Ius ad operandum. – Il bargello, Dogberry! – Viviamo tra numeri e simboli. – SOS sangue, facciamoladifferenza.- Pistin pignolo pistafum.- Questo e altro. – Sua maestà la cipolla…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Ius ad operandum
Che tristezza nell’apprendere che i nostri concittadini eletti al parlamento dopo aver dibattuto tanto sul “Ius soli”, per dare al la via alla cittadinanza dei “nuovi italiani” hanno rinviato il tutto a dopo l’Estate. Che poi lo “ius soli” concede la cittadinanza a persone cioè che, secondo il testo già varato dalla Camera e all’esame del Senato, sono nate in Italia e qui stanno studiando, che parlano la nostra lingua, che hanno anche i nostri costumi e i cui genitori, residenti nel nostro Paese da tempo, non hanno commesso reati, qui lavorano e qui pagano contributi e tasse. E i nostri novelli soloni che cosa fanno rinviano il tutto a dopo la pausa estiva, dimostrando la loro inettitudine nell’affrontare il problema. Forse il tutto è il risultato amaro della propaganda meschina e a tratti odiosa che nei mesi scorsi è stata scatenata sul piano politico e mediatico contro una normativa che concede la cittadinanza in Italia a chi si sente già italiano ma si confondono questi futuri neo cittadini con le schiere di immigrati che sempre più numerosi vengono raccolti in mare, e che secondo qualcuno vengono raccolti anche sulla costra africana per andare ad ingrossare un traffico poco chiaro di chi ci guadagna su questi disperaati, sicuramente non loro. Forse la madre dei problemi non è il ius soli o gli immigrati che arrivano sempre più numerosi con una Europa burocrate, che non serve, che fa finta di non vedere, ma il vero problema è il diritto al lavoro il “Ius ad operandum”, il lavoro oggi in Italia non deve essere un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati ma un diritto per tutti. Rendiamoci conto che futuro lasciamo ai nostri figli e nipoti, oggigiorno quanti giovani oggi sono vittime della disoccupazione! Quanti di loro hanno ormai smesso di cercare lavoro, rassegnati a continui rifiuti o all’indifferenza di una società che premia i soliti privilegiati e impedisce a chi merita di affermarsi. Ritengo che ogni italiano che lavora o che cerca lavoro ha il sacrosanto diritto di vedere tutelata la sua dignità, e in particolare i giovani devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, il loro entusiasmo, l’investimento delle loro energie e delle loro risorse non saranno inutili. Altrimenti cambiamo l’articolo della Costituzione che afferma che siamo una Repubblica fondata sul lavoro! Se risolviamo il problema del lavoro, dando lavoro agli italiani gli altri ostacoli si ridimensioneranno e si favorirà l’integrazione perché nessun essere umano si inizia a riconoscere in una comunità o in un luogo diverso da quello in cui si è formato o ha vissuto senza che nel nuovo luogo nasca un’amicizia o una forma di fratellanza. Solo chi non ha letto nulla dei grandi filosofi o poeti sottostima la forza della parola amicizia, o sorride se la si usa a proposito di questioni sociali. Ma è l’amicizia leggendo Platone, Cicerone Dante, la forma d’amore più alta. E dunque la forza più imponente di cui disponiamo in Italia, ed invece, ci affidiamo alla fredda burocrazia e a qualche buon sentimento a costo zero.
Favria, 25.07.2017 Giorgio Cortese

La bellezza della vita è simile ad una gemma preziosa, per la quale la migliore montatura è la più semplice.

