Il Santuario di Belmonte, la sua storia parla anche di noi! – De profundis blu! – La tradizione. – Imi, i resistenti nei lager, a schiena dritta! – Motivazione – La goja, la riviera di una volta. – San Giorgio di Lydda venerato in tutto il mondo… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il Santuario di Belmonte, la sua storia parla anche di noi!
L’origine di Belmonte come luogo sacro è riconducibile, tra storia e leggenda, ai primi decenni dell’anno mille quando sorse un monastero benedettino dipendente dalla famosa abbazia di Fruttuaria, fondata nel 1003 dal monaco Guglielmo proveniente dal grande monastero di Cluny. Beh si potrebbe andare avanti nel parlare della millenaria presenza del santuario mariano in Belmonte e la sua storia. Ed è questo è l’argomento della serata promossa dalla Biblioteca comunale di Favria con l’Associazione Amici di Belmonte Onlus, con il patrocinio del Comune di Favria, giovedì 19 aprile, a Favria presso i locali della Biblioteca Comunale Pistonatto, Corso G. Matteotti, 8, ore 21,00. Le tradizioni religiose popolari sono un patrimonio prezioso da custodire, come gli edifici sacri che ne sono il luogo fisico del loro valore spirituale. Il Sacro monte di Belmonte e la sua storia parla di noi Canavesani, delle nostre radici che sono la linfa necessaria per camminare verso il futuro. La storia di Belmonte diventa un modo per riflettere su noi stessi e su chi ci ha preceduto, sugli uomini e donne che hanno abitato in questi luoghi e hanno avuto nel Sacro monte un faro di speranza nei momenti di difficoltà. Il relatore dott. Giovanni Bertotti, ci porterà a scoprire la storia del sito con la storia delle sue devozioni. La serata è organizzata dall’Associazione Amicic di Belmonte Onlus che si prefigge lo scopo di sensibilizzare tutti i cittadini sulla conservazione ed alla valorizzazione del Santuario. Con queste serate si propone promuovere la salvaguardi del sacro monte e fare conoscere gli aspetti storici, religiosi ed artistici, promuovendo la manutenzione degli edifici sacri e delle aree circostanti evitandone il degrado. Un convegno che porterà sicuramente arricchimento culturale; appuntamento da segnare in agenda e da non perdere, perché la storia del Santuario parla anche di noi!
Favria, 17.04.2018 Giorgio Cortese

Ogni giorno cerco sempre di fare ciò che non sono capace di fare, per imparare come farlo

De profundis blu!
Ci sono giorni in cui il cielo apre il sipario e lascia cadere il blu in verticale e poi ci sono giorni che il blu lo trovi dipinto nei parcheggi! Ma il colore blu è inafferrabile! Blu, o azzurro, possono essere il titolo di una canzone. Se provo a chiedere alle persone che incontro quale sia il l loro colore preferito, la maggior parte mi risponde con blu ad esclusione di quello dipinto nelle strisce dei parcheggi. Beh grande parte del mondo è blu, dal cielo al mare, c’è un’infinita varietà di blu. Per degli occhi distratti il blu è sempre blu. Solo dopo, quando mii soffermo a guardare il cielo e il mare, ad accarezzare con gli occhi il paesaggio, ne scopro altre tonalità, il blu grigio, il blu notte, il blu mare, il blu scuro, il blu lavanda ed il blu parcheggio. E si, dopo aver visto i parcheggi ridipinti da bianchi a blu l’animo diventa nero, la faccia rossa su quanto deve pagare e non è sicuramente un quadro impressionista. Ma il blu è sempre blu, dal blu melanzana, nelle sere di temporale al blu verde per finire al blu rame del tramonto quando il sole ci saluta dietro ai monti. Ma attenzione il blu è la bellezza, ma non la verità. In inglese, infatti, si dice true blue, ma è un giochetto, una rima: ora c’è, ora non più, peccato che le strisce blu ed il balzello simile ad un banno medievale sono sempre lì. Si il blu è un colore profondamente ambiguo, anche il blu più intenso ha le sue sfumature. Blu è gloria e potere, un’onda, una particella, una vibrazione, una risonanza, uno spirito, una passione, un ricordo, una vanità, una metafora, un sogno. Blu è il possibile canto “De Profundis”, perché se le strisce blu non daranno il loro effetto ma solo proteste è la pietra tombale di chi ha fatto ridipingere i parcheggi di blu, ma attenzione il blu è astuto, sornione, sguscia nella strada di sbieco, è subdolo e scaltro e se non paghi il parchimetro arriva la multa. Questa storia parla del colore blu, e al pari del blu non vi è niente di vero perché ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido che ognuno di noi può immaginare.
Favria, 18.04.2018 Giorgio Cortese

Ogni giorno pensiamo sempre a parlare della vita degli altri o degli altri, con o senza malizia. Ma peccato che ci dimentichiamo che domani la nostra vita potrebbe cessare. Il nostro futuro per il domani è oggi.

