La lentezza! – Sono arrivato a 61 anni, evviva! – Da marzo mi smarco! – Fagioligrassi alpini. – Potagè! – Il testamento del Maiale, messer Grugno Corocotta!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

La lentezza!
Oggi ricorre la giornata mondiale della lentezza, che ci invita a rallentare i ritmi folli della vita quotidiana e gustare uno stile di vita “slow”. Oggi siamo abituati a muoverci e vivere in velocità, a fare cento cose contemporaneamente, correre dietro a scadenze e traguardi, sempre in gara contro il tempo, insomma la nostra vita è veloce, ma oggi no! Proviamo solo per poco a rallentare a rallentare il ritmo frenetico delle nostre vite e riprendere contatto con i tempi della natura e della società. Per un giorno, proviamo il lusso ad essere lenti e produttivi, perchè essere lenti non vuole dire essere dei pigri, ma solo di ritrovare dei tempi più umani. Perché nella vita tutti prima o poi abbiamo bisogno di rallentare, di prenderci una pausa dai ritmi frenetici che accompagnano la nostra vita quotidiana. Perché fermarsi non sempre vuol dire arrenderci, piuttosto significa procedere con calma riappropriandoci delle nostre individualità e permettendoci di apprezzare le piccole gioie quotidiane per recuperare le forze e usare meglio le nostre energie.
Favria 27.02.2019 Giorgio Cortese

Quando il Carnevale impazza, andiamo tutti quanti nella piazza!

Sono arrivato a 61 anni, evviva!
Oggi 28 febbraio sono arrivato a 61 anni, sembra ieri che ero un bambino, certo il tempo se uno si volta indietro scorre veloce ed inesorabile. Oggi non c’è più una linea di confine certa tra maturità e la vecchiaia. Le età che un tempo erano dedicate al meritato riposo, alla panchina del parco, al tirare i remi in barca, stanno diventando sempre più età in cui si rimane attivi. E i modi cui si è attivi sono molteplici: ad esempio, continuando a lavorare, dedicandosi ad iniziative di volontariato, prendendosi cura dei familiari che ne hanno bisogno, coltivando passioni, facendo sport e attività fisica, viaggiando, imparando cose nuove. Io sono ancora lavoratore attivo e 61 anni ritengo che si debba vivere positivamente lo scorrere del tempo e imparare ad apprezzarlo. Cerco ogni giorno di rendere meno monotoni i miei comportamenti e fare cose diverse, come cambiare tragitto nel recarmi al lavoro, fare delle telefonate in orari diversi dal solito, quindi andando a spezzare la ripetitività delle mie abitudini, che sono molte di più di quelle di cui mi rendo conto, e credetemi sono un grande abitudinario. Cerco ogni giorno di essere orientato più al presente che al futuro. Anche se non è facile, ma divertente. Se prendo un caffè durante la giornata, anche in quel semplice gesto mi sforzo di essere completamente calato nel presente. Ritengo che solo nella consapevolezza del presente le mie mani possono sentire il piacevole calore della tazza, sentirne il profumo ed assaporane l’aroma ed apprezzarlo. Lo stesso per il lavoro, dove non rimugino sul passato o preoccupandomi per il futuro ma di impegnarmi bene nel presente. Cosi cerco e mi sforzo ogni giorno che la vita che scorre non sia presa dal rimorso del passato. Il passato è passato, certo devo farne tesoro ma lascialo andare. Neppure il futuro è qui, se faccio troppi piani per il futuro, spreco il mio tempo per preoccuparmi e allora mi godo il presente nel lavoro, in casa e con gli hobby, cerco nel possibile il lato gioioso in ogni aspetto per sentire il profumo della gioia nella vita nell’animo. W la vita ed evviva la leva del 1958.
Cuorgnè – Favria 28.02. 1958-2019 Giorgio Cortese

Per certe persone ogni giorno è carnevale tra le apparenze sfavillanti di lustrini e brillantini, dove indossano maschere ad ogni occasione e sfilano tra i carri dell’insolenza, dell’arroganza e della satira non ironica ma della supponenza!.

