Il buonismo il primo passo verso il razzismo? – Che tristezza. – I beceri iconoclasti. – Fervido dalla speranza corrusca. – Ma dove sono? – Da Palinuro al navigatore. – Quanto mi manca Kant?…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il buonismo il primo passo verso il razzismo?
Sempre di più gira sugli sms e nei vari socialforum il germe del razzismo, dell’intolleranza verso lo straniero, inteso come diverso. Sempre di più girano luoghi comuni che tutti gli stranieri stuprano, violentano le donne, si ubriacano e vogliono imporre le loro regolo religiose. Sento sempre di più l’insofferenza di persone che ritenevo equilibrate verso il “Ius soli”, il dare la cittadinanza ad esseri umani che hanno un colore della pelle e una religione diversa dalla mia, italiano e Canavesano da più di otto generazioni. Questi ultimi sono persone che sono nate in Italia ed ormai non rientreranno mai più nei paesi di origine dei genitori, un po’ come gli immigrati dal Sud degli anni sessanta e dopo, che ormai sono e si sentono Canavesani a pieno titolo e con il loro lavoro hanno portato e portano ricchezza a tutti noi. Premetto non sono ne razzista e ne intollerante e potrei continuare il discorso che i miei primi amici di infanzia erano dei bambini figli di immigrati, che mescolavano l’italiano con lemmi di piemontese e parole dell’idioma natio. Ma se vado avanti su questo tipo di discorso divento buonista e fornisco un carburante inesauribile a chi fomenta il razzismo e l’intolleranza. Quello che bisogna dire chiaramente che nel Patrio Stivale i Governanti si devono adoperare per l’effettiva accoglienza e integrazione di chi vive in Italia, che paga le tasse, versa i contributi e contribuisce come tutti alla crescita delle nostre Comunità. Ma devono essere chiari e anche poco diplomatici e devono prodigarsi concretamente contro l’intolleranza e odio anti-cristiano in Medio Oriente. Chi entra in Italia, come immigrato o come profugo deve capire un discorso chiaro e netto, senza se e senza ma. Chi entra nella nostra amata Patria, deve subito capire che la nostra identità è netta e forte, non sfuggente, che non abbiamo paura della propria ombra, per fare capire a tutti che in Italia ci può stare a certe condizioni, italiani e non. Per essere ancora più chiaro, il continuare a comportarsi da buonisti fomente solo idee razziste. Ma quale è allora la differenza tra tra l’essere buoni e l’essere buonisti? Nella vita di ogni giorno i buoni sono le persone gentili e premurose, le persone disposte a qualunque sacrificio per aiutare gli altri senza clamore e senza postarlo subito sui social. I buonisti sono invece quelli che della bontà fanno un uso politico-ideologico e utilizzano la bontà come alibi per mettersi la coscienza a posto, per lavarsi la faccia esteriormente di bontà, così possono giustificare l’attuale permessivismo morale che rischia di travolgere il nostro stile di vita e la nostra democrazia. Per il buonista tutte le culture si equivalgono e tutte le religioni sono sullo stesso piano. Per il buonista non esiste un terrorismo islamico e quelli che sgozzano in nome di Allah semplicemente non sono Musulmani. Il buonista che si incontra ogni giorno non si sogna di attaccare o di sfottere gli Imam o gli Ayatollah, ma non si fa scrupolo di dileggiare il Papa e la Chiesa quando ricorda cosa vuole dire essere cristiani. L’atteggiamento che si deve avere è allora si di essere buoni e aiutare chi è in difficoltà ma senza chiudere gli occhi. Il Canavese è la nostra terra e chi viene ad abitare qua deve vivere con le nostre regole, se qualcuno cerca di imporre le proprie evitiamo di sentirci colpevolizzati come razzisti ma con animo pacato riaffermiamo le regole del vivere civile che vuole dire accoglienza ed inclusione pur con le proprie peculiarità. Rispetto per chi è onesto ma, fermezza con chi delinque con la certezza della pena, per evitare di formare dei ghetti. In conclusione chi entra nel Bel Paese si deve integrare se no nessuno lo trattiene! Ricordiamoci sempre che molti si indignano per i crimini, presunti od effettivi, dei migranti, ma sono i primi a violare le regole, piccole o grandi che siano; e che il rigore preteso dagli altri vale sempre e soltanto per gli altri: l’abusivismo edilizio, l’evasione fiscale e tutto il resto non ce lo hanno certo insegnato i migranti!
Favria, 13.09.2017, Giorgio Cortese

Certi giorni mi capita a volte di sentirmi per un minuto felice, ma non mi faccio prendere dal panico, è questione di un attimo e passa come la fortuna che è solo un attimo, ma la vita è tutto il resto

