Il male è infido e perverso, il nano! – Sempre rispetto 365 giorni all’anno per le donne! – W le donne ogni giorno e non solo oggi. – Il titubante ferace. – Poffare la manfrina. – Quando… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il male è infido e perverso, il nano!
Ho recentemente letto un bellissimo libro, “Il nano” di P. Lagerkvist. Scritto nei drammatici anni della seconda guerra mondiale, “Il nano”, benché ambientato in una corte rinascimentale italiana, l’autore si interroga sul presente, la guerra, la peste, la carestia, gli avvelenamenti e i tradimenti che sconvolgono il suo microcosmo romanzesco, sono evidenti proiezioni delle tragedie di cui è testimone. Ma è soprattutto attraverso la creazione dell’inquietante figura del nano di corte che l’interrogativo si spinge fino in fondo, in un tentativo, amaramente attuale, di capire perché periodicamente nella storia la distruzione, l’odio, l’indifferenza ai massacri, il trionfalismo della guerra arrivino a prevalere su quei valori che rendono l’uomo umano. Il nano, che regge le file dell’azione, è orgoglioso di prestare i servigi a un principe potente, ma è indifferente alla bellezza del mondo, è l’incarnazione dell’essere amorale che ubbidisce unicamente alla logica del potere e attraverso questo sguardo distorto vengo a conoscenza di fatti e personaggi. Nel romanzo il nano può vedere distintamente perfino di notte, contare anche i singoli fili d’erba, eppure non riesce a scorgere le stelle. È sì un genio, ma un genio del disprezzo e dell’odio. Il nano è “inattaccabile, indistruttibile, incrollabile”, un essere completo che appartiene perfettamente a se stesso, un uomo “tutto d’un pezzo” come gli inflessibili moralisti di cui è parodia. Egli è infatti il fustigatore sarcastico incapace di ridere e prestarsi all’autoironia, l’esecratore universale che cerca sempre di far pendere la bilancia verso il basso e irride qualunque genere di relazione della vita. Il nano disprezza quell’”orribile peccato” che è l’amore, incarnato dai due adolescenti Giovanni e Angelica, novelli Romeo e Giuletta che l’infido nano spingerà a tragedia. Non apprezza neppure la passione carnale, è disgustato dalla lascivia della principessa Teodora e dalle gozzoviglie del falstaffiano don Riccardo, un volgare “buffone che ama la vita” in tutte le sue forme, pericoloso destabilizzatore da eliminare appena se ne presterà l’occasione. Il nano detesta l’innocenza, e più di tutto la musica, che s’insinua nel corpo senza che se ne possa avere controllo, in altre parole, egli odia tutto quello che è interiorità e debolezza. Il nano è l’unico personaggio del romanzo a non avere nome: egli è il diabolus ex machina, il cuore di tenebra che catalizza e permette che si realizzino i sentimenti più antiumani covati dal Potere, anche quando esso si ammanta con le vesti dell’umanista principe Leone, luminoso e colto come un Medici, ma ambiguo e scaltro come un Machiavelli. Il nano, in fondo, non è che un’appendice del principe stesso, l’ombra perpetuamente assisa alle sue spalle, la bassezza morale alla quale egli è disposto a ricorrere quando i mezzi leciti non sortiscono l’effetto desiderato. Infallibile conoscitore delle miserie umane, il nano è però del tutto inabile a stupirsi o a partecipare alle sorti altrui. La sua mostruosa disumanità è tutta concentrata nel suo sguardo, nel suo modo di avvicinare il mondo. O meglio, di non avvicinarlo e di non lasciarlo avvicinare. Proprio come il male di cui è incarnazione, il nano da l’illusione di conoscere tutto, mentre conosce solo se stesso. Ma che cosa è il male se non i nostri occhi malati ed impietriti. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, se sono limpidi anche l’animo viene illuminato altrimenti anche il cuore affonda nelle tenebre della disumanità e dell’indifferenza
Favria, 6.03.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno è la festa della donna, oltre che l’8 Marzo, perché – nonostante tutto – ogni giorno la vita trionfa.

