Il lupo della favriasca – Unitre vuole dire appartenenza – Il misterioso ospite! – Il cervo bianco. – Ghirlanda e corona! – Menù di Natale. – Arriva il Natale!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il lupo della favriasca
Una volta, tanto tempo fa la favriasca non era una strada ma un grande bosco con una immensa e fitta foresta. Maria era una piccola contadina che abitava in una fattoria, ayrale in piemontese nel bosco di Manesco situato all’estremità del bosco della Favriasca, attraversata dall’unica strada che portava sia a Torino che a Favria che esiste ancora oggi, strada Levata. Un giorno d’inverno il padre della bimba, attraversò il bosco per andare a Favria su di un barroccio tirata da una cavallina e portò con sè la piccina e un grosso cane bianco, Neve, ch’ella amava assai. Quando tornarono, già scendeva la notte. La carrozza correva piano per la strada molto accidentata, mentre era iniziato a nevicare. Il freddo era intenso e Maria lo sentiva, sebbene fosse avviluppata in calde pellicce di pecora. La piccina aveva paura ad attraversare al buio il bosco della favriasca. Le avevano raccontato tante storie paurose di lupi…Il babbo si sforzava di rassicurarla e faceva la carrozza più veloce per quanto poteva. Ad un tratto Maria gli chiese: “Babbo, guarda, dietro la slitta due occhi brillano nell’oscurità….” “Non sono occhi che brillano, ma è la neve della strada” rispose il padre rassicurandola. “Senti, Babbo, come Neve ringhia cupo… E’ inquieto, pare che oda qualche rumore.” “Non è nulla, nulla, bimba mia. Neve ha fame: ecco perché ringhia.” “Un lupo! Un lupo!” gridò ad un tratto Maria spaventata stringendosi al babbo. Il babbo non poteva più ingannarla. Era davvero un grosso lupo che si avvicinava. Provò ad incoraggiarla: “Sta tranquilla, non ci raggiungerà.” Ma il lupo correva e si avvicinava. Ben presto, non fu che a qualche metro dal biroccio. Ad un tratto, la bestia feroce si slanciò sulla bimba e le strappò un pezzo di pelliccia di pecora che l’avvolgeva. Maria gettò un grido spaventoso! Il cane intanto si era rizzato in piedi, sull’orlo della slitta, e pareva dire al lupo: “Non ti avvicinare, se no l’avrai a fare con me.” Quando intese il grido della bimba non esitò più. Il lupo stava avventandosi sulla sua cara piccola amica, ed esso si avventò sul lupo afferrandolo per la gola. Una lotta terribile si accese tra i due animali. Per un pò Anna intese i loro urli: poi, essendosi la slitta allontanata a tutta velocità, gli urli si perdettero lontani e non si distinse più nè il cane nè il lupo presi dalla feroce lotta. “ Neve ucciderà il lupo e poi tornerà a casa, non è vero Babbo?” diceva la bambina trepidante e spaventata. Il Babbo non rispose. Ma nel suo cuore compiangeva il cara e povero cane, che aveva pagato con la sua vita la salvezza del suo padrone e della sua padroncina. Ma dopo alcuni giorni, era il giorno di Natale, ecco comparire dal margine del bosco vicino all’ayrale Neve ferito ma vivo dopo che aveva affrontato nella lotta il famelico lupo.
Favria, 17.12.2019 Giorgio Cortese

Un dolce e sereno Natale a tutti Voi che lo meritate tanto!