La tradizione
Oggi viviamo in gran parte su quello che ci è stato trasmesso da coloro che ci hanno preceduto. Che cos’è la tradizione se non un insieme di idee, invenzioni, scritti, di idee ed abitudini alle quali ci riferiamo ancora ogni giorno e che rappresentano l’eredità del nostro comune passato! La Fiera di S.Isidoro, portata avanti dalla Coldiretti con il Presidente Abbà Flavio ed il Direttivo, con il Patrocinio del Comune, il supporto dei volontari di Protezione civile, dei dipendenti comunali e la collaborazione della Pro Loco di Favria è appunto questo una tradizione dove le radice agricole vivono in noi, dove non si ripetono vanamente gesti antichi, come la trebbiatura del granoturco non vengon conservati come puro elemento folcloristico, ma si mantiene viva nell’animo la fiamma del passato esaltandone il significato. In conclusione queste tradizioni con l’esposizione dei trattori d’epoca e trebbiatura del mais non sono solo una testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente e ci aiuta per il futuro, una bellezza da conservare .
Favria, 19.04.18 Giorgio Cortese

Ogni giorno le persone speciali che incontro scrivono col cuore sensazioni ed emozioni sulla pagina della mia vita.

Imi, i resistenti nei lager, a schiena dritta!
Dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia ha firmato l’armistizio con le potenze alleate ed è di fatto passata sull’altro fronte, due milioni di soldati italiani si sono ritrovati senza ordini e senza sapere cosa fare. Si presentò allora una scelta importante per tutti questi militari: continuare a combattere tra le fila naziste in nome della ex comune ideologia, oppure cessare definitivamente di fare guerra e tornare a casa. Circa 94.000 soldati si arruolarono immediatamente nelle SS italiane e, successivamente, altre 103.000 unità aderirono all’esercito della Repubblica di Salò. Ben 810.000 uomini, tuttavia, rifiutarono strenuamente di procedere nel conflitto, per essere così catturati dai tedeschi sui vari fronti occupati dall’Italia fascista. Costoro vennero poi inviati in speciali campi, Stammlager e Offizierlager, e utilizzati come lavoratori coatti, anche se non furono mai riconosciuti come prigionieri di guerra. Questi prigionieri di guerra vennero chiamati Internati Militari Italiani, sprofondati in quella che, nell’universo concentrazionario hitleriano, potrebbe essere paragonata alla palude degli ignavi, nemmeno degni della qualifica di prigionieri di guerra, per non farli accedere ai benefici della Convenzione di Ginevra e all’assistenza della Croce Rossa, e, dall’altra, per più di mezzo secolo dopo la Liberazione, del prestigio di aver partecipato anche loro, col sangue e a pieno titolo, alla Resistenza. Se c’è un capitolo poco conosciuto della guerra di liberazione, è la storia degli Imi fatta di soldati e sottufficiali avviati al lavoro coatto, ufficiali fiaccati da mesi di fame e di stenti nei lager. Infatti circa 50.000 non torneranno a casa, stroncati da inedia e malattie, uccisi dai nazisti, o periti sotto i bombardamenti. Un sacrificio non vano, pure in termini strettamente militari: anzitutto il rifiuto degli Imi di farsi nuovamente arruolare sottrasse alla disponibilità di Hitler e Mussolini oltre 600.000 uomini utilizzabili sui vari fronti, soprattutto in Italia. Certo non avrebbe cambiato le sorti del conflitto, però sarebbe stato in grado di allungarne considerevolmente i tempi. Ma poi la scelta degli Imi ebbe ripercussioni anche sul piano politico italiano, finendo per rappresentare, di fatto, un contributo diretto alla lotta di Liberazione nazionale e alla lotta antifascista. Questi eroi combatterono un’altra guerra, una guerra senz’armi, fatta di resistenza alla fame, al freddo, alle violenze e al lavoro coatto, alla sopraffazione fisica, morale e spirituale. Rimane un caso unico la scelta di massa di questi militari italiani, una scelta per la patria senza maiuscole né aggettivi, la comunità nazionale in cui tutti potevano riconoscere, una lezione preziosissima tuttora.
Favria, 20.04.2018 Giorgio Cortese

Ogni giorno, al mattino non ho bisogno di vedere l’intera scalinata, ma solo iniziare semplicemente a salire il primo gradino

