Grazie Alpini! – Elogio dell’Autunno – Illich e la decrescita felice. – Il sottile male oscuro del fuoco fatuo! – Chi ha inventato l’ora legale! – Imprimatur – Ossessionati dal misurarci…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Grazie Alpini!
Gli Alpini del Nord-Ovest si sono ritrovati domenica 6 ottobre a Savona e lungo le vie di Savona, insomma un tripudio di penne nere nella città ligure con gli alpini delle 25 sezioni della Val’Aosta, Piemonte, Liguria e Francia, oltre a familiari e accompagnatori. Purtroppo per motivi familiare non ho potuto partecipare all’Aduna dell’intersezionale alpina di Savona. Scrivo queste righe con grande amarezza per non aver potuto vivere delle sane ed intense emozioni di trovarmi anche io li con gli amici alpini e simpatizzanti del Gruppo di Favria. Ringrazio la tecnologia che ha permesso agli amici commilitoni di Favria e della IX zona della sezione di Torino, di avermi mandato video del sabato sera e foto dell’adunata. Questo mi fa riflettere che nella vita essere Alpino e sentirsi alpino la differenza è abissale o forse quasi inesistente! L’Alpino, questa figura mitica, è diversa per ognuno di noi, anche a seconda dello stato d’animo. Oggigiorno l’immaginario collettivo tende spesso a riconoscere l’alpino nella cartolina in bianco e nero, dove l’uomo e il suo fedele mulo si arrampicano su per la vetta, immagine affascinante che traccia la filosofia di vita degli Alpini basata sul dovere e sull’onore. Sono emozioni difficili da scrivere da casa, ma dalle foto e video mi vengono trasmesse tramite Giovanni, Martino e Sergio le emozioni della musica delle fanfare alpine il sabato sera, dei cori delle canzoni alpine e dell’Inno. Sono emozioni che che provocano una piacevole sensazione che corre lungo la schiena. Ma poi ci sono le emozioni di colori tra le penne nere delle varie sezioni intervenute e poi quella arancione delle squadre dell’antincendio boschivo e dei volontari di Protezione Civile. Vedere la foto di amici che portano lo striscione della IX zona della sezione di Torino mi fanno capire ancora una volta che il valore degli Alpini va al di là dell’essere una parte dell’esercito. Gli Alpini da sempre sono in mezzo alla gente, insieme a chi ha bisogno. Grazie Alpini per quello che avete fatto, quello che state facendo anche con questi raduni che ci fanno sentire parte di tutti gli Italiani apportando come valore aggiunto il nostro dna costituito da pazienza, sacrificio, lavoro, la generosità, altruismo e lo splendido legame degli alpini con il territorio, semplicemente Grazie!
Favria, 23.10.2019 Giorgio Cortese

La storia è simile al mito di Sisifo, ogni generazione ricomincia daccapo

Elogio dell’Autunno.
Ho avuto la fortuna di riascoltare a casa di amici dei brani tratti dall’Autunno di Vivaldi, dove viene descritta la figura di Bacco e l’allegra festa della vendemmia. Nel primo movimento il clima è festoso, Il contadino festeggia la fine della vendemmia e il buon raccolto. Tutti sono allegri dopo aver bevuto il vino, e molti si abbandonano al sonno. L’aria tiepida dell’Autunno invita al piacere e fa sì che dopo il divertimento il sonno sia gradevole. All’alba del giorno dopo escono i cacciatori a cavallo, con i fucili e i cani. Inseguono la preda che, già colpita, fugge, terrorizzata per gli spari e le ferite tenta una ultima fuga, ma muore sopraffatta. L’Autunno è per definizione una stagione triste e gli aggettivi e le espressioni usate per descrivere questo stato d’animo, caratterizzato dalla tristezza, sono infiniti, passiamo dal malinconico Autunno, l’Autunno della ragione, tristezze d’Autunno, foglie morte d’Autunno, tristi riti Autunnali, l’Autunno del nostro scontento, l’Autunno del cuore, l’Autunno della democrazia, l’Autunno del pensiero, l’Autunno della memoria, e l’Autunno dei morti. L’Autunno potrebbe essere opposto all’ottimismo della Primavera per il necessario equilibrio nel vivere tutte le stagioni dell’anno. Nel mondo anglosassone ci sono due termini per descrivere l’autunno, autumn e fall. Quest’ultimo porta con se il significato di cadere e l’associazione alla caduta delle foglie è immediata. Questa immagine della caduta dall’alto caratterizza la parola in maniera quanto mai romantica. Le foglie morte suscitano pensieri fatali. Rappresentano la malinconia finale di questa stagione che, se è da una parte è la stagione del pessimismo e del destino che tocca tutti in natura, dall’altra simboleggia anche la necessaria transizione verso la rinascita! Secondo il poeta John Keats sono quattro le stagioni degli esseri umani in un suo sonetto. Confrontando la vita umana allo scorrere del tempo nell’arco di un anno, egli dice che anche nella vita degli uomini ci sono quattro stadi, come le quattro stagioni. Il primo periodo è la vogliosa Primavera, la giovinezza è paragonata all’Estate. L’Autunno è l’epoca della maturità, mentre la vecchiaia è l’Inverno della vita. Benvenuto Autunno, che porti il freddo e le foglie secche dall’albero son volate via, ed il vento le trasporta con tanta malinconia. In Autunno il buio giunge presto, freddo e silenzioso e tutti sono in casa aspettando il giusto riposo. Benvenuto Autunno ormai la luce dell’Estate è spenta e nelle vie si accendono le insegne.
Favria, 24.10.2019 Giorgio Cortese

