Il valore della musica. – Il sottile fascino della sconfitta! -Al Cafone! – Da corbeille a poubelle. – Da bruco a brochure. – 14 giugno, dona la vita, dona il sangue! – Dalle teste matte agli ascari! – Res Gestae Favriesi- 16 giugno 1996 Travolti dalla grandine. – Da divisa a uniforme che distingue . – Il sorriso…..LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE.

Il valore della musica
Nella vita di ogni giorno, anche se tutto è ormai digitale ed immateriale, lì dove non arrivano le parole, arriva la musica che è quel collante che riesce ad unire tutti in un linguaggio universale. Aristotele diceva: “La musica non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, perché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e, infine, per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo”. Questo pensiero è tanto attuale e mi è venuto in mente oggi pomeriggio ascoltando la performance dei musici Elvetici del Cantone francofono Vallese della Societè de Musique “L’Avenir” di Chalais invitati dalla locale e sempre attiva Filarmonica Favriese. Questa società di musica Svizzera nata nel lontano 1840, grazie ad un ufficiale francese di nome Renner proveniente dall’Alsazia.La musica non è solo un semplice insieme di suoni, ma che dietro tali suoni, c’è molto di più, un linguaggio universale che unisce popoli diversi. Penso che la musica sia sempre esisita sino dalla lontana preistoria, da quando esiste l’uomo che, anche con semplici battiti di mano o con l’utilizzo di tamburi e altro, riusciva a riprodurre dei suoni. Certo da allora sono cambiati i modi di fare musica, gli strumenti utilizzati. Tutto si è evoluto con il trascorrere del tempo, sono stati creati nuovi strumenti, sono nati nuovi generi musicali e la musica viene utilizzata per diversi scopi, come ad esempio, per divertirsi, per trascorrere del tempo con gli amici, per ballare, cantare o solo per ascoltarla come oggi pomeriggio per fare nascere delle emozioni che germogliano dal profondo dell’animo. Ascoltando i pezzi egregiamente suonati oggi, pensavo di udire il suono delle cornamuse nella danza scozzese o mi pensavo nella verde campagna inglese ascoltando la musica di una ballata tradizionale scozzese. Insomma mi immedesimato, anche se ero seduto nella sedia, nelle musiche che ascoltavo. Non sono capace a suonare e sono pure stonato ma la musica mi proietta in un’altra dimensione, in un mondo creato dalla mia fantasia, che mi fa sognare, mi libera e mi svuota la mente, mi fa essere me stesso. Lì dove non arrivano le parole, arriva la musica che è quel collante che riesce ad unire tutti in un linguaggio universale. Un sentito grazie ai musici Elvetici del Cantone francofono Vallese della Societè de Musique “L’Avenir” di Chalais, al loro Direttore Romain Vergères, insegnante di viola, professore di Euphonium, insegnante di basso, insegnante di tromba romana, alla Filarmonica Favriese, tutti i musici e il Direttivo per il bel pomeriggio passato ad ascoltare buona musica che ha fatto vivere nell’animo profonde emozioni.
Favria, 9.06.2017 Giorgio Cortese

Per iniziare bene la giornata non c’è niente di più dolce di una tazza di caffè amaro. Questo mi ricorda che l’esperienza ha un sapore amaro, ma è qualcosa di aspro che fortifica. Trovo simile la parola amarezza alla parola amore, perché il dolce non è così dolce senza l’amaro