Da marzo mi smarco!
Il nome marzo, secondo gli studi filologici e etimologici, Marzo deriverebbe dal latino Martius. Considerato, il primo mese del primo calendario romano era il periodo della stagione dedicato al dio Marte, il dio romano della guerra. Il mese di Marzo era anticamente considerato il guardiano dell’agricoltura, antenato del popolo romano da cui discendono i suoi figli Romulus e Remus. Il mese Martius indicava l’inizio della stagione e un nuovo periodo per l’agricoltura e le arti belliche. Molte feste che provengono da quel momento storico sono ancora ricordate, anche se nel tempo hanno cambiato il loro significato e sono state assorbite dai popoli in modo diverso. Il 19 di Marzo i Romani celebravano la festa Quinquatrus in onore di Marte, nella quale si eseguiva la purificazione delle armi prima della campagna militare. Il rito era aperto dai Salii, che eseguivano la loro danza sacra nel Comizio, dinanzi ai pontefici e ai comandanti della cavalleria, i tribuni celerum. Il nome deriva dal fatto che, dei cinque giorni successivi alle Idi di Marzo, la festa si celebrava il quarto giorno. Successivamente la festa venne assorbita nel calendario cattolico come festa dedicata al culto di Giuseppe, padre putativo di Gesù. Il contrario di Marzo è il mese di ottobre, simboleggiato dal segno zodiacale della bilancia governato dalla dea Venere, e dallo Scorpione anch’esso governato dal dio Marte, per simboleggiare la chiusura delle attività agricole e belligeranti. Martius forse rimase per molti secoli il primo mese dell’anno solare romano, molte osservanze religiose nella prima metà del mese erano le celebrazioni al nuovo percorso. Si ricordano mosaici romani in cui il primo mese dell’anno veniva raffigurato da Marte o dal suo simbolo astrologico ariete, come metafora per descrivere in modo semplice l’aprire un percorso, con forza, con audacia. Altre volte è caratterizzato dal colore rosso, simbolo del sangue e della forza. la pietra come elitropio, un minerale collegato a questo mese. La presenza di ferro all’interno della pietra fa assumere un colore rossastro, che veniva associato al plasma, nella denominazione popolare anglofona bloodstone, letteralmente pietra del sangue o sanguigna. bloodstone o heliotrope. Il nome scientifico è sicuramente di derivazione greca eliotropio, heleotrope, come venne riportato nel trattato naturalistico di Plinio il vecchio, “Naturalis historia” le cui unità terminologiche sono il risultato di due parole greche helios sole trepien girare, per cui diventa evidente l’importanza della riflessione del sole, della luce, sulla pietra e l’inizio giornate con maggiore luce e di una nuova stagione. Per gli antichi l’essere nati nel mese di marzo, voleva dire essere volubile, tale associazione è dovuta alla variabilità metereologica del periodo stagionale infatti un vecchio proverbio recita: “ Marzo pazzerello, vedi il sole e prendi l’ombrello”. Al mese di marzo sono associati diversi avvenimenti come le Idi di Marzo, Marzo 1821 di Alessandro Manzoni. Alla parola marzo si possono collegare varie pèarole come: Marciare, Marchiare, Marche, Danimarca, marchionimo, Marchese, marca, marchiare, benchmark il banco dove l’artigiano inseriva i punti di ogni misura, esempio le misure utilizzate dai sarti o dai calzolai. Margine” e da li a opere famose: Marcia Turca di W.A.Mozart e la Marcia trionfale Aida di G. Verdi. Ma ecco il suo contrario o meglio l’antonimo, con smarcare, termine che deriva dal linguaggio marinaresco che significa cancellare da un elenco, viene utilizzato nello sport a squadre, sottrarre, con un passaggio un proprio compagno al marcamento degli avversari mettendolo in condizione di compiere un’azione d’attacco. In forma riflessiva smarcarsi, sottrarsi al marcamento avversario. smarcante, anche come aggettivo riferito, passaggio con cui si libera un compagno di squadra dal marcamento degli avversari. Smarcato, anche come aggettivo giocatore che è fuori dell’azione di marcamento avversaria. E a volte ne abbiamo bisogno anche noi di smarcarci dal tran tran quotidiano per fermarci e riflettere. Buon inizio del mese di Marzo
Favria 1.03.2019 Giorgio Cortese

