I soliti idioti! -Il canto del cigno del genere umano. -La maroda ed il malandrino – Tarquinio Merula il coltro dell’estetica barocca – Da conciliabolo a conciliarsi – Se la Primavera…..le pagine di Giorgio Cortese

Cadendo, la goccia scava la pietra, non per la sua forza, ma per la sua costanza, ma quando dorme che cosa sogna la goccia d’acqua? Fortunata l’acqua che non ha memoria, per questo è così limpida! Ma lo spreco dell’acqua potabile è davvero inaccettabile!

I soliti idioti!
A Milano all’inaugurazione dell’Expo ho visto due volti dell’Italia, quella virtuosa, che lavora e che si tira su le maniche, i cittadini di Milano che hanno fatto pulizia nelle strade dopo i disordini del giorno prima. L’Italia fatta da gente che lavora per la buona riuscita dell’Expo, avvenimento importante, lavoratori che sono operaie e tutori dell’ordine, che avrebbero ben ragione di protestare per lo stipendio che molte volte non basta ad arrivare a fine del mese, ma che vanni sempre avanti. E poi l’Italia, infima ma rumorosa minoranza, composta dai soliti idioti che associano al diritto di protestare la libertà di spaccare le proprietà altrui, farlocchi che hanno tenuto in ostaggio con le loro scellerate azioni dei cittadini costretti a rimanere in casa e a vedere andare in fumo la loro auto, costata sudore e fatica. Dei teppisti, che sono da condannare senza se e senza ma! Degli stupidi idioti che protestano con l’Expo che ha come obiettivo dell’evento la lotta contro la nutrizione del pianeta, la lotta alla fame e alla denutrizione, per ripartire su di una cittadinanza globale e sulla condivisione delle risorse, ripartire dalla cura della Terra, perché non ci sarà mai una morale per la civile convivenza senza una morale comune di come gestione tutti insieme le risorse del pianeta terra. Non servono leggi più severe contro questo farlocchi, ma serve il rigido rispetto di quelle attuali, perseguendo chi si macchia di fatti cosi gravi che risarcisca i danni morali e materiali non solo con multe salate ma con il lavoro fisico nel ripristinarle, per fargli capire che il lavoro e fatica, la libertà e figlia del lavoro e la democrazia il rispetto delle regole della civile convivenza. La speranza esiste nel sentire i bambini che cantano l’inno nazionale durante la cerimonia inaugurale di Expo il coro, quando alla fine dell’inno di Mameli, hanno sostituito, il: “siam pronti alla morte”, con il: “siam pronti alla vitaaaa.. l’Italia chiamò ” con la mano sul cuore! Questo mi da speranza per il futuro che questi vigliacchi incappucciati senza morale e senza meta non prevarranno. W la Terra, W la vita!
Favria, 17.05.2015 Giorgio Cortese

Ritengo che la giusta dose quotidiana di autoironia mi permette di ingannare quei momenti quando mi ritrovo col sedere per terra e l’autostima sotto i piedi. Non prendermi mai sul mai sul serio in quei momenti aiuta a superare l’amarezza del momento.

Il canto del cigno del genere umano.
Ho letto con ribrezzo il folle atto fatto da una “bestia”, infatti non si può che definire solo così, un già essere umano che non ha rispetto per gli animali. Ma come si può giustificare l’uccisione di un cigno a mani nude! Un povero cigno che aveva come unico torto di aver incontrato una “bestia” pure vigliacca. Se questo figuro, perdonatemi ma non riesco a chiamarlo essere umano, voleva misurare il suo coraggioso coraggio poteva dedicarsi ad un opera di volontariato, dove ogni giorno chi fa il volontariato è un eroe nel quotidiano. Perdonatemi ma, “la morte del cigno” Baldassarre, mi ha fatto ricordare il famoso balletto di M. Fokine, su di un pezzo di Camille Saint-Saens, il cigno dal carnevale degli animali composto nel 1901. Per non parlare del “lago dei cigni” di Ciajkovskij”, basato su un’antica fiaba tedesca, “Il velo rubato”. Tornando allo scellerato gesto c’è da dire che il rispetto per la Vita è una delle grandi conquiste dell’uomo, è un segno di civiltà. E la Vita non è solo la “mia” Vita, ma anche quella di tutto ciò che mi circonda. Chi rispetta la Vita deve rispettarne ogni forma, perché chi è crudele con gli animali lo è anche con gli esseri umani. Gli animali hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti. Molti animali da compagnia vengono denominati domestici, dimenticando che domestico, dal latino domesticus, deriva da domus, casa, che appartiene alla casa e alla famiglia, fa parte della nostra vita. Con la bella stagione, ogni anno si assiste all’abbandono di cani e gatti per le strade, ritengo che il loro abbandono debba essere punito con pene severe oltre a chi detiene animali in condizioni degradanti. Ritengo che dopo questo grave episodio deve essere promossa un’azione di sensibilizzazione contro l’uccisione degli animali. Mi auguro che il povero cigno Baldassare, secondo l’antica credenza alimentata da Platone nel Fedone abbia emesso prima di morire strozzato dalla “bestia” una struggente e bellissima canzone. Una canzone che sarà stata un inno alla vita per ricordare a tutti noi esseri umani che gli animali nascono uguali davanti alla Vita e per questo hanno il diritto di essere rispettati. Rispettando gli animali, noi esseri umani rispettiamo noi stessi, la natura di cui facciamo parte e, soprattutto, rispettiamo il valore della Vita…” dopo copiose estati muore il cigno…” Tennyson.
Favria, 18.05.2015 Giorgio Cortese