Motivazione
Lavorare a stretto contatto con le altre persone, soprattutto in un gruppo, è un’esperienza che può essere davvero stimolante e di continuo miglioramento. Lavorare a stretto contatto con i membri del Direttivo Fidas di Favria composta da così tanti tipi di persone, è l’impegno più gratificante e entusiasmante del mondo dopo l’atto di donare sangue. Questo è così per me, questo perchè trovo in quello che faccio continui stimoli. Nel gruppo donatori Fidas Favria, il Direttivo è simile a cucinare una torta con gli ingredienti giusti nella dose giusta. E così abbiamo gli ottimi risultati come mercoledì, 11 aprile. Dove gli ingredienti sono i 67 donatori intervenuti, con la giusta dose di 54 sacche raccolte di sangue intero, 7 candidati, 4 esami di controllo e 2 non idonei. La dose giusta è stata data dal Direttivo che si è impegnato con passione ed entusiasmo, con il supporto della equipe medica. Ma l’ingrediente essenziale per andare avanti e raggiungere gli obbiettivi è senza ombra di dubbio la motivazione. Permettetemi di aggiungere ancora due ingredienti fondamentali, l’ascolto ed il sorriso. Il sorriso trasmette entusiasmo ed aiuta nell’ascolto. Grazie ancora a tutti nel fare bene il bene. Ricordate che dopo il verbo “amare” il verbo “aiutare” è il più bello del mondo .grazie e alla prossima
Favria 21.04.2018 Giorgio Cortese

Ogni giorno se l’opportunità non bussa, allora costruisco una porta.

La goja, la riviera di una volta.
Mi ha scritto la signora Flora se avevo notizie sul termine “goja”. Questo lemma goja significa laguna, ridotto d’acqua stagnante, pozza di acqua ferma. La parola deriva dall’antico tedesco gullja, acqua stagnante, gulja, pozzanghera. Parrebbe meno probabile che derivi dal latino golaglium, pozza, che deriva a sua volta da gulam, gola., esiste in piemontese anche il termine gheuj, pozza d’acqua che ha la stessa origine da goja. Da questa parola derivano gorgh, stagno o maceratoio per lino e canapa. Le goje erano anticamente, all’inizio del novecento la riviera dei paesi del Piemonte, almeno fino al secondo dopo guerra, luoghi utilizzati in estate come località per cimentarsi in tuffi e bagni ed in inverno, in montagna si trasformavano in canaloni di ghiaccio e neve, e con un profondo invaso in cui i più coraggiosi e temerari si buttavano senza timore alcuno. Come matti appunto. La goia dli mat, la pozza dei matti. Interessante l’etimo mat, secondo l’opinione prevalente pare discenda dal latino mattium, in origine forse ubriaco, forma sincopata di matidum, derivato da matedere, umido. In passo latino di Petronio Arbitro l’aggettivo sembra alludere alla disgregazione psichica provocata dall’ubriachezza, assumendo quindi il significato di pazzo. Nell’Italia settentrionale mat e mata diventano vezzeggiativo di ragazzo e ragazza, e forse la Goia dli Mat, è la pozza dei ragazzi e ragazze dove vincere è solo la metà del gioco. Divertirsi è l’altra meta.
Favria, 22.04.2018 Giorgio Cortese

Vivere, sperare, credere, gioire, amare, tutto questo in un solo giorno! Felice giornata a tutti.

