dovuta.

Alleniamoci ogni giorno ad essere più umani.
La protezione della mascherina rende indistinto il profilo del viso, ma in compenso rende più intenso il linguaggio degli occhi. Ho letto su di un giornale quando detto da dei dottori su una persona dimessa e guarita dal coronavirus che quando ci incontrerà di nuovo non ricorderà distintamente i nostri volti, ma riconoscerà infallibilmente i vostri occhi che mi hanno salvata. Ecco allora che l’esperienza di una nuova profondità dello sguardo che tocca nella profondità il nostro animo. Le persone che soffrono o che sono smarrite in questi giorni li riconosco dagli occhi. Nelle persone che incontro con le mascherine dai loro occhi emerge e ci comunica la loro angoscia e solitudine. Con gli occhi sotto le mascherine molte volte sono di di sguardi indifferenti e superficiali e torvi pieni di paura e di diffidenza. Ecco che il virus che ci insidia cerca di approfittarne: ci mette paura dell’altro, insegna a evitare lo sguardo. In una società del tutto e subito, dell’apparire, parolaia ed esibizionistica come la nostra, dove tutti guardano tutta l’oscenità possibile, e nessuno guarda più l’anima negli occhi e, la solitudine ci affonda invisibilmente. Impariamo ad avvolgere di sguardi buoni coloro che sono avviliti dagli ostacoli assurdi che impediscono di ricevere aiuto con tale intensità che solo se siamo testimoni sensibili ai nostri simili. Impariamo ad apprezzare tutto il lavoro umano nascosto dalle ottuse forme della merce e del profitto. Oggi anche con il coronavirus abbiamo cibo, medicine, oggetti utili, perché altri esseri umani, spesso in condizioni difficilissime, si adattano a produrre per noi. Impariamo a guardare la nostra stessa condizione umana, fragile e sensibile, con uno sguardo che le vuole bene e sa commuoversi per essa, chiunque ne patisca le ferite. Impariamo a nutrire, ogni giorno, sguardi buoni e diventeremo, ogni giorno, migliori. E anche più belli. Diventeremo fieri di essere umani, e non isterici e incattiviti di non essere sovrumani. Quando saremo liberi dalla costrizione attuale della clausura, sapremo finalmente che fare della libertà: lo stavamo disimparando, ammettiamolo. Questa è la prima mossa, da fare per ritrovare insieme una comune umanità felicemente ritrovata. Ed allora alleniamoci fin d’ora a guardarci tutti, di nuovo, con occhi che comunicano umanità vulnerabile e prossimità disponibile, al di sopra delle mascherine: anche se non ci siamo mai conosciuti, anche se ci sfioriamo a debita distanza. Era tanto che non lo facevamo.
Favria, 11.06.2020 Giorgio Cortese

Al mattino quando mi alzo cerco sempre gli ingredienti giusti per la giornata: passione, tenacia, briciole di buonsenso e gocce di umiltà. Con questi ingredienti do sapore alla mia vita e di chi incontro.

Grazie a tutti.
Voglio ringraziare i volontari di protezione civile per l’impegno profuso in questi mesi difficili e tragici della pandemia da coronavirus che si sono occupati di assicurare ogni giorno la consegna di generi alimentari e medicinali alle tante persone in condizioni di fragilità del nostro territorio. Grazie per il vostro spirito di servizio e senso civico, oltre che profondo altruismo. Grazie ai medici, infermieri, operatori sanitari, amministratori dei presidi ospedalieri e farmacisti, operatori ecologici, responsabili e amministratori della cosa pubblica; forze dell’ordine e militari di ogni grado, agricoltori; lavoratori che garantiscono lo svolgimento della corretta e ordinata vita civile e sociale. Grazie a tutti religiosi per la presenza. Un grazie a tutte le attività commerciali che stanno riaprendo, coraggio non siete soli. Grazie a tutti, ma proprio a tutti.
Favria, 12.06.2020 Giorgio Cortese

Odo nell’aria quel profumo di gioia quando incontro delle persone positive che mi sanno parlare colme di speranza.