Tempo di carnevale e dietro le maschere molti celano le lacrime con coriandoli di pensieri. Una contagiosa allegria ci fa ridere come folli matti.

Fagioligrassi alpini.
Se uno mangia in una tavola imbandita con gli alpini ha molto di più del buon cibo, ha il valore aggiunto dell’allegria ed un ritorno al passato che si manifesta nel presente. Con gli alpini il pranzo condiviso, è inteso non solo come il riunirsi intorno ad una tavola apparecchiata consumando pietanze preparate con cura, questa è diventato purtroppo molte volte solo l’immagine di una pubblicità di famose merendine, un lontano ricordo che scatena nostalgie. Certo si può dire che il pranzo di una volta non esiste più, a causa dei ritmi frenetici di cui tutti siamo schiavi, la maggior parte di noi ha relegato il momento del pasto condiviso alla cena, caratterizzata spesso da pietanze veloci e scandita dalle ansie e dalle frustrazioni accumulate durante la giornata. Si può affermare che oggi, il pranzo di una volta, quello fatto di convivialità, è diventato un rifugio sempre più raro. Oggi durante la settimana non stiamo quasi più a tavola, pranziamo in ufficio con un panino, spesso da soli. Non cuciniamo quasi più. Il rumore di pentole e padelle, il profumo del ragù che cuoce lento sul fuoco, sono solo lontani ricordi. Siamo la generazione dei take-away, dello “scegli paghi e porti via”. Il pranzo sembra essere diventato una perdita di tempo e noi, generazione d’oggi, di tempo non ne abbiamo mai abbastanza. Allora abbiamo scelto la velocità a discapito della qualità ma anche della magia che il pranzo tutti insieme riusciva a regalarci. Beh con gli alpini del Gruppo di Favria soci e simpatizzanti al pranzo sentiamo il profumo di prodotti genuini, del salame crudo e cotto, della carne all’albese con bagna cauda, della saporita capricciosa, delle cottenne e fagioli grassi nella migliore tradizione canavesana, per finire con la toma, bugie e caffè. Come la Madeleine per Poust, i ricordi si moltiplicano, le immagini nell’animo di bambino quando n punta di piedi sbirciavo nelle pentole della nonna, i pranzi estivi sotto le viti all’aperto in cui si accendevano le discussioni di calcio e politica, gli aneddoti di episodi del passato riprendono vita nella mente arrivano dritte al cuore provocando sorrisi e malinconia della giovinezza Oggi i supermercati offrono cibi senza stagione disponibili 365 giorni all’anno. Il cibo sta diventando soltanto oggetto e merce e si sta spogliando di ogni altro suo significato. Con il pranzo fagioligrassi alpini c’è la la riscoperta del pranzo inteso come convivialità, come momento da trascorrere insieme con persone che condividono i valori alpini di solidarietà, fratellanza, senso del dovere e della Patria che non sono solo parole ma anche fatti concreti come il condividere il pranzo fagioligrassi alpini, portando avanti la tradizione anche in questo momento conviviale, ed infine un pensiero di pronta guarigione all’alpino Antonio che, per motivi di salute non ha potuto partecipare a cui auguriamo una pronta e felice guarigione
Favria, 2.03.2018 Giorgio Cortese

Certe maschere resteranno, non cadranno neanche dopo il carnevale, ma la vita è verità e non possiamo celarla dietro una bugia.