Il bargello, Dogberry!
Ho recentemente letto la commedia di Shakespeare: “Molto rumore per nulla” che si sviluppa su due vicende parallele, quella principale della relazione tra Ero e Claudio, e quella tra Beatrice e Benedetto, pretesto per dare vita a una serie di dialoghi brillanti e arguti. Nella tragicommedia viene usato il termine bargello, anticamente barigello, che deriva dal latino medievale barigildus, termine di origine longobarda, per i Goti bargi e i tedeschi burg. Il suo significato è torre fortificata o castello. Nel Medioevo, bargello era il nome attribuito al capitano militare incaricato di mantenere l’ordine durante periodi di rivolta, avendo spesso funzioni dittatoriali di reggente. Il bargello, come Capitano di Giustizia o Capitano del Popolo, fu presente in molte città della penisola italiana, particolarmente sotto lo Stato Pontificio. Il termine bargello venne preso per estensione dal palazzo sede del capitano di giustizia. A Firenze il bargello veniva scelto tra persone straniere, chiamandoli da un’altra città, allo stesso modo del podestà. Tonando a parlare di “Molto rumore per nulla”, tutta la vicenda in realtà si basa sull’uso delle parole e dei bisticci verbali, tanto che il titolo è emblematico, in quanto Molto rumore per nulla si riferisce proprio al fatto che nella commedia si utilizzano tante parole, stratagemmi, complotti ed equivoci che hanno solo la funzione di divertire, in quanto, al fine della vicenda, non hanno conseguenze. Amo Shakespeare nell’uso della parola, in “Molto rumore per nulla” una tragicommedia per l’unione di più generi, dal comico al drammatico, mi ha colpito la figura di Dogberry, Carruba il bargello, sempre accompagnato dalla fida spalla Sorba, che continuamente maltratta, è il capo delle guardie di ronda a Messina. Come altre volte, il nome originale scelto da Shakespeare per personaggi buffi è chiaramente allusivo. La corretta traduzione è infatti “bacca di cane”, in riferimento ad un particolare tipo di frutto selvatico, probabilmente uva spinatipico del bacino Mediterraneo. La sua estrazione sociale è inferiore a quella di altri personaggi: nel confronto con loro il linguaggio del poliziotto va incontro ad inevitabili papere linguistiche. Nonostante all’apparenza il personaggio sembri unicamente avere la funzione di animare la commedia per fornire uno spunto comico e parodistico, è invece per il suo impegno risolutivo nello scoprire i piani di Don Juan, che il “molto rumore” si quieterà. Quando si trova a dover descrivere un reato, Dogberry lo fa sotto forma di elenco numerato, disordinatamente, ripetendo più volte gli stessi concetti con parole diverse. Se insultato, fa mettere ripetutamente a verbale l’insulto, per poi fregiarsene più volte come di un titolo, con un inevitabile effetto comico.
Favria, 26.07.2017 Giorgio Cortese

Nelle situazioni di bisogno imparo a conoscere maggiormente gli altri.