San Giorgio di Lydda venerato in tutto il mondo
La devozione popolare verso questo Santo è antichissima e diffusa ovunque. La Chiesa Orientale lo chiama il Megalomartire, il grande martire, è patrono di Inghilterra e Portogallo e di Genova, Campobasso, Ferrara, Reggio Calabria e di centinaia di altre città e paesi, .Georgia è il nome di uno Stato americano degli U.S.A. e di una Repubblica caucasica di un’isola e ben 6 re di Gran Bretagna e Irlanda, 2 re di Grecia portarono il suo nome. È patrono dell’Inghilterra, di intere Regioni spagnole, del Portogallo, della Lituania e di moltissime città nel mondo. Forse nessun santo sin dall’antichità ha riscosso tanta venerazione popolare, sia in Occidente che in Oriente. Ci sono chiese dedicate a San Giorgio a Gerusalemme, Gerico, Beiruth, in Egitto, Etiopia, in Georgia nel Caucaso da dove lo ritengono nativo. A Magonza e Bamberga vi sono delle basiliche, a Roma vi è la chiesa di S. Giorgio al Velabro che custodisce la reliquia del cranio del martire, a Napoli vi è la basilica di S. Giorgio Maggiore, a Venezia c’ è l’isola di S. Giorgio. Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti: l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”, l’Ordine Teutonico, l’Ordine militare di Calatrava d’ Aragona ed il Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio. Il Santo è patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri, dei sellai ed inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano. Il suo nome deriva dal greco gheorgós cioè agricoltore, e lo troviamo già nelle ‘Georgiche’ di Virgilio e fu portato nei secoli da persone celebri in tutti i campi, oltre a re e principi, come Washington, Orwell, Sand, Hegel, Gagarin, De Chirico, Morandi, il Giorgione, Danton, Vasari, Byron, Simenon, Bernanos, Bizet, Haendel. In Italia è diffuso anche il femminile Giorgia, Giorgina, in Francia è Georges, in Inghilterra e Stati Uniti, George, Jorg e Jurgens in Germania, Jorge in Spagna e Portogallo, Gheorghe in Romania, Yorick in Danimarca e Yuri in Russia. Ma nonostante tutta questa diffusione le notizie sulla sua vita sono piuttosto scarne tanto che la liturgia cattolica nel 1969 lo declassò a memoria facoltativa. La tradizione popolare lo raffigura come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno. Pensate che durante le crociate San Giorgio era il protettore riconosciuto sia dagli eserciti cristiani che dai loro avversari islamici. Ma san Giorgio con la sua spada, più che dividere, ha gettato un ponte tra mondo musulmano e fede cristiana. Il suo messaggio spirituale, infatti, lo rende affine alla visione mistica islamica, che vede nel combattimento con il drago quasi lo schema della jihad. A fare da ponte tra devozione cristiana e musulmana è il concetto di rigenerazione, di capacità di ridare la vita, ma non solo. Anche nell’immaginario islamico, infatti, Giorgio è il vincitore del drago, un eroe che lotta contro il mostro, simbolo di quella lotta interiore dell’uomo tesa a dominare e vincere le proprie debolezze e, superando i propri limiti, elevarsi verso Dio. La leggenda del santo cavaliere, protettore dei soldati cristiani, apparve sul finire del primo millennio e si rafforzò proprio con le Crociate: il 15 luglio 1099, quando il santo apparve agli eserciti impegnati nella prima Crociata, egli divenne definitivamente il patrono di quelle “guerre sante”.Proprio in questo periodo si diffuse la leggenda della lotta contro il drago, che terrorizzava una città pagana e la vittoria di san Giorgio contro il mostro portò al battesimo il re e tutti gli abitanti. E qui s’inserisce l’immagine della rosa secondo una versione catalana della leggenda, là dove venne versato il sangue del drago nacque un roseto e il santo ne colse una regalandola alla figlia del re che aveva salvato. Un racconto che ha un messaggio spirituale dalla portata universale: la vittoria contro il male genera nuova vita. Nella lotta interiore risiede il carattere simbolico di un’azione spirituale, quella jihad akbar cui si riferiscono i mistici islamici, la grande guerra, la guerra suprema, quella contro se stessi e i propri limiti. La lotta è perciò intesa come sforzo, sforzo su se stessi, jihad ala nafs. Così, quindi, la guerra di san Giorgio diventa la “guerra santa” che ogni credente, di qualsivoglia fede, deve affrontare per incontrare Dio. San Giorgio visse circa quattro secoli prima della nascita dell’islam, la sua fama in Palestina era sempre viva nel VII secolo, tanto più che la sua salma fu portata al paese in cui era cresciuto, Lod, oggi Lydda, in territorio israeliano, e la sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggio. Sopra la tomba del santo sorge oggi una chiesa ortodossa omonima, costruita a fianco di una moschea anch’essa dedicata a San Giorgio detto in arabo al-Khadr e Omar. Infatti San Giorgio è noto presso gli arabi cristiani come al-Khadr, il “verde. È il santo che porta l’acqua e la fertilità, che protegge dai mali e guarisce dalle infermità. In tutta la Palestina il 23 febbraio si festeggia la nascita di al-Khadr, in corrispondenza dei riti tradizionali di apertura della stagione primaverile e dei lavori nei campi, il che non è casuale, se si riflette anche sull’etimo di Giorgio, come detto prima che significa letteralmente “lavoratore dei campi”. San Giorgio è presente nella vita quotidiana dei cristiani palestinesi, il rumore del tuono ricorda il cavallo bianco del santo al galoppo e se cade il pane da tavola, è segno che San Giorgio vuol essere invitato a condividere la mensa; quando viene costruita una casa, si appone una lastra con un’immagine relativa alle storie del santo, allo stesso modo in cui i musulmani apporrebbero una lastra raffigurante la sacra Ka’bah sita a La Mecca. Per i musulmani, al-Khadr è il profeta Elia, citato nel Corano come guida suprema di Mosé nella via della saggezza nella. Sura XVIII, La Caverna. La festa liturgica si celebra il 23 aprile. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. Viene onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa. Nella tradizione popolare è raffigurato come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino
Favria, 23.04.2018 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno quello che è importante non è tanto cosa facciamo, ma come lo facciamo. Ecco questo realmente conta
giorgioCortese