Che tristezza.
Sono stato nei giorni di ferie in un ufficio pubblico per delle pratiche di un familiare. Ed ecco uno spaccato della società in cui vivo e mi confronto ogni giorno. C’era da aspettare e per molti che erano li la fila, la coda, l’attesa di venire chiamati con il numero ritirato erano sinonimi di perdita di tempo. Certo per chi ha i minuti contati, spenderne una buona parte incastrati in un ingorgo di auto o di persone, è causa di forte stress. E poco importa se la fila era seduta e al fesco dell’aria condizionata. In coda certe persone hanno dimostrato il peggio del loro carattere insofferente alle regole, certo il tempo ho trascorso poteva sembrare interminabile. Ritengo che la coda non è fonte d’ansia in sè, ma a causa del mio stile di vita e dei mei simili sempre èpiù frenetico ed iperconnesso. Ma il tempo è un bene prezioso, ogni giornata è programmata nei particolari e le file costituiscono ostacoli alla realizzazione dei nostri obiettivi, imprevisti che causano stress. Forse la percezione del tempo trascorso in attesa del proprio turno è sempre più lunga della realtà, cinque minuti di coda a volte paiono un’eternità, pertanto il concetto del tempo di attesa non è un valore assoluto, ma soggettivo e la sua durata dipende dalla situazione, se sono felice i minuti volano ma se sono in ritardo diventano eterni. Quando aspettavo in coda ho visto anche certe persone erano iper connesse al cellulare, ma anche dei bambini e questo forse non aiuta ma alimenta ancora di più l’ansia. Insomma una varia umanità che sbuffava per la coda proponendo delle assurde soluzioni e altri iperconessi senza più sorridere alla vita ma catturati dall’Iphone. Che tristezza!. Ritengo che la coda inattesa per sbrigare delle partiche burocratiche, dal dottore, in posta o in banca deve essere accettato come un piacevole imprevisto che mi permette il lusso di non fare nulla, una salutare pausa necessaria ed importante nella frenesia quotidiana. Ne ho approfittato per guadarmi intorno, per osservare riflettere e anche per raccogliere le idee per questa breve lettera. Oggi quello che manca è il tempo per un breve relax, non certo gli impegni. E allora quando mi capita provo a godere della noia, soprattutto quando ha una così breve durata e provare tristezza per certi beceri atteggiamenti.
Favria, 14.09.2017 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana leggere un libro è sempre un modo per mettersi in ascolto

I beceri iconoclasti.
Negli Usa le statue, sono sotto esami, dopo la violenza di stampo razzista scoppiata a Charlottesville in seguito alla rimozione di un scultura dedicata a un generale della Guerra di secessione Robert Edward Lee che, ha avuto come colpa di essersi schierfato dalla parte del suo Stato la Virginia, e da virginiano rimase fedele a quando aveva deciso la maggioranza dei suoi concittadini. Generale Lee, che si guadagnò una fama quasi leggendaria anche nel campo nemico, grazie alle vittorie conseguite contro forze militari spesso nettamente superiori e alla sua affascinante personalità. Dopo la guerra s’impegnò per la riconciliazione e trascorse i suoi ultimi anni come presidente di un Collegio che in seguito porterà il suo nome. Nel Sud degli Stati Uniti Lee rimane una delle figure più universalmente apprezzate e venerate, oltre che emblematiche della storia della Confederazione fino ai nostri giorni. Ma anche per la statua dello scopritore dell’America a New York che si erge di fronte all’ingresso di Central Park soffiano venti di sua rimozione, in quanto alcuni rappresentanti del consiglio municipale della metropoli hanno infatti invocato l’abbattimento della statua dell’esploratore italiano, anche se la sua figura non ha nulla a che fare con la Guerra di Secessione. A motivare la richiesta è l’accusa mossa a Colombo di essere stato un conquistatore spietato. Ma se così fosse dovremmo pensare a tutti i monumenti che celebrano dei grandi scopritori, politici o militari dovrebbero essere rimossi, pensiamo alle piramidi edificate dagli schiavi!. Mi sembra che, stia soffiando il vento iconoclasta. Per chi non conosce il termine di questa parola spiego brevemente che è stato un movimento di carattere religioso sviluppatosi nell’impero bizantino intorno alla prima metà del secolo VII che assunse presto anche uno scopo politico. Il termine iconoclastia venne poi usato più in generale per indicare altre forme di lotta contro il culto di immagini in altre epoche e religioni o correnti religiose. Iconoclasta è l’Islam nella proibizione dell’uso dell’immagine di Maometto, ma sono iconoclasti il Calvinismo ed i Puritani sviluppatisi con la Riforma protestanti. Ma questa pratica religiosa e politica molto diffusa era già in epoche remote, pensate che nell’Antico Egitto non era affatto raro che le statue dei faraoni elevati al rango di divinità venissero distrutte dai loro successori al trono come ad esempio le statue di Hatdhepsut distrutte per ordine del successore Thutmose III. Personalmente sono inorridito di questo zelo che non deve offendere nessuno, ma siamo seri le statue dei vari dittatori rimaste in Europa sono storia, i monumenti del fascismo sono storia. Il murales fascista che è emerso su di un muro a Cuorgnè è storia, ci piaccio o no, tutto quello che è avvenuto prima di noi è storia, e non sono fascista. Se proprio si vuole ricucire le Comunità per luoghi e simboli condivisi, i nuovi monumenti o la posa di un albero dovrebbero essere dedicati a tutta la Comunità e non ricordare con la bronzea targa la posa avvenuta dal politico di turno.
Favria, 15.09.2017 Giorgio Cortese

Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante, e ogni istante sembra che si dilati tanto che non se ne vede più la fine.

Fervido dalla speranza corrusca.
Nelle mie passeggiate domenicali mi capita di incontrarlo alla domenica mattina nel settimanale giro al cimitero. Ci troviamo, quasi ci dessimo appuntamento e scambiamo due chiacchiere interessandoci sinceramente dello stato di salute e nel salutare le rispettive famiglie. Lo chiamo con un nome di fantasia “Fervido”. Si nel mio intimo ho così ribattezzato questa persona dotata come la parola di origine latina fèrvidus, con il significato che bolle, derivato a sua volta da fervère: bollire, ardere. Si lo chiamo così per il suo modo di fare caloroso, intenso e vivace. Ma questo suo carattere vivace è indirizzato all’ entusiasmo che arde con costanza. Si è proprio una persona speciale, nonostante l’età ed i primi acciacchi della seconda gioventù, come dice lui, con l’attitudine innata di avere nell’animo una speranza fervida nell’essere umano. Questa sua speranza nell’animo sembra che risplenda, che tutto il suo essere sia corrusco di pensieri positivi, nonostante le preoccupazioni della vita quotidiana. Permettetemi ma ho usato la parola raffinata corrusco per dare meglio il significato di brillantezza di speranza del suo animo, che ne rimango sempre piacevolmente contagiato. Corrusco deriva dal latino coruscare con il significato di lampeggiare. Insomma un animo corrusco è quello splendore agitato, aggressivo dell’animo inerte come le corna lucide di un bufalo d’acqua, perché questo lemma deriva ancora prima dal latino dalla voce greca antica korysein, cozzare con le corna. Ecco con lui sento cozzare la sua dirompente speranza, mi contagia e mi fortifica. Non smette mai di dirmi che nella vita l’unica cosa di cui devo avere paura è la paura. Prosegue dicendomi che se ho un problema non devo chiedere dei miracoli ma chiedere a Dio, la forza di affrontare il quotidiano cammino, perché vivere non è facile, molte persone esistono e nulla più! Ed invece non dobbiamo mai mai d’imparare e fare in modo di accrescere sempre ciò che sappiamo, e poi aggiunge Fervido:”Ricordati Giorgio, che raramente la saggezza è conseguenza solo della vecchiaia!” Ogni volta prima di salutarmi mi ripete che il destino non è questione di fortuna, ma anche delle scelte che faccio. Scelte che non devo aspettare a fare ma azioni quotidiane per raggiungerla anche a piccoli passi. Un grande Fervido, ciao buona vita
Favria, 16.09.2017 Giorgio Cortese

Anche se si tratta d’un regalo molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso. Scelgo di vivere. Sicuramenmte nascere è il miracolo dei miracoli, ma vivere è il regalo dei regali.

