Il pensiero della morte – Il suolo bene di tutti! – Il ciurmare del claudarario della ciurma – Democrazia è..e vuole dire. – L’amicizia è dare più che ricevere. – Arrivano le elezioni. – Scellerato Mentore o onesto Pigmalione..LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il pensiero della morte
La morte di un giovane venticinquenne strappato dall’affetto dei suoi cari per una malattia fulminante non può ridursi a un fatto di cronaca. Non si può allontanare in questo modo un mistero che ha invece bisogno di raccoglimento e di silenzio. Un silenzio abitato da una parola sul senso della vita, perché la morte di un giovane è contro natura, dovrebbero morire prima gli anziani e non i giovani che hanno davanti una vita da vivere pienamente. Ma l’idea di morte sfugge ad una comprensione completa tramite la ragione, la morte come concetto astratto infatti non esiste, ciò che ha concretezza è solo la morte dell’individuo, o meglio, è solo l’individuo che muore. A differenza però di altri fenomeni della vita umana, noi non possiamo avere esperienza diretta della morte, pur vivendola, in quanto, come diceva Epicuro, “quando siamo noi non c’è la morte; quando c’è la morte, non siamo più noi”. Oggi la nostra nostra società esorcizza il timore della morte con atteggiamenti contraddittori, quali il silenzio, l’uso di eufemismi che addolciscano la realtà e un’ostentazione di immagini, come è possibile rilevare nei films, ma anche in alcuni servizi giornalistici televisivi. Tutto questo provoca una svalutazione del fenomeno non solo a livello emotivo, ma anche razionale, poiché la ‘morte spettacolo’ rende spesso passivi e non stimola a cercare il significato che tale evento ha. Ogni società, nel corso dei secoli, si è confrontata con questo tema che rimane li a ricordarci che tutti i nostri affani tutti i progetti svaniscono in un attimo di fronte alla morte che è sempre improvvisa ed inattesa e non guarda se sei giovane o vecchio, ricco o povero, Non è la morte che mi fa paura, ma la vita adesso che devo curare e rendere serena. La vita dei miei cari, la vita dei miei amici, la vita delle persone che incrocio per caso una sola volta nella vita, la vita delle persone che non ho mai conosciuto. Ed invece ogni giorno piuttosto di pensare che forse quello che compio potrebbe essere l’ultimo atto della mia vita cedo all’egoismo, alle ambizioni, alle arrabbiature, insomma mi comporto sempre senza rendermi conto che gli altri hanno una loro vita che vivono senza di me e che li renderà sereni o tristi non per ciò che hanno vissuto con me, ma per ciò che loro assumono come stile di vita
Favria 15.01.2017 Giorgio Cortese

Nella vita se ci crediamo con passione siamo ciò che crediamo di essere

Il suolo bene di tutti!
Anche a Favria avverrà la Giornata del Ringraziamento. Un ringraziamento per il raccolto dei campi e per chiedere la benedizione sui nuovi lavori: è il senso di questa giornata del Ringraziamento organizzata da Coldiretti di Favria. La Giornata del Ringraziamento è stata istituita in Italia nel 1951 per iniziativa di Coldiretti. In molti luoghi del patrio stivale viene celebrata la seconda domenica di novembre mentre a Favria da tradizione viene celebrata nelle settimana dopo che cade la festa di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio. Questa giornata rappresenta un momento significativo per celebrare non solo il settore agricolo ma soprattutto ciò che esso significa in termini di custodia e conservazione del suolo, una eredità da lasciare alle future generazioni. In un mondo che cambia velocemente, mantenere forte il legame tra la terra, chi la lavora e per questo che la rispetta è importante per tutti noi. L’agricoltura del nostro territorio ha saputo, grazie all’impegno di tanti bravi imprenditori agricoli, diversificarsi in maniera efficace pur facendo la guerra oltre che agli imprevisti atmoferici anche alla crisi che non molla. Ma ci dobbiamo tutti ricordare che è grazie all’agricoltura che il territorio viene mantenuto pulito, decorso e fertile portanto un volano economico per tutti e che troppo spesso viene trascurato. Il Giorno del Ringraziamento è entrato nel tessuto vivo delle tradizioni della nostra Comunità, indizio della centralità di un settore economico che ha saputo mantenere il passo con la modernità senza perdere la propria identità e che rappresenta un minimo comun denominatore per tutte le persone che in Favria vivono e che hanno a cuore il progresso della nostra Comunità. Ricordo con piacere e cerco sempre di partecipare alla tradizionale benedizione dei mezzi agricoli, al rombare dei trattori ed allo scalpitio dei cavalli che presenziano prima del consueto pranzo sociale. Un sincero grazie al Direttivo della sezione Coldiretti di Favria e al suo Presidente Flavio Abbà , ai due priori Paola Bertotti e Saronni Paolo, a Don Gianni Sabia e all’Amministrazione Comunale. Ed allora a domenica 22 gennaio per celebrare tutti assieme, dunque, con gratitudine e speranza la festa del ringraziamento, come abitatori e custodi responsabili della terra affidataci.
Favria 16.01.2017 Giorgio Cortese

La competizione fine a se stessa porta alla sicura sconfitta quando le persone che tirano la corda in due direzioni opposte si stancano e non arrivano da nessuna parte. Nella vita conosco poche persone che sanno fare squadra, perché solo pochi sono così grandi da pensare al bene comune, al bene degli altri, prima che a se stessi.

