Grazie di cuore, Vi sono Riconoscente! – Dalla Brigata Savoia alla maglia granata del Toro! – Natale in Piemonte – A ven Gilind, la divota cumedia. – Chìfer, chiffero! – FIDAS AUGURI! – Liberi! – I Mirmidoni! – E’ Natale!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Grazie di cuore, Vi sono Riconoscente!
Questa mattina nella mia passeggiata domenicale, ho osservato una grande pozza d’acqua dove le gocce cadevano fitte, fitte, formando ognuna di loro dei piccoli cerchi che poi si perdevano con gli altri. Ecco ho pensato che nel grande fiume che scorre che noi chiamiamo vita, siamo tutti delle piccole gocce d’acqua e ognuno di noi lascia un piccolo segno che poi viene assorbito dal ritmo della vita. Ma se ognuno di noi cerca di essere una goccia di acqua pulita e tutte assieme possiamo cambiare il mondo. Grazie volontari della Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine e Forze Armate, Voi siete gli angeli dei nostri tempi, Vi interessate agli altri prima di interessarVi a Voi stessi. Grazie con grande riconoscenza.
Favria, 02.12.2019 Giorgio Cortese

Se anche oggi accenderò la luce nel mio cuore, potrò già dire che anche adesso è Natale.

Dalla Brigata Savoia alla maglia granata del Toro!
Il Reggimento “Savoia Cavalleria” è uno dei più antichi e gloriosi della cavalleria dell’Esercito Italiano ed attualmente è inquadrato nella Brigata paracadutisti “Folgore”. Le sue origini risalgono alla fine del Seicento, quando avviene la trasformazione delle Gens d’Armes, formazioni di cavalleria pesante legate da rapporti feduali, milizie private dal feudatario. Nel 1692 viene discolta la Brigata di Gens d’Armes del Piemonte vennero costituiti due diversi Reggimenti, uno dei quali venne in un primo momento denominato Mombrison e poi None, dal nome dei comandanti. Nel medesimo anno assunse la denominazione di “Savoia Cavalleria”, dalla regione dove venivano reclutati i cavalieri. Durante l’assedio di Torino da parte degli ispano-francesi, durato ben cinque mesi, maggio – settembre 1706. Durante la battaglia la battaglia per liberare Torino un portaordini di Savoia Cavalleria, incaricato di recare informazioni sull’esito vittorioso dello scontro, pur gravemente ferito alla gola da un drappello avversario, riuscì a raggiungere Vittorio Amedeo dandogli la notizia prima di spirare. L’esclamazione del duca “Savoye, bonnes nouvelles” divenne da allora il nuovo motto del reggimento, così come si vuole che il filetto rosso che borda il bavero nero dello stesso reggimento, o per talune epoche, come l’attuale cravatta rossa, non sia altro che il simbolo del sangue che ha arrossato il colletto dell’ignoto portaordine. Perché questa storia con la maglia del Toro? Al giorno d’oggi tutti, tifosi e non, sono abituati ad associare al Torino la maglia granata. Alla sua nascita il 3 dicembre 1906 la prima divisa di gioco del Torino fu una casacca a righe verticali arancio e nere che si rifaceva a quelle in precedenza usate dalle due società considerate “progenitrici” storiche del neonato club, il Torinese e l’Internazionale Torino con presidente onorario del club Amedeo d’Aosta Duca degli Abruzzi. Con il passare del tempo, però, le strisce arancioni cominciarono a scolorirsi diventando, di fatto, gialle, tonalità poco amata dal duca, perché l’abbinamento con il nero gli ricordava i colori tipici degli imperatori Asburgo. Per questo motivo, l’aristocratico piemontese chiese che fosse cambiata la colorazione della squadra. Dopo numerose proposte, finalmente fu avanzata l’ipotesi di adottare il colore granata, e quest’idea fu subito accettata, perché si trattava di un colore legato sia a Casa Savoia che alla città di Torino. Infatti i soldati della gloriosa brigata Savoia indossavano proprio dei fazzoletti granata per ricordare il sacrificio del loro portaordini. E così anche il duca degli Abruzzi fu entusiasta di questa tonalità che, da quel momento, sarebbe diventata il colore sociale della squadra. Da allora, infatti, il Toro cominciò a giocare le partite casalinghe con maglia granata, pantaloncini bianchi e calzettoni granata, divisa che ancora indossa Una squadra che ha sempre appassionato i sostenitori o semplici sportivi per carattere e spirito combattivo!
Favria, 3.12.2019 Giorgio Cortese

Ogni anno il profumo del Natale è un’avvolgente essenza d’amore.