Nella vita pochi sono gli uomini squadra, perché solo pochi sono così grandi da pensare al bene comune prima che a se stessi. Solo così un gruppo diventa un vero gruppo quando tutti i membri che lo compongono sono abbastanza sicuri di sé e del contributo che possono dare, da riuscire a lodare la preparazione degli altri partecipanti senza invidia.

La maroda ed il malandrino
A maggio una volta era tempo di maroda, con le ciliegie. Ho fatto una piccola ricerca sulla parola maroda, l’origine di questo lemma è discusso. Pare che il lemma derive dal nome del gatto nei dialetti della Francia centrale e occidentale che avrebbe preso il significato di ” vagabondo ” con il lemma marauder. nel francese antico “marault, mendicante”, da marir o marrir, randagio, che derivano tutti dall’antico franco “marrijan, trascurare , ostacolare” affine all’antico Germanico “marzijaną, trascurare , ostacolare , rovinare. Il mar onomatopeico è il tentativo di imitare i gatti fanno le fusa o il loro miagolio quando sono in calore. Secondo altre versioni deriva dal latino “marra” strumento simile alla zappa con il ferro di forma triangolare, utilizzato per lavorare la terra in superfice, che deriva dall’antica marsa strumento analogo usato dal popolo dei Marsi. In Francia maraudise significa ” atto , del lavoro dei contadini ” e Marault è attestato , nel senso di ” artigiano che lavora con il legno e produce armadi “, lo stesso per marreux, ” i lavoratori che lavorano con i malati ” come attestati da documenti del 1463. In francese il lemma In Francia troviamo il lemma marauder, derivato di maraud, con il significato di vagabondo. Da questa parola arriviamo alla “maroda” piemontese che significa razziare e vagabondare per i campi, atto questo compioti nel medioevo dagli eserciti che passavano per il Piemonte ed adesso rimasto con il significato di fare una “incursione” in un campo per mangiare di nascosto delle prelibate ciliegie. Cosa che da ragazzi abbiamo fatto quasi tutti, e dirò che le ciliegie oggetto della maroda avevano una sapore migliore, forse perché il comportamento era da malandrini. Oggi malandrini ha perso la carica negativa dei secoli passati di delinquente, e viene usata per indicare un monello. Malandrino è un lemma composto da malo e landrino, affine a landra prostituta, derivato dal tedesco medio landern vagabondare. Quindi, propriamente, vagabondo cattivo. Come già detto prima, nonostante il grave significato originario, che si rifà allo stagionato immaginario del vagabondo mascalzone, è difficile usare questa parola seriamente: il malandrino non può più essere un pericoloso delinquente, un brigante senza scrupoli, un pendaglio da forca. Il malandrino oggi è piuttosto il birbaccione che una ne fa e cento ne pensa, o il monello impertinente, o la simpatica canaglia; certo non tiene le più irreprensibili delle condotte, ma diciamo che la sua vivacità e il suo ardore gli valgono una facile indulgenza e una strizzata d’occhio. Si tratta di una parola di grande valore proprio perché il suo semplice impiego determina il tono scherzoso del discorso, come non scordare la mitica Mappa del Malandrino di Harry Potter che in inglese viene usato il vocabolo marauder, sempre li da dove inizia la maroda.
Favria 19.05.2015 Giorgio Cortese

Nella vita non importa quanto un uomo possa fare, non importa quanto coinvolgente la sua personalità possa essere, egli non farà molta strada nella vita se non sarà in grado di lavorare con gli altri

Tarquinio Merula il coltro dell’estetica barocca
Il coltro o coltello è uno degli organi lavoranti dell’aratro, non sempre presente, responsabile del taglio verticale della fetta di terreno nel lavoro dell’aratura e la strada per il Paradiso è lastricata di splendide musiche come quelle di Tarquinio Merula che ha composto delle pagine che rientrano a pieno diritto all’interno del repertorio sacro, la suggestiva Canzonetta spirituale sopra alla Nanna, in cui l’autore ritrae la Vergine mentre contempla le membra del piccolo Gesù e profetizza l’orribile strazio che le tormenterà durante la Passione. Qui si cela chiave dell’estetica barocca nell’incantesimo dei sensi. Gli stimoli sensoriali ci legano alla realtà, ma, se messi in moto dalla rappresentazione della retorica, possono sollevare nell’animo vertiginosi turbini emotivi o sospingere la ragione verso le sue riflessioni più ardite. Questa è la magia dell’essenza del Barocco di mettere in campo nelle arti del discorso e della narrazione ma anche in quelle figurative. In questo modo il mistero divino non era più raggiungibile con un passaggio al limite estremo della logica o della speculazione intellettuale, ma nell’immagine che appare improvviso agli occhi della mente. Attraverso questi sentieri la musica devozionale trovava la sua forza espressiva, puntando ad indurre nell’ascoltatore la sensazione del contatto tra l’umano e il divino, anche a rischio di oltrepassare il breve spazio tra “sensoriale” e “sensuale” e di attraversare di un balzo i pochi passi che separavano il presbiterio dal palcoscenico
Favria 20.05.2015 Giorgio Cortese