Il ciurmare del claudarario della ciurma
la parola claudario vuole dire chi regge lo strascico di un alto dignitario ecclesiastico o anche una persona servile e adulatore, deriva dal latino cauda, coda. Gli alti dignitari ecclesiastici, papi, cardinali e vescovi, fino a non molti decenni fa nelle messe solenni vestivano cappe e abiti talari con strascichi distesi straordinariamente lunghi, quelli dei cardinali arrivavano ai dodici metri. Era perciò necessario qualcuno che reggesse queste code immense, e costui era il caudatario. Con Pio XII, che col suo motu proprio del 1952, “’Valde solliciti”, ridimensionò molto la ricchezza di questi strascichi, la figura del caudatario ha iniziato a svanire. Quella del caudatario è però una figura molto suggestiva, e nonostante se ne parli al passato può ancora dare degli spunti notevoli. Infatti, per estensione, si dicono caudatari anche gli adulatori e i seguaci servili, perché chi meglio di chi regge lo strascico a qualcuno ispira connotati del genere. Di caudari ce ne sono molti, una razza che non si estingue mai. Ma il dramma che questa gentaglia sono una ciurma. Anche questa è una bella parola, quando si dice cirma si pensa a persone di basso rango dell’equipaggio di una nave, ma anche gentaglia come già detto prima. Ciurma deriva dal latino celeusma, canto dei rematori, dal dal greco kéleusma, grido, ritmo dato dal celeuste ai rematori. Il celeuste era il capo della ciurma, presso gli antichi Greci e Romani, che scandiva il ritmo della voga. Da notare che il verbo ciurmare non ha niente a che fare con la ciurma, deriva dal francese charmer, che è il latino carmen, formula magica, incantesimo. Ecco che persone poco raccomandabili cercano di ingannare, raggirare, insomma ciurmare con l’ipocrita arte del claudatario le persone che incontrano per trarne vantaggi personali e sono sempre seguiti dalla loro scellerata ciurma di farabutti.
Favria 17.01.2017 Giorgio Cortese

Nonostante tutto io ancora credo che la gente sia davvero buona nel proprio cuore. Io semplicemente non posso costruire lla mia speranza su basi fatte di arroganza, meschineria e cattiveria.

Democrazia è….e vuole dire.
La Democrazia e la Politica per il Bene Comune dove ci vuole la la partecipazione. La Democrazia è rappresentanza e governo del popolo in tutte le sue articolazioni. Democrazia è una parola fondamentale che si pronuncia sempre al plurale. La Democrazia è libertà senza essere anarchia. La Democrazia è tolleranza senza essere impotenza. La Democrazia vuole che tutti abbiano le stesse opportunità. Democrazia vuole dire che che tutti abbiano gli diritti e doveri. Democrazia vuole dire che tutti siano trattati da cittadini veri, non da pecoroni come vuole il governo dei padroni.
Favria 18.01.2017 Giorgio Cortese

Il bene ogni giorno non devo farlo per sentirmi buono , ma per sentirmi giusto nell’animo.

L’amicizia è dare più che ricevere.
L’Alsazia è tradizionalmente una regione produttrice di acquaviti di frutta, schnaps, e di distillano con svariatissimi frutti, tra cui le prugne, le pere, le cotogne e le ciliegie quest’ultimo distillato denominato kirsch che è in concorrenza con quello prodotto nella Foresta Nera. Mi sono trovato a casa di un caro amico, con Giovanni e Alessandro e abbiamo gustato, per concludere allegramenre il pranzo una grappa stravecchia di circa trentacinque anni proveniente dall’Alsazia con la denominazione di Marc d’Alsace. La cosa mi ha incuriosito è ho scoperto che il Marc D’Alsace è una grappa di uve selezionate di gewurztraminer, questo nome, è una parola doppia, tipica della lingua tedesca, composta dalle due parole base gewurz, significa aromatizzare, e traminer che non è originaro di Teremeno nell’ Alto Adige, in tedesco Traminer appunto ma di un vitigno della Renania e prende il nome dal latino “terminus”, come il villaggio di Tramin vicino a Landau, area della presunta origine del Traminer. Ritornando alla grappa grappa gustata e centellinata mi viene da pensare che se se il vino è la poesia della terra, la grappa ne è la sua anima profonda. Nel ritrovarsi a mangiare assieme con amici e prima di congedarci fare un piccolo assaggio di una grappa così superbamente fruttata dal profumo di petalo di rosa che dopo averla assaggiata le papille gustative e le narici trasmettono ancora essenze di fiori con note sfuggenti di erbe aromatiche e di frutta matura, con un gusto armonico di piacevole intensità con buona persistenza. Ritengo che questo mi caro amico sia fortunato perché che possiede delle buone bottiglie, specialmente questa, dei buoni libri e dei fidati amici. Questo mio caro amico mi ha insegnato che nell’ amicizia è il desiderio di dare più che di ricevere, perché nella vita non è importante quanti amici si hanno, ma quanto valgono quelli che abbiamo, e Voi valete tanto.
Favria 19.01.2017 Giorgio Cortese