Il sottile fascino della sconfitta!
La sconfitta è l’opposto della vittoria. Quando perdo cerco delle spiegazioni e chi vince festeggia! Ma nella vita e non solo per la delusione della sconfitta della squadra del cuore ma qualsiasi perdita può essere accusata di essere una sconfitta. Quando sono deluso o penso che niente stia andando per il verso giusto, mi sento amareggiato e sconfitto. Le sconfitte che incontro nel mio quotidiano cammino sono delle cadute, e devo accettarle ed ammetterle, solo cosi posso ripartire. Nella vita di ciascuno di noi, ogni giorno ci sono continuamente vittorie e sconfitte. Il vero coraggio nella vita significa sapere che posso essere sconfitto ancora prima di cominciare, mai dare nulla di scontato, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. E poi essere capace di sorridere anche se patisco una sconfitta, qualsiasi sia, è poi alla fine la vera vittoria. Mi ricordo ancora cosa mi diceva anni addietro un carissimo amico dalla ferrea fede granata a me gobbo, che quando il Toro perdeva si ritirava alla domenica pomeriggio alcuni minuti nella rimessa dove aveva costruito un piccolo tavolo da lavoro, fissava con gli occhi lucidi una vecchia e logora foto del Grande Torino e poi ritornava a casa pronto per un’altra settimana, dicendomi che gli era impossibile spiegare con quanta amarezza si paga con la dolcezza dei sentimenti. Certo nel momento della sconfitta è amaro guardare la felicità attraverso gli occhi di un altro che in quel momento esulta. Tenere duro quando perdo o in questo caso perde la squadra di cui sono simpatizzante, ma non tifoso, ma combattere con la dolcezza dell’animo l’amarezza della sconfitta e la debolezza del dolore. Vincere l’ira e la delusione con un sorriso, come faceva il mio amico granata quando aveva voglia solo di piangere. Resistere nella vita ai torti ed ai malvagi e bassi istinti, odiare l’odio e amare l’amore, andare avanti parlando e sorridendo a tutti, quando certi giorni preferiei non parlare con nessuno, ma invece ripartire ed inseguire pur sempre la gloria e il sogno. Insomma credere con indefettibile fede di avere sempre la speranza nel cuore che la sensazione che un qualcosa di positivo dovrà pure accadere dopo la sconfitta. Personalmente penso che la vita sia come il cioccolato, è l’amaro che fa apprezzare il dolce, sono dunque le quotidiane sconfitte che fanno apprezzare le piccole vittorie che punteggiano il mio cammino.
Favria, 10.06.2017 Giorgio Cortese

Nella vita un breve attimo di amarezza mi impressiona lungamente, invece un giorno sereno passa e non lascia traccia

Al Cafone!
Dicono che la maleducazione sia parlare con la bocca piena… ma io dico che è parlare con la testa vuota, suonare il clacson con arroganza pensando che la strada sia solo Tua. Poverino, la Tua maleducazione è l’unica virtù che possiedi come povero di spirito. La Tua maleducazione è controproducente. Prima o poi i Tuoi modi vengono al pettine. E non è vero che nella vita di ogni giorno ci si abitua a tutto. Maleducazione e scortesia mi colgono sempre di sorpresa. Purtroppo i maleducati come Te se li conosco li evito, ma essendo un’epidemia diffusissima…la cosa si fa difficile. Purtroppo!.
Favria 11.06.2017 Giorgio Cortese

Nella vita per cambiare il futuro bisogna cambiare il presente!

Da corbeille a poubelle.
La corbeille, parola francese che deriva dalla latina corbicula come diminutivo di cesta, indica un cesto di fiori bellamente disposti in un cestino. E nel linguaggio di borsa, il recinto riservato agli agenti di cambio per la negoziazione alle grida. In provenzale il lemma è gorbel e da qui il piemontese corbej o gorbej. Ma per capire la seconda parola poubelle, sempre francese, occorre fare un passo all’indietro nella storia d’Europa e risalire al 1884, allorché il prefetto della Senna con giurisdizione sulla città di Parigi, Eugenio Poubelle, il 7 marzo 1884, decretò che i proprietari degli edifici dovevano fornire ai loro residenti tre contenitori coperti da 40 a 120 litri per trattenere rifiuti domestici. I rifiuti dovevano essere ordinati in elementi compostabili, carta e stoffa, stoviglie e conchiglie. La popolazione di Parigi, veva bisogno di un sistema per svuotare regolarmente i contenitori. I parigini cominciarono a chiamare le loro scatole Poubelle, un’abitudine incoraggiata dal quotidiano Le Figaro, che li chiamava Boîtes Poubelle. Eugène Poubelle ha inoltre effettuato una campagna di successo per il drenaggio diretto. Una rinascita del colera nel 1892 portò al suo decreto nel 1894 che tutti gli edifici parigini dovevano essere collegati direttamente alle fogne a spese del proprietario dell’edificio. Riciclatore ante litteram, monsieur Poubelle non immaginava allora che i secchi per i rifiuti sarebbero veramente entrati nelle case degli europei soltanto dopo la seconda guerra mondiale!
Favria, 12.06.2017 Giorgio Cortese