Ogni giorno al risveglio rifletto che la mia vita è incredibilmente buona quando è semplice e sorprendentemente semplice quando è buona.

Illich e la decrescita felice.
Ho recentemente letto il libro di Franco La Cecla: “Ivan Illich e l’arte di vivere” che mi ha fatto capire che oggi sono in molti a richiamarsi al pensiero di Ivan Illich, ma spesso lo fanno ignorando la sua complessità e il dubbio sistematico che caratterizzava la sua opera, perché è molto più semplice essere dei seguaci che dei critici attenti del suo pensiero. Cecla scrive non da discepolo ma da amico e come un antropologo e architetto che ancora oggi cerca di sviluppare e cambiare quando serve le tematiche proposte da Illich senza avere paura di criticare anche duramente il “maestro”, fedele alla sua lezione di critico intransigente con tutte le istituzioni e di pensatore che farà della coerenza dei suoi gesti uno stile di vita. Uno dei problemi principali è sicuramente quello della modernità, un problema legato alla sparizione dell’arte di vivere, di cui l’arte di soffrire era una parte integrante. Per questo nel testo viene affrontata una tematica centrale della sua vita: la medicina. In coerenza con le sue tesi il grande pensatore rifiutò di curare il cancro, perché il dolore, la sofferenza sono per lui una parte imprescindibile nell’esperienza dell’essere umano. Con la sua malattia voleva provare che la civiltà medica moderna ha trasformato il dolore da cimento personale in disfunzione meccanica. La capacità della cultura di rendere tollerabile il dolore integrandolo in una situazione carica di senso è venuta meno. La sofferenza non è più percepita come componente inevitabile del consapevole confronto con la realtà, bensì come problema tecnico da eliminare. La medicina per Illich è diventata una nuova pandemia, che egli definisce con il termine iatrogenesi, e si palesa in tre aspetti fondamentali: clinico, sociale, culturale. La iatrogenesi clinica è costituita dagli effetti collaterali della terapeutica per cui dolore, malattia e morte diventano il risultato delle cure mediche, non più una tappa del percorso di guarigione. La spersonalizzazione della terapia e l’uso della tecnologia in campo medico trasformano la mala pratica, purtroppo sempre più frequente, da problema etico in problema tecnico. Per questo affermerà instancabilmente che “La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute”. Altro grande tema è sicuramente la scuola. Ivan Illich si interroga per lunghi anni su cosa sia quella struttura creata intorno all’istruzione che prende il nome di scuola. Nelle sue conferenze avanzerà una critica radicale, ancora attuale sotto molti punti di vista, ai sistemi scolastici e alla società che li produce. Nella sua analisi la scuola, specie quella professionale, ricade infatti nell’ambito delle istituzioni manipolatorie e non conviviali, ovvero è una forma di manipolazione del mercato che ha come scopo la formazione di individui adatti ed utili alla produzione industriale. Per questo pensatore la scuola è l’agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com’è! La convivialità è il suo opposto. La Cecla ne sottolinea l’importanza raccontandoci non solo gli studi del pensatore ma la sua quotidianità, la sua vita passata in case collettive in giro per il mondo, la sua voglia di parlare con uomini e donne provenienti da paesi lontani. Ivan Illich intendeva per convivialità esattamente il contrario della produttività industriale. La crisi planetaria affonda le sue radici nel fallimento dell’impresa moderna: cioè la sostituzione della macchina all’uomo. Nel corso di anni di studio prova a individuare il limite critico all’interno della millenaria triade uomo, strumento e società, oltre il quale non è più possibile mantenere un equilibrio globale, l’uomo diventa schiavo della macchina e la società iper-industriale stravolge ogni scala e limite naturale. Passare dalla produttività alla convivialità significa sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore realizzato. Quando una società, qualunque essa sia, reprime la convivialità al di sotto di un certo livello, diventa preda della carenza e Illich nella sua vita ha cercato costantemente di creare convivialità per non arrendersi alla produttività della società industriale in cui viveva. La convivialità hai i suoi luoghi, e certamente l’abitare è uno dei più importanti. Non a caso questo argomento sarà centrale nella riflessione e nell’attività tanto di Ivan Illich che di Franco La Cecla, che per anni se ne occuperanno congiuntamente, da Berkeley a Rimini. Cuore di questa esperienza tra i due fu il convegno di movimenti ed esperienze di auto-costruzione che portò, in Italia e non solo, a un grande attacco radicale al sistema corporativo dell’architettura, perché rivendicavano il diritto degli abitanti a gestire e costruire il proprio spazio di vita. La Cecla aveva fondato in Italia il CABAU, il collettivo per l’abitare autogestito che organizzò questo importante convegno al quale Illich accettò di parlare e collaborare. Scelsero persino insieme il nome del convegno, che fu Il potere di abitare. Queste giornate di studi si tennero a Rimini e vi parteciparono tutti i gruppi e i movimenti di auto-costruttori che erano emersi dopo il terremoto del Friuli, e tanti altri architetti del calibro di Giancarlo De Carlo, John Turner e Renzo Piano. Il modo in cui tutti i presenti parlarono di abitare, di architettura, di spazio e il clima in cui si svolsero i lavori furono molto diversi da quelli accademici. I valori della convivialità furono dominanti: infatti La Cecla scrive che nell’insieme il convegno fu una vera festa, perché chi vi prese parte capì che, più che del solito meeting, si trattava di un aggregarsi di persone e movimenti che si identificavano in una visione molto gioiosa di un possibile futuro dei diritti delle comunità. Fu dopo questa occasione infatti che anche in Italia si cominciò a parlare di commons, di diritti comuni, di beni comuni, un tema che come ci viene ricordato nel testo affonda le sue radici nella storia italiana degli usi civici e delle terre comuni. Nel libro, tra vita privata dell’uomo e vita pubblica del pensatore, vengono poi affrontati altri temi decisivi anche per la società odierna: in particolare ci sono analisi impietose del sistema del lavoro, della coppia, e di tutte i legami e le merci, come automobili, televisione, media e computer, che per Ivan Illich rendono l’uomo dipendente e schiavo di sistemi totalizzanti. Franco La Cecla, con una scrittura leggera e coinvolgente che non perde mai di intensità, ci mostra dunque anche un Ivan Illich uomo, con le sue debolezze senza rinunciare a fare critiche e a mostrarci gli errori del “maestro”. Illich ha costruito un pensiero radicale che può essere compreso solo se lo si conosce nella sua interezza e lo si integra alla vicenda umana del pensatore. In questo ritratto La Cecla ne ricostruisce la figura umana, la passione e la forza di critico devastante, e il mondo di relazioni che Illich aveva creato e a volte disfatto: ne esce l’immagine di un intellettuale poliedrico e dubbioso, di uomo eretico a tutte le correnti. L’autore infine ci mette opportunamente in guardia dal pericolo che questo libero pensatore possa oggi essere riassorbito nell’ambito di un pensiero confessionale cristiano, che venga beatificato da una chiesa che ha tutto l’interesse a smussarne gli spigoli e ad assorbire il suo pensiero all’interno di un anti-modernismo cattolico che in questo momento è in piena ascesa. Quella che ci offre Franco La Cecla è una visione di Illich disincantata, capace di criticare e portare avanti la grande eredità umana e teorica dell’archeologo della modernità.
Favria 25.10.2019 Giorgio Cortese