Unitre vuole dire appartenenza.
Personalmente mi sono sempre chiesto cosa sia l’UNITRE per i suoi iscritti. In effetti, non è facile rispondere a questa domanda che, pur nella sua apparente innocente semplicità, racchiude un grande significato per così tanta gente. Per prima cosa bisogna analizzare l’età e la socialità .gli iscritti all’Unitre sono donne ed uomini senza età, se si esclude quella anagrafica. Che potrebbero starsene “spaparanzati” davanti al televisore a poltrire o a recriminare sulla vita trascorsa o da venire. E invece queste persone hanno cura loro età nel cuore e nella mente, nonostante i primi acciacchi del corpo, insomma sono diversamente giovani! L’età, dunque, uno scalino generazionale che viene colmato dalla vitalità e dalla arguta curiosità. L’età che hanno non è quella anagrafica ma della freschezza di rimanere giovani a prescindere, impiegando bene il tempo. Gli iscritti all’Unitre, per loro fortuna, hanno superato l’età dell’apparire e sono rivolti al significato di “Essere” se stessi, nel senso di essere interessati, essere motivati, stare insieme per scelta e non per costrizione. Questo attraverso il fare apprendendo nozioni, concetti, acculturamenti ed informazioni varie, fini a se stessi, senza esami finali, senza verifiche, ma capaci a mantenere sveglio ed attivo e sempre giovane il cervello. Insomma quella fresca e giovanile sete di conoscenza e di sapere, per il gusto di farlo, senza dover dimostrare nulla a nessuno, aumentando l’autostima e la fiducia in se stessi e rasserenati psicologicamente mettendoli in condizioni di dare di più anche agli altri. In conclusione alla base di tutto c’è l’esigenza di amare, nel significato di volere bene a se stessi e capire, nell’essere utili agli altri, quanto siamo amati.
Favria 18.12.2019 Giorgio Cortese

Felice sia questo evento fatto d’amore e d’affetto, nel cuore colmo d’amore solo candore nel buon umore per augurarti che a Natale ogni augurio vale! Buon Natale e non mi dimenticare.

Il misterioso ospite!
Si racconta che in una notte invernale fredda e nevosa, un povero anziano vagava solo per le montagne, girovagando per i boschi in mezzo alla tormenta, si avvicinò al villaggio e bussò alle varie porte, ma nessuno gli apriva la porta. Poi all’ultima casa del paese, il padrone di casa aprì la porta al suo bussare, era la notte del 24 dicembre! Il forestiero entrò in quella misera casa, chiedendo se poteva passare li la notte, perché la notte era fredda e la tormenta di neve non voleva cessare. Questo forestiero era un vecchio canuto e notò che la casa era abitata da una povera famiglia che viveva con il poco che riusciva a procurarsi, il fuoco del camino era mezzo spento perché aveva poco legna e da mangiare avevano solo rape bollite, caldarroste e castagne bollite, nonostante questo quando il vecchio chiese se avevano un pasto caldo, la famiglia non esitò a preparare per lui quello che doveva essere la loro misera cena. Il giorno seguente la piccola famigliola scoprì che l’anziano era scomparso misteriosamente e che nel camino era apparso un enorme tronco di legno. Quando, presi dalla gioia, lo accesero, da sotto il tronco iniziarono a sgorgare regali e cibarie di tutti i tipi, e da quel momento in poi la famiglia poté vivere nella gioia e nell’abbondanza.
Favria, 19.12.2019 Giorgio Cortese

Un dolce e sereno Natale a tutti Voi che lo meritate tanto.