Certe volte forse è meglio che rimanga in silenzio ed essere considerato imbecille, piuttosto che aprire bocca e togliere ogni dubbio

Da conciliabolo a conciliarsi
La parola conciliabolo deriva dal latino conciliabŭlum, luogo di adunanza, riunione, da questa parola deriva il verbo conciliare nel senso proprio di riunire insieme. Nell’Italia d’età romana, era denominato conciliabolo il piccolo villaggio dove avvenivano di tempo in tempo riunioni per feste religiose o mercati e anche il luogo dove si ascoltava la lettura delle leggi del popolo romano e gli ordini dei magistrati. Ma con il tempo questa parola ha preso un significato negativo di adunanza furtiva e appartata per fini illeciti o misteriosi, insomma una riunione di cospiratori. Tale connotazione negativa della parola deriva da un Concilio ecclesiastico irregolare convocato a Pisa nel 1511, su suggerimento di Luigi XII re di Francia, in opposizione a Giulio II. Luigi XXII aveva suggerito il Concilio per intimidire il Papa Giulio II con la minaccia di uno scisma, in quanto alleato del duca di Ferrara Alfonso I d’Este, entrato in contrasto con il Papa per aver abbandonato la lega di Cambrai. Il re di Francia, Luigi XII fu colpito, allora, dall’interdetto lanciato da Giulio II. Una doverosa precisazione sul termine interdetto, dal latino interdicere, ordinare, vietare, decreto di proibizione, che se viene usato, usato in ambito religioso è una punizione ecclesiastica, pena canonica, che ha l’effetto di impedire l’accesso a tutte o a gran parte delle sacre funzioni della Chiesa in un luogo particolare. Nel passato poteva riguardare anche un intero territorio, una città, un villaggio o una chiesa e non va confuso. Non va confuso con l’interdetto giudiziale del diritto. Ritornando al discorso precedentemente interrotto, il Papa Giulio II reagì al conciliabolo di Pisa scomunicando i cardinali ribelli e convocando il Concilio Lateranense V, poi riconosciuto anche da Luigi XII, che dichiarò scismatico il conciliabolo pisano. Da qui arriviamo al lemma conciliarsi, mettersi d’accordo, rappacificarsi. Come si vede dalla stessa parola si ottengono dei significati diversi che posso essere di rottura con il nostro prossimo o di andare d’accordo . In genere basta poco tempo per arrivare a litigare e ci vuole molto tempo per riuscire a riappacificarsi, per questo conviene non litigare o conviene non riappacificarsi. Ma per riappacificarsi con gli altri bisogna innanzitutto riappacificarsi con se stessi.
Favria 21.05.2015 Giorgio Cortese

La vita mi insegna ogni giorno che i ricordi non svaniscono mai. Mi insegna che più dai meno ricevo, che ignorare le cose non cambiano i fatti, che le parole a volte pungono l’animo più di una lama, che la terra incolta non sempre può essere coltivata, che nel tempo tutto torna e che il bene fatto torna sempre indietro, insomma nella vita non finisco mai d ‘imparare.

Se la Primavera…..
Se la Primavera è la prima stagione dell’anno, se il lunedì è il primo giorno della settimana, se l’infanzia-adolescenza-giovinezza sono la prima parte della vita, qual è il momento iniziale e sognante che, rinnovandosi sempre, mi apre ogni giorno al mondo ed alla vita? Bè avrete certamente capito che parlo del primo mattino, l’Alba, quel l momento affascinante in cui le ombre della notte lentamente si diradano ed avanza un chiarore che illumina pian piano, e sempre di più, ogni cosa. Ritengo che sia meraviglioso svegliarsi la mattina e fare pensieri positivi. E se i brutti pensieri sopraggiungono durante la giornata, mi tengo sempre una riserva di ottimismo. Al mattino ci sono momenti in cui la vita regala attimi di bellezza inattesa, mi sembra che intorno a me tutto è perfetto. Al mattino, il sole sbarazzino con le mani intrise di luce s’addentra silenzioso tra le fessure di una tapparella e mi accarezza augurandomi una nuova giornata. Davanti ad uno specchio mi osservo con i capelli scompigliati con gli occhi vaganti interrogandomi tra i meandri dei ricordi, mentre s’intrecciano raggi di luce del nuovo giorno. Nessun giorno è uguale all’altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, tutto si rinnova e tutto diventa nuovo.
Favria 22.05.2015 Giorgio Cortese
Tutti le persone che incontro sanno dare consigli e conforto al dolore che non provano.