Non amo gli arroganti e i convinti che fanno mostra di sé. Preferisco l’umiltà degli invisibili. Quelli che sono qui non per spaccare il mondo ma per riattaccarne i pezzi

Da bruco a brochure
La parola bruco indica comunemente le larve degli insetti lepidotteri. Questo lemma deriva dal tardo latino bruchos. Ma nell’antica Roma con questo vocabolo si chiamava il pungolo che si usava per bucare le pergamene tagliate a fogli prima della legatura. Poi questa parola attraverso i secoli la prima per indicare un verme e la seconda attraverso il francese brochure, in italiano brossura sono arrivate ai giorni nostri. La brochure o meglio la brossura è l’insieme di tutte le operazioni (taglio, piegatura dei fogli, cucitura con filo o con punti metallici, incollaggio della copertina, eccetera) che portano alla confezione di un libro con semplice copertina di carta o cartoncino incollato sul dorso, e la confezione stessa:,libro in brossura o legato in brossura. Oggi la copertina viene anche fissata incollandola sul dorso dei fogli appositamente fresati, ciò elimina la necessità della cucitura, brossura fresata.
Favria, 13.06.2017 Giorgio Cortese

Non devo mai mollare, non adesso, non oggi, devo sempre resistere e mai mollare. Nella vita ogni giorno posso farcela e devo farcela.
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14 giugno, dona la vita, dona il sangue!
Che cosa puoi fare? Dona sangue. Dona ora. Dona periodicamente. Questo è l’invito che Vi estendo, oggi 14 Giugno in occasione della Giornata Mondiale del Donatore di Sangue . Ogni singola persona può svolgere un ruolo importante per aiutare gli altri in situazioni di emergenza, offrendo il dono prezioso del sangue. Solo donando il sangue rafforzate l’efficienza dei servizi sanitari nelle situazioni di emergenza per rispondere in modo efficace e tempestivo all’incremento del fabbisogno di sangue nei momenti di emergenza. Donare periodicamente ritengo che, per chi può è un dovere morale e civico, per chi non può rafforzare la consapevolezza civica dell’importanza di donare periodicamente durante tutto l’anno è una grosso aiuto. Ogni anno, in Italia le sacche raccolte consentono a numerosi malati di ricevere i componenti sanguigni di cui hanno bisogno. cioè globuli rossi, piastrine o plasma, a seconda delle loro necessità . Le trasfusioni di globuli rossi e piastrine servono a curare malattie come tumori, come la leucemia, per il 50%, e a lottare contro le emorragie accidentali. Le trasfusioni sono inoltre preziose durante gli interventi chirurgici per sostituire il sangue perso nel corso dell’operazione. Il plasma può essere utilizzato intero, in particolare per bloccare gravi emorragie dovute ad alterazioni o deficit del fattore coagulativo, oppure può essere frazionato per isolare certe proteine a fini terapeutici. Dona la vita, dona il sangue, ciascuno di noi può, donando il sangue, offrire il dono della vita a qualcuno che ne ha bisogno. Se sei una persona sana, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, puoi diventare donatore di sangue, mentre altri requisiti sono richiesti per le donazioni di plasma e di piastrine. Ti aspettiamo a Favria, cortile interno del Comune di Favria, mercoledì mattina 12 Luglio dalle ore 8, alle ore 11,20. Per info corteseg@tiscali.it- cell 3331714827- Segreteria dell’Unità di Raccolta tel 011/6634225, nei seguenti giorni e orari: lunedì e martedì ore 8:00/13:00 – 14:00/16:00; mercoledì e giovedì: ore 8:00/13:00 – 14:00/16:30; venerdì: ore 8:00/15:00. Grazie.
Favria, 14.06.2017 Giorgio Cortese