La vita è bellissima e non vedo l’ora di assaporarne ogni minuto perché non so mai quanta ne avrò ancora.

Il sottile male oscuro del fuoco fatuo!
Cesare Pavese ha scritto che la morte è il riposo, ma il pensiero della morte è il disturbatore di ogni riposo. Ultimamente ho appreso di diversi suicidi, di giovani ed anziani, certo l’argomento non è allegro, ma il suicidio è un fenomeno complesso, in gran parte inspiegabile, mi viene da pensare nella mia limita testa che se la persona suicida tornasse fra noi a rispondere alle nostre domande non ci potrebbe dare molte spiegazioni, il suicidio è un atto misterioso per colui stesso che lo compie. Un regista Louis Malle ha fatto un film sul suicidio, e l’ha intitolato Feu follet, Fuoco fatuo. Ripeto l’argomento non è facile con il rischio di banalizzare questo gesto o di essere un severo censore. Ci si uccide per mancanza di amore? Per mancanza di dialogo con gli altri? Forse il suicidio è la forza di quelli che non hanno più forza, è la speranza di quelli che non credono più e con questo gesto cercano l’estremo tentativo di migliorare la propria vita, perché la natura in un moto di pietà non ci ha imprigionati! Ma forse questo male di vivere è molto più complesso di una semplice domanda e avvelena poco alla volta l’esistenza quotidiana di persone belle ma forse attraversate dalla fragilità d’animo in quel momento della loro scelta di gettare via la loro vita prematuramente. Alzi la mano a che è sfuggita almeno una volta nella vita il pensiero: “Meglio morire che tirare avanti così!”, in un momento di difficoltà, nella convinzione di trovare finalmente pace e riposo. Ma poi quando razionalmente si pensa seriamente alla morte, allora si cambia registro ed un fremito gelido s’insinua nel nostro animo ed il fuoco fatuo del male oscuro subito si dissolve. Il suicidio è forse alla base della nostra umana esistenza, quella di giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, ma forse se una persona pensa di aver perduto la propria immagine ed incontra solo uno specchio in frantumi del proprio animo prende corpo il pensiero del fuoco fatuo.
Favria 26.10.2019 Giorgio Cortese