Natale in Piemonte
In Piemonte, nell’antichità, il solstizio d’inverno era festeggiato del Sole e di Mitra. Dio adorato che derivava dalle Legioni Romane arrivate fino qui. Giulio Cesare lo ricorda nel “De bello gallico”. Dopo l’avvento del cristianesimo ci sono ancora tracce di queste adorazioni, ad esempio in Valle D’Aosta e le Valli Occitane dove si continuava ad addobbare gli alberi come dalle tradizioni celtiche. Nel Canavese nel giorno del solistizio si avevano le predizioni per il futuro con la chiara d’uovo o con una mela e pare che si consumasse una ricotta dolce detta Seiràs, dal latino seracium, fatto col siero, ottenuta con latte vaccino talora arricchito con latte di pecora e capra. Dopo la messa di mezzanotte, invece, andava forte il Vin Brulè, vino rosso molto corposo, scaldato insieme a spezie e scorze di agrumi: Corroborante! Altra antica tradizione era di andare in chiesa a mezzanotte lasciando la finestra aperta, così se la Sacra Famiglia passava di lì poteva entrare a riposarsi. Al ritorno, la famiglia disponeva i doni. Il bambino più piccolo aggiungeva al Presepio la statuina di Gesù Bambino. Le statuine erano rigorosamente aggiunte al Presepe poco alla volta: prima pastori e artigiani, nei giorni successivi Maria e Giuseppe, a Natale il Bambino, il 6 gennaio i Magi. E nei 12 giorni che vanno dal 26 dicembre al 6 gennaio, si potevano avere le previsioni del tempo per tutto l’anno senza il meteo su internet, il 26 era gennaio, il 27 febbraio e così via. Nel Biellese si conservava l’olio dei lumi della messa di Natale. Serviva in caso di calamità. L’uomo più vecchio della famiglia a Natale, in provincia di Cuneo, accendeva una candela. Se la fiamma si piegava, il raccolto sarebbe stato abbondante. Altrimenti… altro anno magro! Ci sono molte canzoni natalizie, chiamate Nouvet, che tramandano alla tradizione natalizia della provincia di Cuneo e della provincia di Torino. Ma ci sono anche molti canti natalizi, che precedevano la messa di mezzanotte, che hanno affinità con i carols inglesi e con i weihnachtslieder tedeschi oppure con le colinde romene.
Favria, 4.12.2019 Giorgio Cortese

Resterà nel tempo la magia del Natale se ogni tuo giorno sarà un dono d’amore nella vita di coloro che ami.