Sempre rispetto 365 giorni all’anno per le donne!
Questa mia piccola riflessione nasce dalle piccole ingiustizie quotidiane che cercano di avvelare la vita e della stupidità di certe persone. La cosa che mi fa più rabbia è che la gente non è per niente consapevole di quel che dice e scrive, non si rende conto delle rappresentazioni sociali che stanno dietro alle loro parole. Pensando a tutto ciò non poteva non venirmi in mente Hannah Arendt con La banalità del male. Come lei afferma Eichmann non era un mostro, era un uomo che non era in grado di pensare, non aveva idee!. Nei commenti maschilisti che sento ogni giorno, rivedo in continuazione persone senza idee. Sembra che a queste persone manchi la capacità di pensare a cosa stiano facendo, tanto che appena una persona va contro a ciò che scrivono o dicono non sanno spiegarsi, si difendono semplicemente dicendo “ma è così”, “sono battute”, “ Dai un po’ di ironia”. Le persone che vengono discriminate e che subiscono violenza per il loro orientamento sessuale, anche quella è ironia? Le donne che non riescono a liberarsi di un uomo che le picchia o che abusa di loro, si possono fare battute su questi temi secondo voi? E quelle uccise perché considerate oggetti che potevano solo appartenere ai loro carnefici e a nessun altro, sono state uccise solo da uomini pazzi? Sentire questi episodi di violenza non mi sorprende, perché io li vedo continuamente nei social e per strada, e sono le finte battute, l’ignorante ironia che permette a tutto questo di accadere. Le persone che commettono questi atti non sono pazzi, sono figli di una cultura che continuiamo ad alimentare attraverso rappresentazioni sociali che scambiamo con gli altri. Siamo noi responsabili di questa cultura, non siamo consapevoli di quanto alimentiamo il sessismo con le nostre perfide battute solo per farci notare, per ottenere un po’ di popolarità. La feste delle donne è anche rispettarle sempre, nel cercare tutti insieme di cambiare il ragionamento su questi luoghi comuni che sono l’humus che porta alla prevaricazione sulla metà del cielo, le donne
Favria 7.03.2017 Giorgio Cortese

W le donne ogni giorno e non solo oggi
Otto marzo. Quest’oggi è dedicato al bene più prezioso di tutta l’umanità: le donne, esseri di incommensurabile bellezza e noi uomini dovremmo perderci sempre nel vostro essere. Voi donne siete il fiore più prezioso che noi uomini abbiamo, non solo amore, calore, passione, seduzione. Voi donne siete più che tutto questo, siete prudenza, assenza e presenza. Mamma, papà, nonna, nonno. Voi donne siete la purezza della bellezza, della creazione. Meritate di essere rispettate ed amate con tutto noi stessi in modo incondizionato. Con piccoli gesti sensibili donate amore, consolazione e aiuto. Auguri a voi che in ogni momento riuscite a sopportarci, a voi che ogni giorno date prova di forza e coraggio inimitabili, a voi che sempre avete lottato e sempre lotterete per il rispetto che vi dobbiamo. Auguri ancora a tutte voi, complicate e meravigliose. Carissime donne non abbassate mai la testa donna, in qualunque luogo, momento nel quale Vi trovate, fate sempre vedere la vostra forza dell’animo, la vostra grinta ed il vostro inimitabile coraggio. Voi donne siete gli esseri dalle mille emozioni. Viva per sempre le donne, che siate festeggiate sempre ogni giorno.
Favria, 8.03.2017 Giorgio Cortese

Auguri Donne, m’inchino dinanzi a voi perché senza di voi non esisterebbe niente. Non ci sarebbe casa, né famiglia, ma soprattutto senza di Voi non ci sarebbe vita.

Il titubante ferace
titubante, significa essere incerto, tentennare, esitare. Il lemma deriva dal latino, titubare, voce espressiva .La radice di questa parola sta nel suo suono, è espressivo e simpatica e trasmette un mordi calore senza spigolature. La trovo meno aspra di tentennare e meno seria di esitare, meno cerebrale di dubitare e meno centrata sul prender tempo rispetto al tergiversare o al traccheggiare. Insomma, si tìtuba col cuore, con schiettezza, in un atteggiamento di indecisione un po’ goffo. Quello che mi colpisce è come il participio presente di questo verbo tende a coprire la quasi totalità dei suoi usi. In altri termini, è più comune dire “sono titubante” rispetto a “tìtubo”. Ma non c’è ragione per non usare gli altri modi e tempi di questo verbo, anzi, proprio perché il “titubante” è un po’ inflazionato, scegliere altre forme può impreziosire il discorso. Quindi durante la giornata di fronte ad una quotidiana scelta titubo un po’ prima di prendere una ferace decisione. E qui passiamo alla seconda parola, ferace, con il significato di fecondo dal latino ferax, fertile, fecondo, produttivo. Non lasciamo ingannare ferace come si è visto non viole dire ferino, feroce o vorace, ma come visto il suo significato è lontano da tutto questo. Ferace è un aggettivo molto vicino a fertile, entrambi derivano dal latino ferre, cioè portare, azione attraverso cui sono trasmessi i significati di fecondo, ubertoso, produttivo. Inoltre, entrambe sono voci dotte recuperate dal latino agli albori della lingua italiana. La differenza fra queste due parole si riduce quasi del tutto a una differenza nell’uso e ferace e senza dubbio più ricercato del comunissimo fertile. Ma forse una migliore sfumatura che serve anche nel descrivere il mio stato d’animo sopra descritto che mi trovo quando sono ad un bivio è che fertile è più sereno e silenzioso di ferace, che invece trasmette lo stesso significato con un tono più vivace e industrioso. Nella vita siamo scelte, posso decidere di fingere ogni giorno, ingoiare l’amaro e tirare su un sorriso. Posso decidere di trattenere parole che potrebbero ferire. Sono libero nelle mie scelte ed una volta fatte devo avere sempre la forza feconda e la grinta di portarla avanti, anche se lascerò pezze del mio animo lungo la strada. Perché quando si effettua una scelta, si cambia il futuro. La faccio in pochi secondi e si sconto per tutta la vita.
Favria, 9.03.2017 Giorgio Cortese