Ma dove sono?
Sono Canavesano e sinceramente innamorato del territorio in cui vivo e a volte rimango amareggiato e anche momentaneamente confuso nell’animo, nel vedere quanto sia distante la classe politica dai problemi reali del territorio. In Canavese abbiamo avuto il default del Consorzio Rifiuti ma dai piani alti nessun aiuto, c’è stata la nascita di una Banca locale con relativo comitato e dopo si fonde già con un altro istituto più grande, sicuramente, vi saranno state ottime ragioni per la fusione, ma c’è stato chi l’ha vista come un’occasione persa per il Canavese. Infine il Santuario di Belmonte rischia seriamente di chiudere e anche qui si farà l’ennesimo comitato? Ma chi viene a mietere voti alle politiche come unica azione fa solo chiacchiere ed i fatti nella vita reale stanno a zero. Ma dico fosse solo una interrogazione parlamentare per fare sentire che esistono e non sono persone immateriali che si presentano con fare bonario durante le campagne elettorali delle politiche. Forse il Canavese non conta nulla, beh almeno abbiate il coraggio di dirlo e di non lasciare il peso di tutto sulle amministrazioni locali e su di noi semplici cittadini. Come ho detto prima vengo preso dallo sconforto ma poi penso che la vita sia sia bella anche quando è brutta e che vivere è il regalo dei regali. Oggi, mi sembra di vivere dentro una società anestitizzata, mi pare che ci sia stata una rivoluzione strisciante di questi ultimi venti anni, dove i mediocri hanno travolto tutto e si sono annidati nelle stanze dei bottoni e come nel film di Don Siegel,: “L’invasione degli ultracorpi”, ci spingono a essere come loro, un po’ come gli alieni in quel film. Ma poi penso che ad ogni problema ci sono delle opportunità che si moltiplicano, e allora scelgo di vivere in Canavese per scelta, e non per caso. So che non sono solo e che molti scelgono di fare dei cambiamenti, anzichè avere delle scuse. Scegliamo allora, di essere motivati, non manipolati dai soliti imbonitori. Scegliamo tutti di essere utili con i nostri piccoli lavori quotidiani, perchè le formiche se unite possono spostare anche un elefante e, non di essere usati. Scegliamo l’autostima e non l’autocommiserazione, ascoltando sempre la voce interiore di chi incontriamo e non l’opinione casuale del momento della gente. Scegliamo di vivere in Canavese, coraggio!
Favria, 17.09.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno sono ciò in cui credo di essere

Da Palinuro al navigatore
Prima di parlare dei moderni e sofisticati navigatori delle auto, facciamo un passo indietro e parliamo del primo navigatore per antonomasia, Palinuro, personaggio della mitologia romana, il mitico nocchiero di Enea, caduto in mare di notte, tradito dal dio Sonno, mentre conduceva la flotta degli esuli troiani in fuga verso l’Italia. il nocchiero era l’antico navigatore, la parola deriva dal greco antico e significa chi conduce la nave, allora utilizzando solo le stelle e la costa come punti di riferimento. Dopo questo riferimento alla storia antica siamo portati a pensare che i navigatori satellitari siano un’invenzione recente, dal momento che è necessaria la tecnologia GPS per farli funzionare. In realtà, una forma rudimentale di navigatore esisteva già megli anni trenta del novecento, era composto da una mappa su di un rullo che scorreva verso l’alto. Questo strumento veniva posizionato sul cruscotto della macchina ed era corredato dalle mappe cartacee che erano avvolte attorno ad due rulli che ne permettevano lo scorrimento e coperte da un display. Un cavo, collegato al tachimetro, controllava la velocita di scorrimento delle mappe. In questo modo, la velocità con la quale si muovevano le mappe sul display erano direttamente proporzionali alla velocità della macchina, così da mostrare sempre la posizione corretta in cui ci si trovava. Il problema era che se si fosse cambiata la propria rotta, si sarebbe dovuto caricare un’altra mappa e trovare il punto esatto in cui ci si trovava. Le prime tracce automobilistiche del navigatore satellitare risalgono all’Estate del 1971 quando, per non perdersi sulla superficie lunare, gli astronauti della missione Apollo 15 si spostavano a bordo di un Lunar Rover Vehicle equipaggiato con un primo dispositivo di questo genere. Ma solo diciotto anni dopo, nel 1989, che, grazie alla tedesca Blaupunkt, fece la sua apparizione il primo navigatore satellitare destinato agli automobilisti comuni: un’innovazione che, oltre a creare un mercato completamente nuovo, cambiò radicalmente le abitudini degli automobilisti. Oggi il navigatore satellitare è ormai una presenza comune su molte automobili. Da tempo molti costruttori lo offrono come equipaggiamento di serie od a richiesta integrato nella plancia delle loro vetture ed oggi è l’equipaggiamento a richiesta attualmente più richiesto dalla clientela italiana. Il navigatore ha mandato letteralmente in pensione le carte stradali, permettendo agli automobilisti di raggiungere una qualsiasi destinazione preimpostata dall’utente partendo dalla sua posizione iniziale, indicando loro passo passo il percorso stradale da seguire con indicazioni vocali e simboli grafici riprodotti su un apposito display. Secondo una casa produttrice di navigatori per auto, il navigatore satellitare è stato galeotto per ben 2,9 milioni di innamorati, consentendo loro di raggiungere facilmente il posto del primo appuntamento, e, come se questo non bastasse, ha salvato 13 milioni di matrimoni, evitando discussioni tra marito e moglie, avendo la parola definitiva sulla strada migliore da percorrere e mettendo così tutti d’accordo e sebza più ricorre a Palinuro come aveva fatto Enea.
Favria 18.09.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno porto nel mio animo il ricordo indelebile di quelle persone che mi hanno lasciato. Nel bene e nel male sono pezzi di me, sono il bagaglio per il mio quotidiano cammino, certe volte sono lieti i ricordi migliori e malinconia e, a volte dolore quelli peggiori. Ma sono la forza per andare avanti le ferite e ossigeno per il mio animo le risate. Mi tengo ben strette le persone care vicine che camminano ancora con me, sono le mie ancore di salvezza ed infine sono una liberazione quelle che cerco di scansare e non voglio incrociare..