Ho trovato più diamanti tra le cose semplici che in una miniera, come ho trovato nelle persone umili quella ricchezza che né i diamanti e né l’oro possa avere.
Dalle teste matte agli ascari!
Il nome del corpo militare trae origine da un folto gruppo di mercenari, l’Armata Hassan più nota col nome turco di Basci Buzuk, teste matte. Questa banda armata era stata fondata in Eritrea da Sangiak Hassan, un avventuriero albanese che intendeva mettersi al servizio dei signorotti locali. Nel 1885, il colonnello Tancredi Saletta , capo del primo Corpo di spedizione italiana in Africa Orientale, comprò i Basci Buzuk, armi, mogli e figli compresi. Nel 1889,con la costituzione dei primi 4 battaglioni eritrei, i basci-buzuk furono ribattezzati con l’appellativo di “ascari”, dall’arabo askari, soldato. Gli ascari erano reclutati all’origine in Eritrea e Arabia del sud, poi vennero reclutati in tutte le colonie africane italiane, tra i somali, gli etiopi e i berberi. La loro disciplina era molto rigida, specie se impartita dai propri graduati detti Sciumbasci, Maresciallo, che usavano spesso e sovente il “curbasc”, uno scudiscio in pelle d’ippopotamo per le punizioni corporali. Ogni compagnia era divisa in due mezze-compagnie, ognuna agli ordini di uno sciumbasci, la mezza compagnia poteva avere da uno a quattro buluc, agli ordini di un bulucbasci, sergente. Alcune unità erano dotate di cammelli ed erano dette meharisti. Nel linguaggio parlamentare dei primi decennî del sec. 20°, si definivano ascari in tono spregiativo i deputati delle maggioranze privi di un preciso programma o indirizzo politico: in Parlamento diventò uno dei tanti ascari. taciturni, una macchina per votare (Gramsci). E di quelli ne abbiamo tantissimi ancora adesso, purtroppo!
Favria 15.06.2017 Giorgio Cortese

Non devo arrendermi mai, perchè quando penso che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio. con un nuovo giorno

Res Gestae Favriesi- 16 giugno 1996 Travolti dalla grandine.
Trascrivo dalla ricca emeroteca di mio suocero quanto fu scritto dai giornali di martedì 18 giugno 1996. “venti minuti di grandine, domenica sera, hanno completamente distrutto le colture agricole nel rettangolo compreso tra Oglianico, Favria, Busano e Front. I danni sono ingentissimi e anche se non c’è una stima precisa si ipotizzano cifre che sfiorano il miliardo (parliamo di lire la valuta usata allora ante Euro ndr). Colpiti anche se meno duramente, L’Alto Canavese ed il Ciriacese dove i guai maggiori sono stati la viabilità messa in crisi al primo rovescio temporalesco d’estate. Ma andiamo per ordine. Tutto è iniziato poco dopo le 19 quando il cielo si è oscurato ed è scoppiato il temporale. Alla pioggia in un attimo è subentrata la grandine. Grossa come noci nella zona più duramente colpita, piccola ma intensa nel resto del territorio, ha coperto uno strato di quasi dieci centimetri, strade e campi. Nel triangolo di maggiore intensità i chicchi di giaccio hanno triturato tutto: coltivazioni di mais e grano, alberi da frutta e campi pronti per il secondo taglio.” Da stime date allora dagli amministratori favriesi ai media a Favria due mila giornate di granoturco sono andati distrutti al 90 per cento. In quella terribile domenica sera si erano verificati allagamenti nelle strade ed anche in numerose aziende della zona.
Favria 16 giugno 2017 Giorgio Cortese