Il cervo bianco.
Tanto tempo fa, una graziosa pastorella che conduceva al pascolo il suo minuscolo gregge composto solo da cinque pecore. La famiglia era molto povera e la loro ricchezza nella minuscola casupola nei monti era di cinque pecore. Una sera la bambina ascoltò per caso il dialogo di un vicino con suo papà. Questa persona diceva che al di là del bosco impervio della montagna c’era una valla con erba tenerissima ed acqua in abbondanza. La bambina al mattino come solito porto al pascolo le sue cinque pecore ma tutta la notte non aveva fatto che pensare alla bella valle con tenera erba ed abbondanza di acqua. E allora con il suo piccolo gregge camminò per il bosco, senza pensare ai lupi famelici che si aggiravano e ai pericoli del percorso che si faceva sempre più difficile sulla ripida montagna. La bambina camminava con le sue pecore ormai da ore senza mangiare, passando in luoghi sconosciuto, quando vede un bellissimo cervo bianco. Era forse il cervo che gli aveva narrato nelle fiabe la nonna quando era piccola, ma poi riprese a camminare con più vigore. Poi ecco ad un tratto la erta salita era finita ed iniziò una breve discesa ed ecco gli apparve al limitare del fitto bosco una piccola valle con erba verde e rigogliosa attraversata da un corso d’acqua che arrivava da un vicino ghiacciaio. Che bello disse tra sè, ho trovato la valle che tutte ne parlano, qui il gregge potrà crescere e prosperare con vicino la sua pecora preferita bianchina. Ma ormai la giornata stava volgendo al termine e nella valle iniziò a calare il buio della notte, il vento si alzò furioso ed il cielo minacciava tormenta. La bambina non si perse d’animo radunò le sue pecore che si erano sparpagliate brucando la tenera erba, per ritornare a casa, quando si accorse che aveva smarrito la sua pecora preferita, bianchina! Allora corse per il crinale del bosco dall’unico sentiero che conduceva alla valle e vide che bianchina arrivava in fila indiana dietro a dei cervi condotti dal maestoso cervo bianco visto al mattino. Felice corse ad abbracciare bianchina ma ecco che un lupo famelico sbuco dal bosco per aggredirle, ma il Cervo bianco si parò d’innanzi con le sue maestose e acuminate corna, ed il lupo desistette e si allontanò ululando per la rabbia e per la fame. Il cervo bianco gli chiese quale era il suo desiderio e lei disse che come desiderio era quello di ritornane con le sue cinque pecore a casa sana e salva per dire al papa e alla mamma di aver trovato una bella valle dove fare crescere e prosperare il gregge. Io cervo bianco acconsentì, ma gli disse che arrivata vicino a casa sotto le fronde della grande quercia avrebbe trovato una bella sorpresa. Il cervo bianco scortò la bambina durante il percorso notturno e sembrava quasi che le sue immense corna ramificate rischiarassero la notte. Arrivati al limitare del bosco, vicino a casa il cerco sparì e sotto grande quercia vicino a casa trovò una borsa colma di monete d’oro. La morale è semplice, si è felice con quello che si ha e dobbiamo gioire con gratitudine ogni giorno al bene che ci tocca in a sorte, purtroppo molte volte soffriamo molto per il poco che ci manca e gustiamo poco il molto che veramente abbiamo. Dimenticavo il cervo bianco per qualcuno era Cernunnos, che presso i celti rappresentava il dio della fecondità, della virilità, della caccia, della guerra, dell’abbondanza, degli animali, della natura selvaggia.
Favria, 20.12.2019 Giorgio Cortese

Il più bel dono di Natale è nella felicità del destinatario degli Auguri! Auguri a tutti Voi di Buon Natale coi fiocchi!