Quanto mi manca Kant?
Oggigiorno mi sembra che i principi kantiani, che avevano una autorevolezza morale quando non ispiravano la politica, quando c’erano le frontiere ed era possibile distinguere tra “immigrazione” e “migrazione”. Oggi viviamo in una società liquida con frontiere colabrodo e gli Stati non possono far fronte alle “ondate” di disperati della terra. Oggi il Terzo e Quarto Mondo, non bussano alla porta delle nostre coscienze ma entrano con forza nel nostro vivere quotidiano, mettendo in crisi i nostri valori e la nostra vita di ogni giorno. Serpeggia nella nostra società il sentimento di affermare che siamo noi i padroni a casa nostra ma il problema è che oggi non esiste più una “casa personale”, per nessuno. Via di qua! Dobbiamo tutti muoverci. Perché? Per il fatto che non c’è un pianeta in grado di realizzare i sogni della globalizzazione! Oggi non possiamo essere cosmopoliti per scelta, dobbiamo esserlo, e basta. La civiltà occidentale è decisamente regredita, lasciandosi alle spalle una serie di standard di vita faticosamente conquistati e ritenuti ormai consolidati. Con questa regressione si frantuma anche la visione del mondo cosmopolita ed illuminista, come l’apertura della mente e delle frontiere che lo caratterizzava. Una cultura nobile che ci ha guidato fino a quando il mondo era diviso in zone di influenza durante la Guerra fredda, e la sovranità degli Stati sovrani aveva il potere di fare scelte economiche e sociali e pattugliare le frontiere. E oggi essere tolleranti diventa pesante ed i principi illuministici scricchiolano sotto l’onda del becero populismo demagogico. Siamo in difficoltà ad essere tolleranti quando i diversi vivono sotto casa perché richiede un lavoro faticoso di autocontrollo. E quindi chi si ritiene liberale, non vede l’ora di rientrare in casa e rifugiarsi nel privato, dove può dire quel che pensa e l’arte del “trattare” e del “compromettere” non è così necessaria. Se la società si sfalda anche la politica non è in migliore salute, dove si vede sempre di più la distanza tra “gente comune” che utilizzano i social pre scrivere di tutto ed il contrario di tutto, e le persone equilibrate che portano ad una deriva populista-totalitaria. Siamo ancora in tempo per fermare questa discesa nel baratro, ma bisogna iniziare a modificare le Istituzioni giuridiche e politiche dalle basi. Penso che bisogna smettere di inseguire i beceri populismi che seguono la moda del momento, parlano alla pancia delle persone ma non ragionano sul futuro prossimo. Ritengo che bisogna ripensare alla democrazia, modificando dalle basi le istituzioni giuridiche e politiche, rifondare una Europa di popoli e non di grigi burocrati, che non servono a nulla se non a loro stessi nel vivere alle nostre spalle creando regole assurde. E’ ora che la politica riprenda in mano il controllo delle banche, e promulghi degli accordi sugli standard ecologici, sui diritti dei lavoratori, sul servizio sanitario, sulla protezione delle minoranze sessuali ed etniche. La politica deve avere adesso il coraggio, o mai più, di proporre un progetto di nuovi e diversi accordi internazionali a favore dei popoli e non delle multinazionali. Oggi la democrazia dà cattiva prova di sé è a causa da un lato della scarsa volontà di “volere” l’Europa politica e dall’altro dell’abuso dello strumento referendario da parte di leader o poco saggi o arroganti, abbiamo un disperato bisogno di Kant e della sua cultura illuminista per risalire la china della regressione, siamo ancora in tempo.
Favria, 19.09.2017 Giorgio Cortese

Nella vita non ricordo i giorni, ma ricordo volentieri gli attimi.