La dignità come esseri umani! – Il cardellino. – Dialogando. – Le quotidiane paure – Commendevole cavaliere…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

La dignità come esseri umani!
Leggo e sento parlare del decreto dignità, e allora inizio questa mia riflessione che il lavoro coincide con la dignità, prima dei suoi risultati, perché come essere umani siamo fatti per progettare. Il lavoro, mia opinione personale deve essere concepito per sentirci parte attiva della società. Insomma attraverso il lavoro ci impegniamo con la nostra intelligenza, le nostre personali capacità per dare il nostro quotidiano contributo, non solo legato al compenso, che serve per mantenerci, ma non è l’unico scopo! Prendo poi ad analizzare il termine dignità che significa considerazione di nobiltà, compostezza e decoro. La parola deriva dal latino latino dignitas, a sua volta trae origine da dignus degno, meritevole. Come accade a tutti i concetti primi e fondamentali, la dignità è tanto pronunciata, ma poco esaminata nella sua essenza. La parola latina dignus, è una riproduzione del lemma greco, axios, che vuol dire sia degno, che è un bellissimo principio. Da qui come ben sapete il principio o postulato in matematica o in filosofia è un’asserzione, una verità evidente ed implicita, che prescinde da dimostrazioni, tale è la dignità. La dignità è un valore che è dentro di noi in quanto esseri umani, ma anche negli animali e del creato tutto. La dignità è alla base della nostra società e dei diritti civili e nel momento in cui venisse meno questa idea di dignità, come durante i periodi di dittatura. Tornando alla dignità del lavoro, questo non vuole dire reddito per tutti, ma lavoro per tutti! Che si raggiunge non con le leggi ma investendo nella formazione da parte della Stato, oppure non tassando l’impegno formativo degli imprenditori, per generare dei cittadini preparati ed adatti al lavoro odierno che è’ anche flessibilità. Perché il lavoro dà la dignità di vivere e mangiare attraverso il lavoro delle proprie mani non è come ricevere un sostegno economico, che mi permette di vivere, sì, ma che proviene dal lavoro di altri. Il lavoro è una dimensione così importante dell’essere umano, che quando manca viene meno la democrazia. La base della libertà è quella di poter lavorare, e di non dover cedere al “ricatto sociale” di gentaglia che tratta il lavoro come una merce senza pensare al futuro, anche il loro. Se si lavora bene e ben formati le imprese crescono, quando ognuno opera in un contesto che lo mette nelle condizioni di poter dare il meglio di sé, quando ciascuno sa che i suoi sforzi saranno visti e riconosciuti, saranno apprezzati. Personalmente ritengo che l’occupazione non si crea per decreto ma bisogna far crescere l’economia del Paese con la riduzione della burocrazia, la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, la riduzione dei tempi della giustizia civile e una scuola che formi per il lavoro e una riduzione del debito pubblico
Favria, 13.09.2018 Giorgio Cortese

La vita è un vaso invisibile e noi siamo ciò che vi gettiamo dentro. Getta invidia, insoddisfazione e cattiveria e traboccherà ansia, getta gentilezza, empatia e amore e traboccherà serenità

Il cardellino.
Nella bella stagione, passeggiando la mia attenzione è caduta su dei cardellini che avevano fatto il nido su di una pianta. Questo animaletto ricopre un ruolo simbolico nella cultura europea. Secondo la mitologia greca, Atena trasformò una delle Pieridi, Acalante, in un cardellino. Ma è anche il simbolo dell’anima che vola via con la morte del corpo, un’eredità dell’antica cultura pagana fatta propria dal Cristianesimo. La macchia rossa che presenta sul viso sarebbe testimonianza della sua vicinanza al Cristo. Si dice infatti che nel cercare di estrarre le spine dalla corona, il cardellino si punse, ferendosi. In nome di questa leggenda, Raffaello Sanzio dipinse, tra il 1505 e il 1506, la Madonna del cardellino, in cui San Giovanni Battista appare mentre offre a Gesù un cardellino, in rappresentanza della futura Passione. Altri artisti raffigurarono questo uccellino nelle loro opere, i più noti furono: Federico Barocci, Jacopo del Casentino, Giambattista Tiepolo, Pieter Paul Rubens e Francisco Goya. Il cardellino viene citato anche da Antonio Vivaldi, in un passo de “Le quattro stagioni”. Si intitola proprio “Il cardellino” un romanzo di Donna Tartt, Premio Pulitzer per la narrativa nel 2014, una storia magnifica che ruota attorno a un quadro raffigurante questo uccellino un bellissimo libro da leggere
Favria 14.09.2018 Giorgio Cortese