Io non conosco che un solo dovere, ed è quello d’amare. Il quotidiano dovere è salvare i sogni dei nostri figli

Arrivano le elezioni.
Periodicamente arrivano le elezioni e tutti diventano più chiacchieroni anche se personalmente amo i manifesti elettorali dove i visi dei candidati sono muti e silenziati. Ecco che verso la fine della legislatura inizia la campagna elettorale dove molte opere promesse sono ancora da fare. E’ un fiorire di iniziative, e all’improvviso tutti i candidati si accorgono dei problemi per anni tralasciati e sotto lo zerbino nascosti. I candidati cercano di fare i simpatici e si sforzano con sorrisi ed ammiccamenti di salutare tutti ma proprio tutti i possibili elettori e non solo i conoscenti. Ma la pochezza di quanto prima realizzato parla più di quanto dicano di quello che hanno fatto durante il mandato. Giocano facile i nuovi candidati, per loro e facile fare promesse e opere nuove da realizzare che poi alla prossima tornata elettorale l’incompiutezza li farà balbettare. Personalmente ad ogni elezione ho la sensazione che per qualcuno i cittadini contribuenti contino solo per le elezioni e poi vengano considerati dei pecoroni da tosare periodicamente con le tasse. Ad ogni tornata elettorale c’è un solo sconfitto sicuro, che non è la fazione che l’ha perduta ma proprio quel popolo festante insieme a quell’altro perdente che è rimasto a casa a masticare amaro per le stesse irragionevoli ragioni per cui l’altro è sceso in piazza. Secondo Otto von Bismarck non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia. Ed è vero, i candidati promettono e promettono e poi fanno solo dei buchi nell’acqua ma sicuramente è solo colpa nostra perché i nostri amministratori sono eletti dai bravi cittadini che non vanno a votare perché apporre la croce o non farlo, dopo la croce la dobbiamo tutti portare fino alla prossima campagna elettorale
Favria, 20.01.2017 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno la più grande prova di coraggio è sopportare la sconfitta senza mai perdermi di animo

Scellerato Mentore o onesto Pigmalione
Nella vita possiamo trovare dei buoni o cattivi maestri. I cattivi sono scellerati, sinonimo di infami, malvagi, insomma una parola così pesante che è un peccato non usarla in senso ironico. Se lo scellerato rappresenta l’empietà più vertiginosa, l’abominio più ignobile, lo sconcio più turpe e perfido che si possa osare di immaginare. Ma nel momento in cui davvero incontro nel mio quotidiano cammino queste persone , lo stare a cercare la parola adatta diventa l’ultimo dei problemi. La parola mentore dal nome di Mentore, personaggio dell’Odissea è una figura importante e dovrebbe pur avendo la saggezza e l’esperienza di un maestro, non presentarsi gerarchicamente superiore a colui che assiste con discrezione. La parola deriva, come detto dall’Odissea. Quando Ulisse partì da Itaca per andare a guerreggiare a Troia, affidò il suo giovane figlio Telemaco alle cure di Mentore, figlio del suo caro amico Alcino, che partì con lui. Mentore attese bene al suo compito, ma la sua grande rilevanza è dovuta al fatto che Atena stessa prese le sue fattezze per essere d’aiuto al figlio di Ulisse. Anni dopo, mentre i Proci imperversavano a Itaca, accompagnò Telemaco nelle terre governate dai vecchi amici di Ulisse, a Pilo, dal saggio Nestore, e a Sparta, da Menelao, in cerca di notizie del padre. Ma questo viaggio non servì a molto, se non a far maturare Telemaco e a temprarne lo spirito. Solo quando tornarono a Itaca ritrovarono Ulisse, che era appena rientrato sotto mentite spoglie. Anche in questo caso Mentore, mosso da Atena, ebbe un ruolo fondamentale, consigliò Ulisse sul da farsi, e lo aiutò nella battaglia contro i Proci. La sua figura ebbe risonanza in tempi più recenti grazie a un romanzetto, scritto da Fénelon, arcivescovo francese vissuto a cavallo fra diciassettesimo e diciottesimo secolo: in qualità di precettore del giovanissimo duca di Borgogna, erede al trono del Re Sole, era solito scrivere racconti educativi che lo potessero aiutare nel suo percorso di formazione; fra questi, tra il 1694 e il ’96, scrisse Les Aventures de Télémaque, narrazione che traeva spunto dalle vicende omeriche per affrontare alcune questioni di politica coeva. Ed è forse proprio nel rilancio di Mentore da parte di Fénelon che questo nome prese la forza di un’antonomasia. Ma purtroppo ci sono dei personaggi che sono dei Cailina
Favria 21.01.2017 Giorgio Cortese

Se parlare nella vita è un bisogno, ascoltare è un’arte ed una grande prova di coraggio