Viviamo tra numeri e simboli
Siamo abituati a risolvere problemi matematici usando lettere e numeri, oltre che simboli adatti a designare enti e operatori dai significati più vari. Ma quali sono le origini e le motivazioni più remote di quei simboli? Hanno un significato che non sia semplicemente quello assunto nelle teorie dove sono utilizzati? O ancora perché disegniamo figure geometriche, e perché si possono collegare a quelle figure complessi calcoli algebrici? Ritengo che le vere motivazioni originarie delle teorie sono sempre oscure, e che tuttavia il matematico, quando si trova a operare con i suoi concetti lungo linee strettamente formali, dovrebbe ricordarsi di tanto in tanto che le origini delle cose giacciono in strati più profondi di quelli a cui i suoi metodi gli consentono di discendere. Al di là della conoscenza conquistata dalle singole scienze resta il compito di capire. Ma posso chiedermi se mi conviene e se è possibile retrocedere per cercare le origini. Posso partire dalle parole con il termine greco che designava la figura geometrica: “schéma”. Sulle proprietà delle figure geometriche si basava la matematica degli Elementi di Euclide. Con il termine “schematismo” Kant avrebbe poi designato quell’arte insondabile nascosta nelle profondità dell’anima umana e di cui ignoro la profonda natura e le vere scaltrezze, in cui sono fissate le regole con cui agisce la mia immaginazione nel tracciare una circonferenza, oppure le linee di un triangolo o di un trapezio. Dagli schemi già studiati nella matematica antica, greca e babilonese, si sarebbero pure ricondotti gli algoritmi numerici con cui i matematici del 1500 e successivamente avrebbero edificato l’algebra che oggi conosciamo. Infine, gli stessi schemi sarebbero serviti a definire gli algoritmi più avanzati con cui un calcolatore risolve numericamente le equazioni della fisica matematica, un problema di minimo o un sistema di equazioni non lineari. Ecco allora che “schéma” è principio di costruzione, legge della mia immaginazione come pure dei calcoli che delego sempre più spesso al computer. Un altro termine che mi fa intravvedere il filo di riferimenti che cm lega al passato è il sanscrito ṛta, nozione cardine dell’universo religioso, giuridico e morale delle civiltà indoeuropee, che denotava l’Ordine che regola l’assetto dell’universo, il movimento degli astri, i cicli delle stagioni e degli anni, i rapporti tra uomini e dèi e i rapporti tra uomini. Il senso della parola, accostabile al latino di ritus e artus, richiama quello di un’articolazione che lega assieme le cose più diverse, con metodi che la matematica ha sempre cercato di stabilire, mediante liste, rapporti, equazioni, teoremi e algoritmi. Oltre alle enumerazioni, ovunque presenti nella letteratura antica, due nozioni di fondamentale importanza sarebbero state implicate nell’idea di concatenazione esatta designata dal termine ṛta, quello della crescita delle grandezze e il concetto di continuo geometrico e numerico. Il problema di stabilire le regole con cui le grandezze geometriche possono crescere o diminuire senza mutare la loro forma era di fondamentale importanza per la matematica e la filosofia greca. E proprio dal modo in cui quel problema fu risolto in alcuni casi critici, come la crescita di un quadrato o di un cubo, derivò la ricerca di metodi generali per risolvere le equazioni algebriche, nei secoli XVI e XVII. Il metodo per approssimare la soluzione di un’equazione per passi successivi si sarebbe compreso immaginando un quadrato che, ad ogni passo, cresce o decresce secondo le regole stabilite dalla geometria pitagorica. Nei primi decenni del XIX Secolo Bernard Bolzano fu tra i primi a capire che l’idea matematica di continuo doveva svilupparsi in modo puramente analitico, senza ricorrere a nozioni di spazio, di tempo o di movimento. Fu questo un passaggio rivoluzionario, perfezionato successivamente e i concetti dell’analisi non sarebbero mai più mutati. L’idea che lega le cose esistenti in natura siano in un contatto intimo tra loro, senza fessure aveva appunto lo scopo di realizzare questo concetto in un dominio numerico che doveva includere, oltre agli interi e alle frazioni, anche i numeri irrazionali e questo spiega di molti altri tentativi più o meno riusciti di dare un fondamento alla introduzione dei numeri irrazionali nell’aritmetica.
Favria 27.07.2017 Giorgio Cortese

Le quotidiane difficoltà sono simili al buio della notte, ma se così non fosse non riuscirei a vedere le stelle e a cogliere nuove opportunità