A ven Gilind, la divota cumedia.
Ovvero l’Avvento del Natale nella tradizione piemontese.
Vi voglio narrare la storia del contadino che dal Piemonte giunse alla capanna di Betlemme. Dovete sapere che in Piemonte con in tutta la penisola, nei giorni che precedevano il Natale, erano molte le rappresentazioni sacre aventi ad oggetto il Presepe e la Natività. In Piemonte il personaggio che, per antonomasia, era associato all’avvento del Natale, tanto da essere l’ispirazione per diversi modi di dire era il pastore Gelindo. Una volta già dall’inizio del mese di dicembre, quando ci si riferiva al Natale, in Piemonte si affermava sorridendo !”: il pastore la cui storia stiamo per raccontare era il protagonista di una sceneggiatura rappresentata su tutto il territorio, dalle montagne alla pianura: la divota cumedia. D’altra parte, questa notorietà derivava dal fatto che Gelindo, secondo la tradizione, sarebbe stato il primo uomo ad arrivare alla grotta della Natività. Mica male: un piemontese aveva avuto la fortuna di essere in prima fila alla nascita del Bambinello. La rappresentazione si svolgeva un po’ ovunque, ovviamente in dialetto: nei teatri, certo, ma anche nelle parrocchie e persino nelle stalle. Si trattava di una commedia semi-drammatica, dalle origini riconducibili al Monferrato del XVII secolo, e che vantava addirittura diverse versioni a seconda della zona in cui veniva messa in scena e allora Favria faceva parte del Monferrato. Gelindo è un pastore bonaccione, poco istruito ma profondamente buono, che deve partire per il censimento che viene descritto nella Bibbia. La sua partenza è però continuamente ritardata da situazioni più o meno comiche: tra una dimenticanza e l’altra, dopo mille raccomandazioni alla moglie, finalmente riesce a lasciare il suo villaggio e a giungere, quasi per magia, a Betlemme. Lì incontra Giuseppe e Maria, e li aiuta a trovare un alloggio per la notte. Dopo diverse peripezie, nella più tradizionale commistione tra sacro e profano, Gelindo vedrà la cometa e capirà che la partoriente non era una ragazza qualsiasi. Si precipiterà così nuovamente alla grotta, per essere il primo a visitare il Bambino. Gelindo viene solitamente raffigurato come una persona anzianotta, con un agnello in spalla, calzoni corti, giacca, zampogna e cesto al braccio: per intenderci, il pastore che, nei presepi viventi, è il primo fuori dalla grotta a rendere omaggio alla Sacra Famiglia. Gelindo è divenuta talmente famoso nella tradizione piemontese da generare addirittura dei veri e propri modi di dire. Il termine “Gelindo” si usa per definire una persona semplice ma di buon senso; “Gelindo ritorna” significa “Di nuovo!”, perché il pastore piemontese dimentica sempre qualcosa, entrando e uscendo continuamente di scena; “A ven Gilind”, come detto nel titolo, sta ovviamente per “Arriva il Natale”; ancora, la “Pastorale di Gelindo” il pastore piemontese con l’agnello sulle spalle con al suo fianco la moglie Alinda, la figlia Aurelia, il cognato Medoro e i garzoni Tirsi e Maffeo. Ecco il pastore Gelindo evoca immagini di un Piemonte antico: un immenso presepe innevato, nel quale in inverno, a passi lenti nella neve, si muovevano figure semplici ma buone, legate alla propria terra e alle proprie tradizioni. Persone che erano capaci di lasciare i luoghi sicuri, le proprie stalle, le cucine riscaldate dalle candele, per seguire sogni e ambizioni dai sapori magici, senza mai dimenticarsi delle proprie origini. Proprio come Gelindo, il pastore piemontese.
Favria, 5.12.2019 Giorgio Cortese

Ogni Natale possiede nel suo spirito quegli effluvi fatti di auguri del cuore, lasciamoci abbracciare dal suo calore condividendo i suoi profumi! Buon Natale.

Chìfer, chiffero!
In piemontese il chifer era un tipo di pane bianco dolce, una specie di brioche, un croissant, ma con poco burro, un cornetto cotto al forno. La voce deriva dal tedesco kipfer, che significa punta, il suo antenato era il pane a punta inventato dai viennesi nel 1689 per celebrare la vittoria contro i Turchi. Venne poi chiamato dai francesi croissant, letteralmente crescente. Il croissant, e segnalato in Italia sino dal 1839. Si trova in vari dialetti, in genovese e milanese chiffel, in bergamasco chifer, in mantovano chifar, in parmigiano chiffer. La cosa fondamentale del chifero, era lo zucchero glassato sopra. Non era una glassa uniforme di zucchero solidificato, ma piuttosto una colatura, una sbavatura dolcissima. Non era ripieno il chifero, era rigorosamente vuoto.
Favria, 6.12.2019 Giorgio Cortese

Non ci sono parole adatte per augurarti Buon Natale, poiché il mio augurio è quel sentimento di vera amicizia che ti abbraccia e ti inonda di ogni sorta di magia, affinché ti porti tanta gioia e serenità nel cuore! Tanti Auguri!