Le allegre scorribande.
Andavo a piedi per la campagna in un giorno di fine maggio quando sono stato sorpassato da una allegra combriccola di ragazzini che correvano veloci sulle loro bici ridendo, ed avevano delle borse con delle ciliegie, forse frutto di una recente maroda. Che ricordi da bambino quando anche io con i miei amici andavano alla “maroda”. Pare che la parola maroda deriva dal nome del gatto nei dialetti della Francia centrale e occidentale che avrebbe preso il significato di vagabondo con il lemma marauder. Nel francese antico, marault, mendicante, da marir o marrir, randagio, che derivano tutti dall’antico franco marrijan, trascurare , ostacolare, affine all’antico Germanico marzijaną, trascurare, ostacolare, rovinare. Tornando al lemma maroda, con il mar onomatopeico che è il tentativo del linguaggio umano di imitare i gatti quando fanno le fusa o il loro miagolio quando sono in calore. Secondo altre versioni deriva dal latino marra strumento simile alla zappa con il ferro di forma triangolare, utilizzato per lavorare la terra in superfice, che deriva dall’antica marsa strumento analogo usato dal popolo dei Marsi. In Francia maraudise significa atto del lavoro dei contadini, marault significava l’artigiano che lavorava con il legno e produceva armadi, lo stesso per marreux, i lavoratori che lavorano con i malati, come attestati da documenti del 1463. In Francia, come detto troviamo il lemma marauder, derivato di maraud, con il significato di vagabondo. Da questa parola arriviamo alla maroda piemontese che significa razziare e vagabondare per i campi, atto questo compiuti nel medioevo dagli eserciti che passavano per il Piemonte ed adesso rimasto con il significato di fare una incursione in un campo per mangiare di nascosto delle prelibate ciliegie. Cosa che da ragazzi abbiamo fatto quasi tutti, e dirò che le ciliegie oggetto della maroda avevano un sapore migliore. Mi ricordo da ragazzo quando le gomme giravano veloci sopra l’asfalto rovente con i pedali che andavano da soli in discesa ed io alzano le gambe in segno di resa al vorticoso girare dei pedali, con l’aria che mi accarezzava il volto e l’unica preoccupazione era di cercare altri ciliegi per fare l’ennesima maroda. Certo i padroni dei ciliegi non erano contenti e finché ero rincorso da loro, la mia giovinezza, il velocipede vicino e l’amico della scorreria di vedetta rendevano la fuga semplice, un pochino più complicata era scappare dai cani, e allora meno male che esistevano delle ripide discese che mettevano a debita distanza i guardiani a quattro zampe del frutteto. Che bellissimi ricordi quando passavo tra strade comunali in collina, con le siepi di more ben curate dai padroni dei campi attigui, adesso per mantenerle pulite i Comuni, molto probabilmente pagano per mantenere pulite queste strade e queste persone le paghiamo tutti noi. Purtroppo con la giovinezza è svanito anche il senso civico che avevano i nostri genitori e nonni, meno istruiti ma più consapevoli nel curare anche quello che non gli apparteneva, e magari non sapevano neanche cosa voleva dire senso civico.
Favria,13.06.2020 Giorgio Cortese

La vita è bella! La vita è bella anche quando si tinge di grigio. La vita è bella anche quando non vanno le cose come vorrei. La vita è bella perché si sa i tempi belli come quelli brutti non sono eterni. E allora sorrido sempre alla vita e la vita ogni giorno mi sorprende.

Grazie donatori di sangue!
La giornata mondiale del donatore di sangue è stata istituita nel 2004 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il 14 giugno è stato scelto in quanto giorno di nascita del biologo austriaco Karl Landsteiner, scopritore dei gruppi sanguigni, nel 1900, e co-scopritore del fattore Rh. Grazie donatori di sangue! In occasione della Giornata mondiale del donatore di sangue voglio dire grazie ai donatori di sangue e non solo del gruppo di Favria del quale mi onoro di essere presidente pro tempore ma a tutti i donatori, Avis, Fidas, Frates e di tutte le altre associazioni che costituiscono in Italia l’arcipelago di viva solidarietà. Grazie donatori per il vostro impegno quotidiano perché riuscite a contribuire in modo significativo all’autosufficienza di sangue ed emocomponenti in modo da soddisfare le necessità di quanti ogni giorno necessitano di terapie trasfusionali. Grazie di cuore, siete eroi del quotidiano, eroi senza divisa se non quella di avere un grande cuore. Grazie di cuore!
Favria, 14.06.2020 Giorgio Cortese

Nella vita non esiste la perfezione, al di fuori dell’istante, viviamo adesso e non aspettiamo il domani.