SOS sangue. Andate a donare! #facciamoladifferenza#
E’ ancora in emergenza sangue, in questa situazione di criticità Vi comunico i luoghi che in agosto saranno aperti i punti prelievo collettivo
ADSP- FIDAS ZONA 2 CANAVESE
LOMBARDORE ore 8,00- 11.00 MARTEDI’ 1 AGOSTO
c/o C. circ. Ricr. Culturale- Via Vauda a Lombardore
MONTANARO ore 8,00- 11.20 SABATO 5 AGOSTO
c.o.Loc. Comunali-piano terra Via G. Bertini 1 Montanaro
FRONT C.SE ore 8,00- 11.20 DOMENICA 6 AGOSTO
c.o sala Consigliare comune di Front, via G. Falcone 7 Front C.se
RIVAROLO C.SE ore 8,00- 11.20 LUNEDI’ 7 AGOSTO
c.o Centro Sociale 1 piano- Vicolo Castello 1 Rivarolo C.se
VALPERGA ore 8,00- 11.20 LUNEDI’ 7 AGOSTO
c.o RSA BARUCCO- via Busano 6 Valperga
FAVRIA ore 8,00- 11.20 VENERDI’ 11 AGOSTO
Via Barberis 11 – Cortile Comunale Favria
CIRIE’ ore 8,00- 11.20 SABATO 12 AGOSTO
c.o ASL Via Biaune 23/a Ciriè
FRASSINETTO ore 8,30- 11,20 GIOVEDI’ 17 AGOSTO – autoemoteca
Via Roma – Frassinetto
FAVRIA ore 8,00- 11.20 SABATO 19 AGOSTO
Via Barberis 11 – Cortile Comunale Favria
RIVAROLO ore 8,00- 11.20 VENERDI’ 25 AGOSTO
c.o Centro Sociale 1 piano- Vicolo Castello 1 Rivarolo C.se
CIRIE’ ore 8,00- 11.20 DOMENICA 27 AGOSTO
c.o ASL Via Biaune 23/a Ciriè
FAVRIA ore 8,00- 11.20 LUNEDI’ 28 AGOSTO
Via Barberis 11 – Cortile Comunale Favria
RIVARA ore 8,00- 11.20 MERCOLEDI’ 30 AGOSTO
Ex Municipio Via G. Grassa 26 – Rivara
VARISELLA ore 8,00- 11.20 MERCOLEDI’ 30 AGOSTO
c.o. Municipio –piano terra- Via Don Cabodi 4 Varisella
Per donare è necessario avere età compresa tra i 18 ed i 65 anni, peso maggiore di 50 kg e non aver assunto farmaci antinfiammatori negli ultimi 5 giorni, antibiotici ed antistaminici negli ultimi 15 giorni. Invitiamo inoltre i donatori a supportare le raccolte straordinarie promosse dai Gruppi Comunali della ADSP – FIDAS ZONA 2 CANAVESE e anche nel difffondere l’appello perché la notizia raggiunga più persone. Durante l’estate si rende necessario più che mai un maggiore impegno da parte di tutta la popolazione grazie per l’aiuto a fare bene del bene! Grazie
Per info sanitarie telefonare al 0116634225. Per info redazione del seguente testo tel al cell 3331714827- oppure mail corteseg@tiscali.it. INTERVENIAMO NUMEROSI!! SIAMO IN EMERGENZA! ABBIAMO BISOGNO DI TE. Ricordiamo che i donatori lavoratori dipendenti se donano hanno diritto alla giornata retribuita. Portiamo un amico, facciamo un gesto concreto alla vita! #facciamoladifferenza#
Favria 28.07.2017 Giorgio Cortese

Quando penso di non farcela, ricordo sempre che sono stato più forte di qualsiasi tempesta si sia abbattuta nella mia vita.

Pistin pignolo pistafum.
Tutti nella vita abbiamo incontrato ed incontriamo delle persone pignole, eccessivamente precise, pedanti, inutilmente meticolosi. La parola deriva da pigna, dal latino pinea, femminile sostantivato dell’aggettivo pineus, del pino. Mi domando allora che c’entra questa qualità con il pinolo? L’uso figurato di questa parola richiama un carattere del pinolo: questo seme è profondamente confitto nella pigna al modo in cui il pignolo è passivamente immobilizzato nei suoi schemi di precisione. Se incontro un burocrate pignolo, questi mi fa perdere la mattinata dietro a fax e fotocopie ma lavorare con colleghi pignoli mi aiuta nel lavoro dato che sono per natura disordinato. Fra l’altro, pignolo è anche il nome di un tipo di vitigno friulano i cui caratteristici grappoli serrati ricordano delle pigne, e anche di una varietà di olivo. Si usa anche il termine pistino che pari derivi dal piemontese “pistè”, cioè pestare, perché è una persona che si intestardisce su un punto. Secondo alcuni pare che derivi dall’uso antico di macinare il sale grosso in casa in casa o anche il nome dato al riso o sminuzzato per animali. Persone così cavillose che ha volte divengono dei pistafum dei fanfaroni.
Favria, 29.07.2017 Giorgio Cortese