Durante la giornata la paura ha sempre più argomenti ma io mi affido sempre alla speranza.

Poffare la manfrina
Ho trovato queste due parole che si prestano bene a questa frase scherzosa. Innanzitutto poffare è una interiezione che esprime stupore, irritazione, ed è una parola composta da: può e fare. Questa parola così rétro oggi ha un’ineludibile carica ironica. Proprio per questo è una risorsa interessante. Si tratta di un’esclamazione che esprime stupore, e un certo senso di irritazione. Ma guardiamola: affermare che è un composto di ‘può’ e ‘fare’ ci dice poco: che senso ha? Be’, ‘poffare’ è vestigio di esclamazioni più lunghe, in cui questo ‘può fare’ ha un senso evidente, esclamazioni del tipo di «Può far Dio?» «Può far il cielo?», col significato ora evidente di «È mai possibile?». Queste locuzioni hanno dato origine a parole come ‘poffar dio’ o la splendida ‘poffarbacco’, oltre che al semplice, ellittico ‘poffare’. Leggo il giornale e vede sempre nuove tasse e nuovi privilegi che in maniera strisciante crescono e mi lancio in un ‘Poffare!’, e si chiude il giornale; e si esclama ‘Poffare!’ accorgendoci all’improvviso che siamo decisamente in ritardo. Ed oggigiorno di toni scherzosi c’è sempre bisogno. Se poi abbino l’esclamazione alla parola manfrina la arricchiscono ancora di più. La parola manfrina deriva dal nome di una antica danza piemontese la monferrina. E si manfrina è la contrazione del nome “monferrina”, che indica un ballo inventato nella regione del Monferrato, in Piemonte, e poi diffuso variamente in buona parte del nord Italia. Sono però i significati figurati di questa parola ad avere oggi maggior diffusione, che si potrebbero immaginare suscitati da una certa noia o insofferenza verso questo ballo. Infatti per manfrina si intende comunemente un discorso noioso, lagnoso, ripetuto spesso e tirato per le lunghe oppure le sempre e solite promesse elettorali che si si impantanano sulle solite manfrine. Insomma una bella parola, ricca, vivace, proprio come la monferrina…. Òh bondì, bondì, bondì, ‘ncora na vòlta, ‘ncora na vòlta……
Favria 10.03.2017 Giorgio Cortese

Scriveva Cicerone: “Mieterai a seconda di ciò che avrai seminato”, mi permetto allora di aggiungere che ogni giorno nessun atto di gentilezza, per piccolo che sia, è mai sprecato.

Quando…
Quando mi rendo conto di avere subito un torto, ragiono su quanto è successo ed approdo alle conclusioni con l’animo più sereno che posso che mi permette di capire se è ripiegare, contrattaccare, cambiare strada, temporeggiare. Nella vita di persone poco corrette ne incontro, che sbagliano la valutazione, che sono arroganti o supponenti. Quando mi sento prevaricato ritengo che sia necessario restare lucido, evitando inopportune prove di forza o reazioni emotive immediate che mi danneggiano ancor di più, perché l’altro ha realmente più potere in quel momento. Mi fermo e rifletto sulla strategia da seguire, se lui ha avuto il bianco io con il nero ho la seconda mossa e mi concentro su ciò che mi conviene fare, non su quel che è giusto in senso assoluto. E poi nonostante tutto sono felice perché sono ottimista e la misura dell’amore è amare senza misura
Favria 11.03.2017 Giorgio Cortese

La tenerezza e la cortesia vengono da alcuni scambiati come sintomo di disperazione e debolezza, ma invece sono l’espressione di forza e di determinazione