FIDAS AUGURI!
Caro donatore/donatrice, il Direttivo Fidas di Favria Ti aspetta Sabato 14 dicembre 2019 dalle ore 15,00 alle ore 19,00 presso la nostra sede per il tradizionale scambio di Auguri Natalizi con il consueto panettone, per un bel momento di condivisione. Ti sarà inoltre consegnato il calendario prelievi 2020. “A Natale si accende una nuova luce piena di speranza, che mi auguro possa illuminare sempre i Tuoi passi. Perché il S. Natale non è tanto aprire i regali, quanto aprire i nostri cuori. Grazie di cuore per le Tue donazioni!.”Precisiamo che hanno diritto al panettone tutti i donatori che hanno effettuato almeno una donazione nell’anno 2019 e le medaglie Oro e le onorificenze Re Rebaudengo.
Favria, 7.12.2019 Giorgio Cortese

Liberi!
Una mattina d’inverno al margine delle ultime case del piccolo paese al limitare di un grande bosco un cane con il vestitino di stoffa incontrò una pecora che brucava la poca erba rimasta. La pecora chiese al cane del perché del vestito e lui disse che piaceva alla sua padrona, se piaceva alla sua padrona piaceva anche a lui. Il cane chiese perché lasciava il suo latte al padrone e lei disse che se piaceva a lui, andava bene così. La pecoa chiese al cane se era felice di riportare la pallina al suo padrone e che proprio non lo invidiava. Lei disse che non faceva queste idiozie, ma il cane gli ricordò che lei non vedeva mai crescere i suoi figli perché il padrone le uccideva per mangiarli, e gli chiese se era felice. Il cane gli chiese se non aveva mai pensato di scappare, perché lui un pensierino lo stava facendo. La pecora gli chiese se sarebbero stati in grado di sopravvivere senza i padroni, aveva paura dei lupi. Il cane gli disse che l’avrebbe difesa lui e, allora scapparono nel bosco e vissero liberi e felici.
Favria 8.12.2019 Giorgio Cortese

Auguro un Santo Natale soprattutto al tuo cuore per poi espandersi nel tuo animo, affinché sia luce benedetta da condividere con chi vuoi bene! Buon Natale!

I Mirmidoni!
Se leggete l’Iliade trovate i Mirmidoni un antico popolo della Tessaglia Ftiotide del quale era re Achille. Ma la loro storia iniziaq molto tempo prima da Egina figlia di Asopo, dio fluviale, e di Metope, figlia del fiume Ladone. Secondo il mito Asopo ebbe da Metope due figli e dodici o venti figlie. Alcune di esse furono rapite e violentate in varie occasioni da Zeus, Poseidone e Apollo, e quando Zeus per la sua bellezza la rapi Egina nata e cresciuta a Philos, trasformandosi in aquila. Asopo la cerco e si spinse fino a Corinto. Giunto a Corinto, Sisifo sapeva benissimo che cosa fosse accaduto a Egina, ma non volle dire nulla finché Asopo non promise di far scaturire nella cittadella di Corinto una fonte d’acqua perenne. Asopo fece zampillare la fonte Pirene dietro il tempio di Afrodite, e Sisifo gli narrò l’accaduto. Asopo seppe così che il colpevole era, ancora una volta, Zeus, e lo trovò infatti che abbracciava Egina in un bosco. Zeus, che era disarmato, fuggì ignominiosamente tra i cespugli e si trasformò in roccia finché Asopo si fu allontanato, poi risalì all’Olimpo, donde scagliò le sue folgori contro il dio del fiume. Asopo si muove tuttora a fatica per via delle ferite ricevute e sul suo letto si trovano a volte dei carboni. Più tardi, anche Sisifo ricevette la sua punizione, fu costretto a sospingere un masso su per un’erta collina, e appena giunto alla sommità, il masso rotolava verso valle costringendolo a ricominciare senza tregua il suo lavoro. Liberatosi così di Asopo, Zeus portò Egina nell’isola di Enone, che da lei si chiamò poi Egina, dove si giacque con lei in forma di aquila o di fiamma. Da quest’unione nacque Eaco. Era, Giunone, la moglie di Zeus per gelosia devastò l’isola inviando un serpente che avvelenava l’acqua e che così moriva chiunque la beveva, e ordinò ai venti meridionali di soffiare senza tregua. Tutti i raccolti furono persi, ne seguì una grave carestia. Il caldo torrido obbligò gli abitanti a bere dalle acque dei fiumi ed uno dopo l’altro morirono. Eaco si rivolse al padre e Zeus fece cadere su Egina una pioggia rinfrescante, che bloccò i venti e rinnovo le acque superficiali. Eaco il figlio di Egina chiese a Zeus anche nuovi uomini per la difesa e che per questo che le formiche furono trasformate in uomini, le formiche in lingua greca Myrminki, per questo gli abitanti furono chiamati Mirmidoni. In seguito Eaco divise i suoi possedimenti tra i suoi sudditi e l’isola ritrovò la pace. Eaco sposò Endeide, figlia di Scirone e di Carìclo, da cui ebbe tre figli: Telamone, Peleo e Foco. Peleo fu il padre di Achille, accompagnato alla guerra di Troia da un esercito di mirmidoni. Eaco ebbe un ulteriore figlio dall’unione con la ninfa Psamate, una delle figlie di Nereo, che per sfuggirgli si trasformò in foca, ma lui si unì lo stesso a lei e nacque un figlio chiamato Foco. In seguito Telamone, geloso del fratellastro Foco, lo uccise e lo seppellì con l’aiuto del fratello Peleo. Quando Eaco scoprì il fatto, cacciò entrambi i figli dall’isola. Pindaro indica in Eaco il costruttore delle mura di Troia, con l’aiuto di Apollo e Poseidone Eaco era considerato un uomo profondamente giusto e per questo era chiamato spesso a fare da arbitro nelle contese. Dopo la sua morte Zeus lo nominò giudice negli Inferi. Platone cita come giudici dell’Ade Minosse, Radamante, Eaco e Trittolemo.
Favria, 9.12.2019 Giorgio Cortese