Sparavél!
Il nome attribuitogli da Linneo è Accipiter Nisus, e questo nome scientifico deriva dal latino accipio, afferrare riferendosi alla caratteristica, tipica di tutti i rapaci, di afferrare le prede con le zampe. Il nome nisus, invece, potrebbe riferirsi al nome di un personaggio della mitologia greca, Niso, re di Megara e padre di Scilla, che nelle Metamorfosi di Ovidio viene trasformato in aquila marina. Parlo dello Sparviero un rapace che nidifica nei boschi e ama cacciare soprattutto fra i rami. Grazie alla sua agilità nel volo e alla vista eccellente, che gli riesce a far notare il più piccolo movimento anche da 200 metri di distanza, questa specie rimane appostata per lungo tempo prima di lanciarsi a capofitto sulla sua preda che mangia a piccoli bocconi dopo averla accuratamente ripulita dalle penne nel caso si tratti di un uccello. Ispiratore di diverse leggende e scritti letterari è anche il protagonista di una favola morale di Esopo, L’usignolo e lo Sparviere, dove la preda catturata implora al rapace di lasciarla andare perché troppo piccola per placare la sua fame e dove le viene risposto che è meglio qualcosa di piccolo e reale da mettere nello stomaco anziché la vana speranza di riuscire a catturare una preda più grande. In piemontese viene chiamato Sparavé o Sparavel, il lemma arriva dal provenzale esparvier, e questo dall’antico tedesco sparwari, letteralmente, aquila dei passeri, cioè uccello che caccia e mangia i passeri, composto di sparwo, passero e ari, aquila. Ma sparvel è anche sinonimo, in piemontese di persona spavalda che opera in modo veloce. Nel Rinascimento, veniva chiamato sparviero il baldacchino da letto quadrangolare, così chiamato perché fornito di cortinaggi aventi l’aspetto di uno sparviero con le ali aperte. Lo sparviero è anche l’arnese, costituito da una tavoletta di legno munita nel centro della faccia inferiore di un’impugnatura che serve per portare una piccola quantità di malta così che il muratore possa tenerla in prossimità della parete, prelevarla agevolmente con la cazzuola e con questa lanciarla contro la parete per formare l’intonaco. Lo sparviero è anche l’altro nome della rete da pesca detta anche giacchio e rezzaglio, da notare che lo sparavèl in piemontese è anche il nome del bilanciere da pesca con piombi. Infine in archeologia lo sparviero è anche ieracomorfo, letteralmente dal greco sparviero, forma, attributo riferito al dio egiziano Ra, in quanto rappresentato con testa di sparviero.
Favria, 15.06.2020 Giorgio

Ogni giorno al mattino, per colazione cerco di assumere sempre una tazza di comprensione, un barile di amore e un oceano di pazienza, non è facile ma ci provo!

Bucolico convivio.
A giugno ogni campo è rivestito d’erba, e ogni albero di foglie. In questo periodo dell’anno la natura assume uno dei suoi aspetti più belli. Sono stato ospite per un thè e per scambiare due parole con delle gradevoli persone, di cui mi onora la loro amicizia e ringrazio la sempre premurosa padrona di casa del benaccetto invito e di come ha gestito il ristretto ritrovo. Nella vita di ogni giorno l’incontro con i miei simili è simile, ogni volta, al contatto tra diverse sostanze chimiche, ogni volta avviene una reazione nell’animo e con le persone che entriamo in contatto e ne veniamo trasformati. Sono incontri di sguardi, scambi di emozioni che tracciano sui nostri animi tra luci ed ombre nuovi capitoli di quel bel libro che chiamiamo vita. Anche i silenzi di chi ascolta sono costruttivi e permettono di assimilare le emozioni esternate da altri. Ritrovarci con alcune persone in giardino è quasi una metafora della vita, perché il giardino siamo noi! Solo da noi dipende lo sbocciare del nostro fiore, per percorrere la Via del benessere. Nella vita ci sono frangenti in cui le parole non bastano, o forse sono di troppo, inadatte. Perciò il resoconto delle emozione scritte nel mio animo oggi le lascio al ricordo del pomeriggio passato in una atmosfere bucolica, idillio campestre, una felicità nell’animo di assaporare la libertà dell’aria aperta. E se proprio devo scrivere un resoconto, questo lo lascio scrivere al canto della roggia, all’intermittenza delle lucciole che alla sera riprendono possesso degli spazi che prima avevamo occupato noi umani, al fruscio della lepre, perché solo così è possibile descrivere tutto, la Vita sentita.
Favria,16.06.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana la distanza non è un ostacolo al tenersi in contatto, ma il tenersi in contatto non è un ostacolo all’essere distanti.
giorgio_cortese