La mi vita ogni giorno mi insegna a danzare sulle note della realtà

Questo e altro…..
All’inizio del mese di giugno sono passato con Riccardo e Giovanni su mandato del Comitato della cappella della Madonna della Neve, uno dei borghi storici di Favria a raccogliere offerte nel rione, come da tradizione. Il camminare a piedi per tutte le vie del rione, procedere un un dedalo di piccole strade entrando in freschi cortili, ognunono carico di storia di generazioni di favriesi che li hanno vissuto e lavorato, mi ha fatto pensare a quanti sacrifici hanno fatto nei secoli i borghigiani a mantenere sempre in lustro la piccola cappella del borgo che era già presente nel tardo medioevo come sede un un piccolo cimitero, facente parte della diocesi di Torino con la chiesa principale S. Michele, dove sorgeva la primitiva “Capella S.ti Michaelis in Castro Fabricae”, la quale era subordinata alla pieve di San Genisio ed era una delle due parrocchie del borgo di Favria, l’altra “S.ti Petri de Peza”, attuale San Grato, cimitero, faceva riferimento alla diocesi di Ivrea. Pensate che il culto il nome della Madonna della Neve viene già sancito dal Concilio di Efeso, il terzo, nel 431, per ricordare il miracolo di una nevicata in piena estate, il 5 agosto a Roma. Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa seguendo la superficie del terreno innevato e fece costruire l’edificio sacro. Ritornando al giro compiuto con gli amici Giovanni e Riccardo ecco che il mio animo nel passare a raccogliere delle offerte è rimasto colpito da come delle persone anziane e giovani hanno aderito nel dare l’obolo per la cappella dicendo molti di loro: “Per la Madonna, questo è altro.” Leggere nei volti e nei gesti delle persone una religiosità non di facciata ma sentita mi ha reso onorato di fare parte del Comitato che ogni anno cerca sempre di mantenere al meglio il sacro edificio, si edificio religioso ma anche memoria delle nostre radici comuni, collante della Comunità. Qualcuno mi ha anche detto che era solo un piccolo obolo e che avrebbe voluto fare di più, ma con la pensione minima non riusciva. Noi rassicuravamo che chiedevano ma non imponevamo nulla, accettavamo anche un semplice sorriso e saluto ed abbiamo anche incassato degli oboli di diniego. Il leggere nei loro volti solcati dalle rughe del tempo o in visi giovani e solari l’attaccamento alla tradizione non in maniera statica ma attiva, anche informandosi dei lavori fatti e che si vorranno fare e perché no, dando dei suggerimenti mi hanno donato una ricchezza incommensurabile rispetto alla piccola somma raccolta dalla colletta di borgata. Oggigiorno in questa società liquida, sempre di più individualista dove viviamo in un mondo che sempre piú sacrifica i piaceri e i benefici della conversazione sull’altare delle tecnologie digitali, trovare delle persone che Ti parlano negli occhi senza dare un’occhiata allo smartphone è vera ricchezza. Insomma persone in carne e ossa che non vivono costantemente in un altrove digitale. Diversamente giovani che avrebbero un romanzo di esperienze da raccontare, che Ti accolgono con empatia, ma che nella loro vita hanno imparato nel contempo a sopportare solitudine e inquietudini e che fanno sacrifici per la loro borgata, anche dando forse il di più, mi ha arricchito l’animo. Grazie Valentino e a tutto il Comitato per l’impegno e la volontà di preservare sia fisicamente l’edificio che culturalmente e anche dal punto di vista religioso le nostre comune radici. W la Madonna della Neve di Favria, evviva il Comitato e tutti i borghigiani.
Favria, Giorgio Cortese

Ogni giorno cerco di dipingere ogni attimo di vita con un colore, una sfumatura, eliminando il grigio, il nero per cercare di creare il mio arcobaleno.