Scartate cuori e sentimenti sotto l’albero di Natale prima dei regali, saranno i migliori auguri d’affetto per chi li riceverà tra i sorrisi e gli abbracci del cuore! Buon Natale!

E’ Natale!
Anche al di là della fede, il Natale fa parte della nostra cultura. Ci tocca tutti e fa riemergere i ricordi d’infanzia. Personalmente, questa festa porta con sé le immagini dei momenti più dolci con la mia famiglia. Quanta magia quando si è bambini! La notte della Vigilia era forse ancor più bella del Natale stesso, quando mi mettevo sotto le coperte con un’agitazione immensa. Mia madre aspettava che mi addormentassi per iniziare a sistemare al fondo del letto i regali che trovavo poi al mio risveglio. La mattina mi svegliavo prestissimo e iniziavo ad aprire i regali di Natale, deluso dai libri e felice se c’erano dei giocattoli. Ecco che poi arrivava la giornata del Natale! Il pranzo di Natale era sempre celebrato con gioia. Per onorare un pranzo di Natale in Piemonte non possono mancare una serie di antipasti come l’insalata russa, le acciughe al verde, il vitello tonnato e i peperoni con la bagna cauda… poi un sontuoso primo e un importante secondo. Troverete 2 ricette con le acciughe perché prodotto tipico del Piemonte, anche se non c’è il mare. Le acciughe in Piemonte sono sempre arrivate dalla Liguria, sotto sale, in passato uno dei sistemi più usati per conservare gli alimenti. Un metodo nato, secondo quanto narra la leggenda, quando un contrabbandiere, secoli fa, ebbe l’idea di nascondere del sale sotto le acciughe. Dopo tante parole, passiamo al menù ed iniziamo con l’insalata russa. La mia nonna la preparava sempre ed era uno degli antipasti del pranzo domenicale che riuniva la mia famiglia che a Natale non se la faceva di certo mancare. Si può preparare il giorno prima. Le dosi sono per 8 persone. Lavate e sbucciate 200 grammi di carote e 500 grammi di patate. Tagliatele a dadini, grandi come un pisello. Bollite separatamente le patate per 8 minuti circa, le carote per 6 minuti circa, e 300 grammi di piselli surgelati per 10 minuti circa in abbondante acqua un poco salata. Occhio alla cottura che deve lasciare le verdure croccanti! A cottura terminata, scolate le verdure in uno scolapasta per far sì che perdano tutta l’acqua di cottura. Salatele se necessario, pepate e fate raffreddare. Fatto ciò riponete le verdure in una terrina, conditele con un filo d’olio extravergine e sminuzzatevi 2 lattine di tonno, sgocciolato dal proprio olio, e amalgamate il tutto con 300 grammi di maionese. Se desiderate potete far sode un paio di uova e utilizzarle per decorare il piatto con l’aggiunta di qualche oliva nera. Mettete l’insalata russa in frigorifero e toglietela un’oretta prima di servirla. Adesso passiamo alle acciughe al verde ed anche quest’antipasto è opportuno prepararlo il giorno della Vigilia. Per iniziare, eliminate ogni residuo di lisca da 200 grammi di acciughe sotto sale, lavate bene le acciughe in acqua e aceto e asciugatele su carta assorbente. Intanto preparate il “bagnet” togliendo l’anima all’aglio e poi tritarlo finemente con un mazzo lavato di prezzemolo. Uniamo al tutto della mollica di pane imbevuta di aceto, una spolverata di peperoncino o un peperoncino piccolo, io amo il piccante ma chi non ama il piccante, può tranquillamente saltare questo passaggio e, e circa un bicchiere d’olio extravergine. A questo punto disponiamo le acciughe in una terrina da portata e versiamoci sopra il “bagnet”. Per il Vitello tonnato si acquista già dell’ottimo girello di vitello già cotto per velocizzare e poi affettarne finemente circa 1 Kg. Le dosi sono per otto persone e poi mettete la salsa preparata in una ciotola con del tonno sbriciolato, 2 lattine da 80 grammi, 6 uova sode tritate, una ventina di capperi lavati, una decina di acciughe sott’olio e poi diluite il tutto con un po’ d’olio d’oliva, una decina di cucchiai, e con il frullatore a immersione per amalgamate bene il tutto. Poi disponete la carne su un piatto da portata e sistemate sopra la salsa, guarnendo infine con qualche cappero. Si può preparare la salsa il giorno prima e comporre il piatto la mattina di Natale. Ed eccoci alla “bagna cauda” che sarebbe da preparare il giorno stesso in cui si consuma ma i peperoni si possono far arrostire il giorno prima. Sempre dosi per 8 persone. Iniziate lavando accuratamente 4 peperoni, se riesco 2 rossi e 2 gialli, le disponete sul piatto del forno e poi li fate arrostire in forno già caldo a 200° girandoli a metà cottura per circa 50 minuti. Una volta raffreddati li sbucciate e li tagliate a listarelle larghe. Poi preparate la bagna in questo modo: sbucciate 4 spicchi di aglio, tagliate a metà e li private dell’anima. Trasferite tutto l’aglio in una terrina, lo ricoprite con il latte e lasciate riposare per almeno un paio d’ore. Scolate gli spicchi d’aglio e poi lo tritate molto molto finemente. Fate sciogliere 80 grammi di burro in un pentolino, a fuoco basso, con mezzo bicchiere d’olio extravergine. Unite poi l’aglio tritato e, quando l’aglio comincerà a disfarsi, mezzo bicchiere di latte a temperatura ambiente. Aggiungete anche 200 grammi di acciughe lavate. Fate sobbollire a fuoco bassissimo per venti minuti, intanto le acciughe si saranno sciolte, mescolando con un cucchiaio di legno fino a ottenere una salsa abbastanza densa. Versate la salsa calda sui peperoni e servite subito. Eccoci al primo piatto con agnolotti alla piemontese, i ravioli del Plin con dosi per 8 persone, non abbondantissime. Per la pasta dei plin: 500 g farina di frumento. 5 uova intere, olio extravergine di oliva, sale. Per il ripieno dei plin: 300 gr arrosto di vitello, 300 gr arrosto di maiale, coscia. 200 gr carne di coniglio, 300 gr di spinaci, 3 uova intere, 200 gr di parmigiano reggiano, 1 carota, 1 costa di sedano, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, 1 bicchiere di vino bianco secco, brodo, olio extravergine di oliva, burro, rosmarino sale, pepe. Iniziamo con la preparazione facendo rosolare sedano, carote e cipolle, aglio e rosmarino poi aggiungere le carni tagliate a pezzi piccoli e poi salare e pepare. Bagnare con il vino bianco e lasciare evaporare. Cuocere le carni coprendo con un coperchio aggiungendo se serve del brodo. Una volta cotte, dopo circa un’ora, e raffreddate, tritatele finemente e aggiungete gli spinaci lessati e strizzati e e il parmigiano. Amalgamare bene con le uova, aggiustare di sale e pepe e mettere da parte. Disponete la farina a fontana, al centro sgusciate le uova, versatevi l’acqua, aggiungete un pizzico di sale e impastate fino a ottenere una massa elastica. Tirate la pasta a sfoglia sottile, fate delle striscioline e posizionate il ripieno a palline della dimensione di una nocciola. Ripiegare la pasta a coprire il ripieno, rifilarla con la rotella tagliapasta e sigillare gli spazi tra i ripieni dei plin con il classico “pizzicotto”. Cuocere in abbondante