Potagè!
Nelle fredde giornate invernali con le rigide temperature fa piacere già al mattino appena alzati “deje ‘n crèp ëd potagé”, dare un giro di stufa per riscaldare la cucina. Nelle campagne, il potagé era la cucina più popolare, pensata per provvedere sia al riscaldamento che alla cucina. La parola potagé deriva dal francese potage, minestra di ortaggi cucinare da pot, pentola, con il significato di tutto ciò che è contenuto nella pentola, poi minestra di verdura. Ma tale parola deriva all’origine dal latino volgare, pottum, pentola o vaso di origine preceltica. E per potage si intendono manicaretti, vivande e prelibate pietanze, cosicché potagé diventa anche il verbo che descrive chi sta cucinando. Da questa parola di origine francese deriva il lemma inglese porridge, piatto tipico della cucina inglese, consumato di solito durante la prima colazione, consistente in una zuppa molto densa a base di farina di avena fatta bollire nell’acqua o nel latte e condita con l’aggiunta di zucchero, panna, marmellate. E anche il potàggio, o potàcchio, pottàcchio, pottàggio piatto regionale di generica di pietanze di carne in umido, ed infine il bottaggio, pietanza lombarda, bottagìn nota più comunemente. con il nome di cassòla. Tornando al potagè inteso come stufa per cucinare sulla parte superiore sono posati una o più aperture di cerchi concentrici di diverso diametro per poggiare pentole e fujòt a diretto contatto con il fuoco. Questo anche per consentire corrette dilatazioni della ghisa sottoposta a notevoli sbalzi di temperatura. Un posto fisso sulla piastra rovente ce l’ha un bollitore pieno d’acqua che tiene in equilibrio l’umidità dell’ambiente e garantisce il conforto della bottiglia d’acqua calda per il letto dei freddolosi. L’acqua veniva travasata con un mestolo a forma di parallelepipedo, la càssa. Da un angolo della piastra parte un sistema di tubi incastrati uno nell’altro, i canon. Il primo fa da sostegno ad una raggiera di bacchette utili a far asciugare i canovacci da cucina, ma anche scaldare gli abiti dei bambini. Venivano anche stesi i pigiami indossati per la notte, prima di affrontare il gelo delle stanze, dove l’unico elemento tiepido era il fra, lo scaldaletto con brace ardente. E se ben caricato la sera, il potagé, al mattino è ancora tiepido, con braci sufficienti a ravvivare la fiamma. La parte laterale diffonde calore più modesto per evitare ustioni accidentali, così come un mancorrente di ottone, utile anche ad appendere i ferri per la gestione. Non parliamo poi di quel vano, usato come forno o come zona scalda-scarpe. Dopodiché l’avvento delle cucine a gas hanno messo in pensione in molte case il potagé, garanzia oggettiva per la qualità dei cibi sebbene con tempi di cottura più lunghi. Una curiosità, una donna dalle forme prosperose si diceva una volta in dialetto “bel potagè!”
Favria 3.03.2019 Giorgio Cortese

A Carnevale puoi! Vestiamoci di “cenci” e nutriamoci di “chiacchiere” e “bugie”… poi torniamo ai consueti abiti di ordinaria allegria.