Sua maestà la cipolla.
Secondo alcune credenze popolari la cipolla avrebbe virtù medicamentose per combattere ad esempio i disturbi, le irritazioni o i bruciori provocati dal malocchio si dovevano mangiare cipolle bollite, bevendo anche l’acqua di cottura. Veniva usata anticamente per eliminare le verruche strofinandovi sopra un pezzo di cipolla, che poi si gettava dietro la spalla destra, allontanandosi senza voltarsi. In Sicilia si applicava la cipolla sulle punture di vespe e si ripeteva per tre volte uno scongiuro che in dialetto recita: “San Paolo fece la vespa e san Paolo la domò”. Anticamente la cipolla era anche uno strumento di pratiche divinatorie. Le ragazze indecise fra vari pretendenti incidevano l’iniziale del nome di ogni spasimante su ogni cipolla, poi le mettevano su un asse e aspettavano, la prima a germogliare indicava l’uomo da scegliere. Sembra che i bulbi di cipolla e di altre piante della famiglia siano stati usati come cibo già nell’antichità. Negli insediamenti cananei dell’età del bronzo, accanto a semi di fico e noccioli di dattero risalenti al 5000 a.C., sono stati ritrovati resti di cipolle, ma non è chiaro se esse fossero effettivamente coltivate a quell’epoca. Le testimonianze archeologiche e letterarie suggeriscono che la coltivazione potrebbe aver avuto inizio circa duemila anni dopo, in Egitto, insieme all’aglio e al porro. Le cipolle e i ravanelli facessero parte della dieta degli operai che costruirono le piramidi. Nella piramide di Cheope c’è un’iscrizione che si riferisce a quanto era stato speso in ravanelli, cipolle e aglio. Dato che la cipolla si propaga, si trasporta e si immagazzina facilmente presso gli antichi egizi ne divenne fecero oggetto di culto, associando la sua forma sferica e i suoi anelli concentrici alla vita eterna. L’uso delle cipolle nelle sepolture è dimostrato dai resti di bulbi rinvenuti nelle orbite di Ramesse II. Gli egizi credevano che il forte aroma delle cipolle potesse ridonare il respiro ai morti. In Grecia era consacrata alla dea Latona, madre di Apollo e di Artemide, che l’aveva adottata perché soltanto una cipolla era stata in grado di stimolarle l’appetito quando era rimasta incinta. Secondo Artemidoro, se un ammalato sognava di farne una scorpacciata significava che sarebbe guarito. Da Plinio a Dioscoride se ne sono lodate le virtù curative: mangiarle con sale e pane a colazione aiutava a proteggersi dalle malattie del freddo, bere l’infuso preparato con cipolle crude mandava via i vermi, cotte sotto cenere e mangiate con mele e zucchero giovavano agli asmatici e a chi aveva la tosse. I gladiatori romani si strofinavano il corpo con cipolle per rassodare i muscoli. Nel Medioevo le cipolle avevano grande importanza come cibo, tanto che erano usate per pagare gli affitti e come doni. I medici prescrivevano le cipolle per alleviare il mal di capo, per curare i morsi di serpente e la perdita dei capelli. La cipolla fu introdotta in America da Cristoforo Colombo nel suo viaggio del 1493 a Haiti. Nel XVI secolo le cipolle erano inoltre prescritte come cura per l’infertilità, non solo nelle donne, ma anche negli animali domestici. LA cipolla è un ortaggio di grande valore nutritivo, contiene zuccheri, grassi, proteine, sali minerali, vitamine A, B1, C, PP, B5, e alcune sostanze antibatteriche, ma anche di un olio essenziale, responsabile della lacrimazione quando si taglia la cipolla. La cipolla possiede effettivamente delle proprietà che aiutano contro il raffreddore, le infiammazioni, i calcoli renali, i vermi intestinali. Per curare punture di insetti la si può sfregare sulla parte del corpo ferita. E’ anche preziosa nella cura della pelle, che tonifica, schiarendola ed eliminandone i foruncoli. Ps contiene anche zolfo ed ha un leggero effetto secondario, ma cosa volete che sia!
Favria, 31.07. 2017 Giorgio Cortese

Se non al mattino non capisco da che parte andrò durante la giornata corro il serio rischio di finire da qualche altra parte.