acqua salata per 3 o 4 minuti e servire con burro sciolto con abbondante salvia sminuzzata. Passiamo al Brasato al Barolo con dosi da 8 persone. Fate marinare per 12 ore in una bottiglia di Barolo 1 Kg abbondante di carne di manzo, collo o costa, unendo una cipolla, una carota, una gamba di sedano, qualche foglia di alloro, pepe, cannella e chiodi di garofano. Trascorso il tempo, scolatela, salvando la marinata, e infarinatela. Poi rosolatela in olio e burro, salatela, pepatela e girate bene la carne in modo da sigillarla nella sua crosta di farina. Coprite con la marinata e cuocete per circa 2 ore e mezza. Quando è cotto, togliete la carne dal sughetto e frullate la verdura. Se il sugo è troppo liquido si possono aggiungere 2 cucchiai di farina e far sbollire un po’. Tagliare finemente la carne è farla insaporire ulteriormente nel suo sughetto. Servire con contorno di cipolline in agrodolce e purea di patate. Le cipolline in agrodolce si preparano facendo sciogliere del burro, 30 grammi, in una casseruola, dopo unirvi 3 cucchiai di zucchero e dopo un attimo un’abbondante spruzzata di aceto balsamico. Aspettare un minuto e poi aggiungere circa 500 grammi di cipolline sbucciate e lavate. Coprite e fate cuocere per circa mezz’ora a fuoco basso, aggiungendo alla cottura acqua calda. Potete anche prepararle il giorno prima ma poi dovrete servirle calde. Invece per la purea fate bollire per 40 minuti, 2 patate a testa, meglio se con la buccia. Togliete la pelle e passatele allo schiacciapatate in una pentola. Aggiungete latte tiepido a piacere, a seconda di quanto liquida o densa la vogliamo. Io ne metterei circa 500 ml. Aggiungete del burro – la quantità dipende da quante patate abbiamo messo ma comunque per 8 ne servono circa 50 grammi – sale e noce moscata grattugiata. Mescolare sul fuoco continuamente, finché non bolle e servire calda. Questo contorno si può preparare qualche ora prima. Ho dei ricordi da bambino con lo Zabaione che era una di quelle ricette tipiche di Natale. Dopo il succulento pranzo natalizio e dopo aver chiacchierato ecco arrivare lo zabaione e dal presepio vicino si levava un applauso per la tenacia nel mangiare con gusto e felicità. Dosi per 8 persone. Prendete 16 tuorli di uova freschissime e metteteli in una ciotola d’acciaio con 160 grammi di zucchero. Sbattete con uno sbattitore elettrico fino a che non si forma una crema spumosa e liscia. Unite 200 ml di moscato dolce sempre sbattendo e quando si saranno ben amalgamati immergete la ciotola a “bagnomaria” in un’altra pentola più grande, riempita per quasi metà di acqua caldissima. Accendete il fuoco e tenetelo basso, l’acqua non deve mai bollire. Mescolate con una frusta da cucina per 10/15 minuti, finché la crema non si sarà addensata e gonfiata. Servitelo caldo. Accompagnato a una torta di nocciole o al classico pandoro, è veramente squisito. Sperando che queste ricette e racconti vi trasmettano un po’ del mio entusiasmo per il Natale, vi auguro di trascorrere le feste nel miglior modo possibile! E allora “Prosit” che è una parola latina che significa: sia utile, faccia bene, giovi, o anche sia a favore. Cin, Cin!
Ringrazio tutte le persone che mi hanno fornito queste ricette. Grazie e Buon Natale!
Favria, 10.12.2019 Giorgio Cortese

Lasciate che la magia del Natale pervada le vostre anime con una dolce melodia e che tutti i vostri desideri si trasformino in realtà il prima possibile. Auguri di Buone Feste.
giorgioNatale