La storia della mia vita è un attimo tra due battiti di ciglia

Dialogando…
In questi caldi pomeriggi di fine agosto ho ascoltato una conferenza su Robert Schumann uno fra i più importanti compositori romantici. Ho avuto modo di ascoltare pezzi tratti dalla sinfonia “Renana” scritta nel 1850, accompagnati da immagini e spiegazioni che illustravano i passi musicali salienti. Ho avuto modo di apprezzare il particolare attaccamento di Schumann al fiume Reno. In questa sinfonia, organizzata su cinque movimenti, traspare un’aria giocosa, anche di giubilo, dove si rievocano i miti della Germania e le leggende legate al grande fiume. Mi è piacuto molto il secondo movimento, dal titolo “Mattino sul Reno”, è basato su un tema quasi pastorale dove sembra di sentire il placido scorrere delle acque del fiume. Bellissimi i successive terzo e quarto movimento, dove con armonia e solennità il compositore fa riferimento alle grandi cattedrali che ornano le città poste sulle rive del Reno. Ed infine la sinfonia si chiude in maniera vivace che ripropone l’euforia festosa della festa danzante sulle rive del fiume. Ascoltare Schumann con le appropriate immagine offre una fusione tra udito, orecchio e allora non sono solo semplici note ma qualcosa di più, ascoltare sentimenti, riflessioni, poesia. Nel piacevole pomeriggio ho dialogato con i sensi e la musica eternamente presenti nella vita di ogni giorno, perchè la musica è un’esplosione di emozioni che scaturisce un forte sentimento dentro tutti noi. Grazie
15.09.2018 Giorgio Cortese

La serenità è quel senso di beatitudine che ti invade, nel dormiveglia mattutino, pensando aimiei familiari ed amici.

Le quotidiane paure
Paura e più antico sentimento del mondo. Risale alle origini della vita e ci fa sentire più umani, ma anche più simile agli animali, entrambi proviamo la stessa emozione in funzione protettiva. Da sempre i popoli hanno avuto a che fare con la paura e dunque con le modalità per controllar la e vincerla. I greci avevano immaginato due divinità complementari per rappresentarla: Deimos, il dio della paura consapevole di fronte una minaccia, e Fobos, figlio di Ares e di Afrodite, il dio della paura irrazionale istintiva. Delle due modalità di reagire di fronte a un pericolo conosciuto o ad un evento sconosciuto, la modernità a declassato Fobos, preservando una sola paura, quella razionale, che l’essere umano può dominare utilizzando le moderne conoscenze scientifiche e la tecnologia per prevenire, contrastare e ridurre il peso di una minaccia. Oggi nel tentativo di esorcizzare la paura dell’ignoto, non siamo riusciti però a disfarci delle paure irrazionali e incontrollabili, se non rimuovendo e relegandole tra le ansie. Del regno di Deimos oggi rimane assai poco e di Fobos, la moderna coscienza ha ridotto a definire queste paure delle manie compulsive, idiosincrasie, comportamenti ansiosi. Insomma le piccole quotidiani paure, frutto di relazioni spontanee di fronte a qualcosa che ci turba, ci inquieta o semplicemente non ti piace. Sembra che le paure siano prive di una reale motivazione, benché trovino cause scatenanti nei ricordi d’infanzia, in piccoli traumi dimenticati. E se la paura, quella razionale per l’ignoto rimane una cosa seria, sulle fobie si finisce per scherzare, accogliendole come innocue mania che colorano la vita quotidiana. Le fobie a differenza della paura, hanno una particolarità, si alimentano delle nostre urbane fragilità, si evolvono e si adeguano alle mutate condizioni sociali, assumendo le denominazioni più disparate e coinvolgendo tutte le nostre umane declinazioni. Oggi esistono fobie che hanno a che fare con le criticità del nostro tempo, nascono dalla difficoltà di relazionarci con le persone, dalla diffidenza verso l’altro ma anche dall’ansia da prestazione, dal timore di essere giudicati, dall’insoddisfazione e dallo stress. Potremmo chiamarle ansie post moderne, provocate dalla perdita delle certezze, dal malessere sociale e soprattutto dalla solitudine. Talvolta il bisogno di uscire dal ragionamento è impedito dalla biofobia, la repulsione a convivere con i nostri simili o addirittura l’angoscia della solitudine la monafobia che spinge a ricercare il conforto degli altri specie sui social, dove la distanza e la leggerezza dei legami protegge da spiacevoli invasione di campo. Per questo esiste una fobia, l’oicofobia, quella di veder violata la propria sfera privata come pure la come pure di essere derubati delle proprie identità. Il paradosso è che sui social il privato diventa pubblico e lo stato sul social con post porta a raccogliere favore dei follower, quelli che seguono la pagina. Così l’ansia di vivere un’esistenza piena, per timore di essere travolti dalla noia mortale ci può far cadere nella atarassofibia, che è l’angoscia di vivere in assenza di stimoli e senza interessi. L’attuale crisi economica ha costretto a rivedere gli stili di vita inducendoci al maggiore risparmio e, ed è nata la pauperifobia, paura di apparire poveri agli altri che costringe delle persone a esibire un agiatezza apparente per evitare il giudizio sociale. E durante le feste specialmente a Natale spunta la singenesofobia, la paura dei parenti, la paura di essere interrogati da loro. La più attuale delle fobie e la nomofobia, la paura di essere esclusi dalla rete telefonica mobile, di non potere comunicare con nessuno. Questo è un grande motivo di ansia per chi vive costantemente connesso, non stare un giorno senza postare qualcosa seminando sui social tracce indelebili della sua vita privata, di incontri, viaggi, piaceri, emozioni. Personalmente non mi prende il panico quando non c’è campo, non mi sento perduto se non arrivano messaggi dal cellulare, ed invece di essere assalito da un senso di disperazione, provo piacere a stare per poco purtroppo, con i miei pensieri. Certo come tutti ho delle paure ma come fare a vincerle? Forse bisognerebbe fare come facevano gli antichi spartani che, temendo il panico in battaglia dipingevano scudi l’immagine della Gorgone o del dio Fobos, raffigurato con zanne bianche e gli occhi di fuoco, e usavano le proprie paure per terrorizzare i nemici!
Favria, 16.09.2018 Giorgio Cortese