Il testamento del Maiale, messer Grugno Corocotta!
Prima di uccidere il maiale, vi siete assicurati di avere un notaio a portata di mano? C’è la questione del testamento, e non è cosa da poco. L’uccisione del maiale, per molti secoli, ha rappresentato un momento veramente importante, ai confini del sacro, per le popolazioni che se ne nutrivano. Tanto importante che al porco è riconosciuto uno status quasi umano, comunque intelligente: così intelligente da rendere necessario un testamento, nel quale il sacrificando dispone dell’utilizzo del suo corpo dopo la morte. E’ evidente qui che con l’umanizzazione dell’animale ci si riallaccia a tutta una serie di antichissimi riti propiziatori, antichi forse come l’umanità stessa: riti nei quali si riconosce una sostanziale identità tra l’uomo e la bestia, destinati dalla sorte a servire ora l’uno, ora l’altro come alimentazione, nei quali si scongiura la possibile vendetta dello spirito del sacrificato e assieme ci si appella alla sua generosità. La tradizione popolare ha tramandato fino a noi alcuni di questi testamenti; quasi sempre, il senso propiziatorio iniziale è stato celato dietro una maschera di ironia a ridosso di un’altra ricorrenza altrettanto antica ed oscura: il Carnevale, nel momento in cui il rovesciamento simbolico dei ruoli avvicina di nuovo l’animale all’uomo, ed il precetto di togliere la carne può ben essere sottolineato da una ultima scorpacciata. La versione che segue è liberamente tratta da queste antiche tradizioni:
“Il sottoscritto peccatore e lurido maiale messer Grugno Corocotta, devo morire perché è Carnevale, ma prima che sia morto sentite che vi dice questo porco! Ho fatto testamento. E non potendolo scrivere di mano mia, lo dettato al cuoco Zichittone, il sedicesimo giorno delle calende di Candelora, sotto il consolato dei consoli Tegame e Speziato quando abbondano le verze. Carissimi miei estimatori e preparatori, chiedo che con il mio corpo vi comportiate bene e che lo condiate di buoni condimenti, di mandorle, pepe e miele in modo che il nome mio sia lodato in eterno. E ordinate ai presenti al testamento, di firmarlo. A mio padre Verro de’ Lardi do e lego che siano dati trenta moggi di ghiande e a mia madre Vetusta Troia do e lego che siano dati quaranta moggi di segale della Laconia e a mia sorella Grugnetta, alle cui nozze non potei esser presente, do e lego che siano dati trenta moggi di orzo. Lascio a Priapo, dio della fecondità e degli orti, il mio grugno, col quale possa cavare i tartufi dal suo horto, delle mia interiora do e donerò ai calzolai le setole, ai litigiosi le testine, ai sordi le orecchie, a chi fa continuamente cause e parla troppo la lingua, ai bifolchi le budella, ai salsicciai i femori, alle donne i lombi, ai bambini la vescica, alle ragazze la coda, ai codardi i muscoli, ai corridori ed ai cacciatori i talloni, ai ladri le unghie ed infine al qui nominato cuoco lascio in legato mortaio e pestello che mi ero portato e che ci si leghi il collo usandolo come laccio. Al padrone, che conoscete tutti, gli lascio i miei buonissimi prosciutti perché‚ per tutto l’anno, inverno e estate, si faccia le sue grandi pappate. Infine lascio il resto del mio corpo, a chi gradisce e apprezza questo porco, che fra salsicce, sfrizzoli e prosciutto non se ne spreca niente, è buono tutto! Così io vi farò peccar di gola anche da morto, basta la parola. Fra salsicce, salami e bei prosciutti uno per uno vi accontento tutti! Ed infine voglio che mi sia fatto un monumento con su scritto in lettere d’oro al maiale M. Grugno Corocotta che visse 999 anni e mezzo e, se fosse campato ancora sei mesi, sarebbe arrivato a mille anni.
Firmato da Lardone Bisteccone, Comino Salsiccio, Coppa, Capocollo, Prosciutto. Testimone il cuoco Zighittone. Qui finisce in tutta regola il testamento del maiale redatto il giorno 16° delle calende di Candelora, consoli Tegame e Speziato”
Favria 4.03.3019 Giorgio Cortese

A Carnevale ogni scherzo vale, ma c’è chi invece custodisce la maschera sempre e scherza tutto l’anno
giorgioCorte