Nella vita esistere è dovere, anche se fosse solo un breve attimo

Da divisa a uniforme che distingue.
Ma possono due parole opposte avere lo stesso significato? E’ quanto accade, almeno all’apparenza, a “divisa” e “uniforme”: entrambe indicano un modo di vestire uguale per mostrare l’appartenenza a un corpo, a una categoria o a un ordinamento, ma mentre la prima ha radici nel latino “dividere”, separare, la seconda viene fatta risalire sempre al latino “uniformis”, stessa forma. Dividere e unire: proprio il contrario! Sembra di cogliere due differenti attitudini di pensiero, chi porta lo stesso abito per distinguersi si “divide” dagli altri, oppure si “unisce” ai suoi simili. La parola “divisa”, in questo significato, è più antica, entra nella lingua nel XIV secolo, e la si può considerare forse più appropriata; vari vocabolari dell’Ottocento alla voce “uniforme” indicano il semplice significato di “forma simile”, senza riferimenti agli abiti, che si troano successivamente. Il mistero è comunque svelato da una ricerca sulle origini della parola “divisa”, che si chiama così perchè deriva dall’abbigliamento dalle squadre di giochi e di spettacoli medievali, che portavano appunto delle vesti uguali, caratterizzate da “divisione” o “spartizione” di colori allo scopo di riconoscersi. E’ il “vestimento divisato”: esattamente ciò che continua oggi nelle magliette delle squadre in molti sport e non solo. Un paio di curiosità: la “divisa” è anche “scriminatura, riga dei capelli” e il concetto di dividere fa pensare anche all’aggettivo “distinto”, detto di persona “particolarmente dignitosa ed elegante”; deriva dal latino distinguere, che sta per “separare con punti”, quindi “tenere diviso”.
Favria, 17.06.2017 Giorgio Cortese

La mia quotidiana soddisfazione non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarmi ogni volta.

Il sorriso.
Questa settimana andando a lavorare, causa mercato non ho parcheggiato al solito posto. In quella piazza ho visto una persona straniera con la pelle diversa dalla mia, un essere umano, che raccoglieva con garbo la cartaccia nella piazza lasciata da tanti italiani incivili. Scendo dall’auto e ci osserviamo, faccio un segno di saluto con la mano, ed ecco che il suo sguardo smarrito ed impacciato si illumina di luce e risponde al mio saluto. Credetemi La giornata era nuvolosa ma per me era sorto un sole splendente di calore umano. Quello che serbo di ricordo del fugace incontro è il sorriso, subito il mio saluto. Pensavo a quanto siamo unici e simili come esseri umani, come e perché lo siamo ha stimolato per secoli la curiosità di scienziati, filosofi e grandi statisti. Esco alla sera dal lavoro e vedo su delle panchine un gruppo di giovani “digitali” sempre connessi allo smartphone, in simbiosi permanente con la tecnologia, che sorridono facendosi dei “selfie”. Ebbene, ho guardato e riguardato i loro sorrisi e mi è sembrato che quello di questi ragazzi è un sorriso che dura meno a lungo di quello sincero della mattina di una persona sconosciuta. Forse, questi ragazzi, ma anche tutti noi stiamo perdendo ad imparare che il vero sorriso, prima che dalla bocca nasce dal profondo dell’animo. Oggi si possono fare fotografie e filmati e subito metterli in rete, non esistono più i negativi e con questa tecnologia evoluta si possono fare centinaia e migliaia di foto su tutto quello che è fotografabile. Ma forse nel fare continuamente foto a noi stessi e amici nei selfie, con sorrisi e smorfie crediamo di avere il tempo, di possederlo perché lo fotografiamo, invece di essere e di vivere bene il presente. Purtroppo oggi siamo inflazionati dai sorrisi, umani e quelli delle “faccine” sui social forum e probabilmente per ripartire questa società oltre al lavoro ha anche bisogno di imparare a riappropriarsi del vero senso del sorriso.
Favria, 18.06.2017 Giorgio Cortese

Se fai qualcosa e risulta abbastanza buona, dovresti andare avanti a fare qualcosa di meraviglioso, non aspettare troppo. Pensa solo alla prossima cosa.