Capisco di aver letto un buon libro quando giri l’ultima pagina e mi sento come se avessi perso un amico.

Commendevole cavaliere.
Una persona che conosco ha usato la parola commendevole, per dire che il gesto compiuto da una terza persona era degno di lode, apprezzabile. La parola deriva da commendare, che deriva dal latino con il significato di dare in custodia, raccomandare, composta di cum, con, e mandare, affidare. Il pregio di questa parola è che ha un significato semplice e luminoso, si dice commendevole chi o ciò che è lodevole, apprezzabile. La parte della parola che colpisce il mio animo è “mandare”, cioè dare in mano. Questo genere di affidamento illumina il significato del commendevole, e dà tutto il senso di un’approvazione, di una lode che meritatamente, e con una certa solennità, conferiamo, quasi in custodia, quasi raccomandandoci. Da questa parola trae origine il termine “commendatore”, dal tono nobile e cavalleresco da cui trae origine, ma trasmette anche delicatezza e tepore. Quello di commendatore è uno dei gradi onorifici nei quali possono essere suddivisi gli ordini cavallereschi di merito. Il termine deriva dall’uso, negli antichi ordini religiosi militari, di attribuire ad alcuni membri le rendite e i benefici di una commenda. I commendatori portano l’insegna dell’ordine sospesa al collo, appesa a un nastro con i colori dell’ordine. In genere, nelle istituzioni divise in cinque classi, quello di commendatore è il grado intermedio tra quello, inferiore, di ufficiale, o cavaliere di prima classe, e quello, superiore, di gramd’ufficiale, o commendatore con placca. In quelle divise in tre classi, è il grado intermedio tra quello, inferiore, di cavaliere e e quello, superiore, di cavaliere di gran croce. Nel Patrio stivale, il titolo di Commendatore ha di norma un solo grado ed è stato utilizzato come onorificenza di terzo grado nella maggior parte degli ordini degli stati preunitari della Penisola, entrando in uso in maniera decisiva negli ordini cavallereschi del Regno d’Italia ed anche in quelli dela Repubblica., da li a cavaliere il passo è breve. Si dice cavaliere chi va o viaggia a cavallo. Nell’antica Roma, per cavaliere erano gli appartenenti all’ordine equestre, categoria privilegiata nell’esercito e classe sociale ben distinta per il censo e per la fisionomia politica e sociale, corrispondente all’odierna borghesia.
Favria, 17.09.2018 Giorgio Cortese

Nella Vita, possiamo averegiorgio_cortesesettembre18
tutto ciò che Vogliamo se
sappiamo aiutare gli altri
ad ottenere quello che
desiderano.