Ghirlanda e corona!
Ghirlanda è una parola di origine germanica dalla radice della parola wir, wiel e poi ghirl nel senso di volgere in gito, curvare. Una corona di fronde, fiori, erbe in cerchio. Pare che la parola guarnire derivi dalla stessa radice con la parola gotica warnjan, difendere ma anche ornamento. La ghirlanda è un intreccio rotondo di fiori, di fronde, di erbe. Nei miti nordici la dea dell’amore Freyja era raffigurata con in mano una ghirlanda di fiori intrecciati nei suoi lunghissimi capelli biondi, era anche la dea della vegetazione e della Natura e della Fertilità. Nel passato la ghirlanda era anche usata come segno di onore e di affetto verso le donne nubili decedute, l’uso era di coronare di fiori il capo delle fanciulle o delle donne nubili. Anticamente nell’antica Grecia le corone erano assegnate ai vincitori di giochi in onore del mitico eroe Pelope una figura della mitologia greca. Figlio di Tantalo e Dione. Da lui prese il nome il Peloponneso e fondatore dei giochi olimpici. Più tardi ancora, le corone d’alloro sono state assegnate durante le premiazioni ai giochi olimpici, come premi reali, quale segno di gloria e poi nell’antica Roma, la corona d’alloro della vittoria in guerra, la corona del trionfo, divenne un attributo di Cesare, quale distintivo d’onore e grandezza. Nella scala delle ricompense militari romane, le corone rappresentavano i “dona maiora”, doni maggiori, superiori ai dona minora. Le corone potevano essere concesse dai generali ai soldati o, viceversa, tributate dalla truppa stessa al proprio comandante. La forma o il materiale con cui esse erano realizzate richiamavano il particolare merito che si intendeva onorare. La corona dava diritto anche all’accesso ad un premio in denaro e a particolari posizioni d’onore in seno all’organizzazione militare e alla società civile. La corona triumphalis era assegnata al generale vittorioso acclamato imperator. Fatta d’alloro intrecciato, nel corso della cerimonia trionfale era rappresentata da una corona d’oro fatta in forma di foglie d’alloro sorretta sul capo del generale trionfante da uno schiavo. Per la sua caratteristica di corona propria del generale imperator. La corona obsidionalis era assegnata all’uomo che, con il proprio intervento, avesse salvato un intero esercito dalla distruzione. Era fatta d’erba intrecciata, per questo era detta anche corona graminea, cioè corona d’erba. Era considerata il massimo simbolo del valore militare. La corona civica era assegnata all’uomo che, con il proprio intervento, avesse salvato la vita di uno o più cittadini romani, ob cives servatos, per i cittadini salvati, o di un alleato. Il console come riconoscimento di questo gesto coraggioso, offriva dei doni, mentre coloro che erano stati salvati, offrivano solitamente e spontaneamente una corona d’alloro al loro salvatore. Nel caso non fosse stata riconosciuta alcuna ricompensa, i tribuni decidevano e costringevano la persona salvata a farlo. In teoria, chi era stato salvato, avrebbe dovuto onorare per tutta la vita il proprio salvatore come un padre, avendo l’obbligo di trattarlo come un genitore. La corona civica era realizzata in con serto di quercia, per questo era detta anche corona querquensis, cioè corona di quercia. Creava un particolare legame parentale tra il salvatore e il cittadino salvato. A differenza delle altre corone, la corona civica poteva essere attribuita anche al di fuori del contesto militare. La corona muralis era assegnata al primo uomo che avesse scavalcato le mura di una città nemica. In oro, aveva forma di cinta muraria merlata e turrita ed è per questo detta anche corona turrita. La corona castrensis o vallaris era assegnata al primo uomo che avesse scavalcato il vallum di un accampamento nemico. In oro, aveva forma di palizzata, con punte acuminate. La corona navalis era assegnata al primo uomo che avesse abbordato una nave nemica e all’ammiraglio che avesse distrutto una flotta nemica. Si trattava dunque di due premi distinti, ma è incerta l’esistenza di un’unica corona oppure di due corone distinte, nel qual caso una sarebbe stata chiamata semplicemente navalis, mentre l’altra, simbolicamente decorata con dei rostri richiamanti quelli delle navi nemiche, sarebbe stata per questo detta corona rostrata. Entrambe le corone o la corona unica erano comunque realizzate in oro. Infine la corona ovalis era assegnata al comandante cui fosse stata tributata un’ovazione, ma non un trionfo, avendo combattuto contro un nemico ritenuto inferiore. Era fatta di mirto intrecciato. Tornando alla ghirlanda che oggi addobba nel presente, non è superficiale come il festone, nè leggera come il festone, né pesante come la corona. Il suono della parola ne denota vivacità con un ornamento semplice e racchiude nella sua costruzione c’è il semplice gesto di intrecciare fiori. Nella festa primaverile i bambini si adornano di ghirlande di margherite, e per Natale appendiamo una ghirlanda di biancospino.
Favria, 21.12.2019 Giorgio Cortese

Menù di Natale.
Nel menu natalizio piemontese non può mancare, insalata di carne cruda all’albese, peperoni in bagna cauda, salsa a base di olio, aglio e acciughe, acciughe al verde, flan del cardo, tortino al porro, agnolotti al plin con sugo d’arrosto, risotto con radicchio o al barolo, arrosto di cappone, misto di bollito con salse, carote e patate al forno e come dolci: torta gianduia e zabaione, torrone d’Alba.
Favria 22.12.2019 Giorgio Cortese

La notte ha lasciato il suo spiraglio sulle porte del giorno, affinché anche le stelle possano brillare a festa in questo giorno unico, pronto ad annunciare il lieto evento di questo felice Natale.

Arriva il Natale!
Il Natale è un giorno speciale con l’augurio che tutti possano passare un sereno S. Natale. Un Natale ricco d’amore, un Natale che arrivi al cuore che dia pace a tutta la gente, che dia calore a chi ha freddo Che dia amore a chi è solo Che dia tutto che è di più caro. Che bello il Natale, il suo significato racchiude atmosfere speciali ed emozioni nell’animo. Il S. Natale è un bene incommensurabile, fa felice tutte le persone, senza di esso Non si potrebbe essere così allegri.
Favria 23.12.2019 Giorgio Cortese

Le cose più belle non la troveremo sotto l’albero, queste cose lo troveremo in un sorriso, in un abbraccio, in un ti voglio bene, in un semplice saluto, i doni più belli sono le parole dette con sincerità. Quello che possiamo sentire è donare con il cuore. Buon Natale!
Giorgio