Certi giorni imparo a sorridere quando mi viene da piangere, La vita è così!

Chi ha inventato l’ora legale!
L’ora solare è stabilita astronomicamente dal passaggio del Sole per il meridiano locale. Quando il Sole raggiunge il punto più alto della sua traiettoria in cielo, in quel luogo è mezzogiorno. In teoria, quindi, ogni località ha un suo tempo. Per questo ogni nazione inizialmente adottò, su tutto il proprio territorio o su ampie fasce di esso, un’unica ora, di solito quella della capitale. Nel 1884, per armonizzare le ore tra i vari Stati, la conferenza di Washington creò l’ora legale: suddivisa la Terra in 24 spicchi uguali, detti fusi, è quella che si ha a metà strada tra i due bordi del fuso. In Italia spesso si definisce “legale” quella che in realtà è l’ora estiva, cioè lo slittamento in avanti di 60 minuti, stabilito per legge, dell’ora normalmente in vigore. La prima teoria in merito all’ora legale risale addirittura al Settecento. L’americano Benjamin Franklin, l’inventore del parafulmine, capì che facendo adattare l’orario ai cambiamenti della luce, durante l’estate si sarebbe risparmiato molto, in energia destinata all’illuminazione. In Italia l’ora legale venne introdotta per la prima volta nel 1916. L’Unione Europea (nel 2001) ha stabilito che in ciascuno Stato membro il periodo dell’ora legale ha inizio alle ore 1.00 del mattino, ora universale, dell’ultima domenica di marzo e termina alle ore 1.00 del mattino, ora universale, dell’ultima domenica di ottobre. Alcuni l’hanno adottata in passato ma l’hanno abbandonata, altri addirittura seguono sempre l’ora legale e hanno sospeso l’ora solare. Oggi è già arrivato il momento del cambio ora? Domenica 27 ottobre le lancette dell’orologio vanno portate indietro: dalle 3 alle 2. Arriva la giusta ricompensa di quanto accaduto nella notte tra sabato 30 e domenica 31 marzo 2019 e precisamente alle ore 2, quando abbiamo dovuto spostare le lancette dell’orologio un’ora in avanti privandoci di 60 minuti di sano riposo. Tra luglio e agosto 2018 la Commissione Europea indisse un sondaggio chiedendo ai cittadini della UE se volessero o no tenersi l’ora legale. A tale quesito risposero più di 4,6 milioni di persone, un vero record, l’84% delle quali chiedeva he il cambio dell’ora venisse abolito, mantenendo solo l’orario naturale, quindi l’ora solare. Il motivo della richiesta risiede nel fatto che mentre nei Paesi del sud, come l’Italia, l’ora legale allunga effettivamente le giornate, al Nord, dove le giornate sono più estese, tale effetto non produce alcun beneficio; anzi qualcuno afferma che serva solo a ridurre le ore di sonno, ma gli studi effettuati non hanno né confermato, né smentito che ciò comporti effettivi danni alla salute. Dal 2022 dunque, ogni singolo Paese potrà scegliere se mantenere tutto l’anno l’ora legale o quella solare: chi deciderà di mantenere l’ora legale dovrà regolare gli orologi per l’ultima volta l’ultima domenica di marzo 2021, mentre coloro che opteranno per l’ora solare regoleranno gli orologi per l’ultima volta l’ultima domenica di ottobre 2021. Cambiare ora da un pochino di fastidio, perché le nostre abitudini vengono scombussolate. Non a caso il cambio avviene sempre tra sabato e domenica per permetterci di adattarci più dolcemente alla variazione, e per evitare errori di un’ora, di ritardo o di anticipo, nell’arrivare a scuola o al lavoro! Tornare all’ora solare non è certo motivo di personale euforia perché significa godere minore luce nell’arco della giornata, insomma le giornate si fanno corte di brutto alla sera.
Favria 27.9. 2019 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana la bontà è più facile da riconoscere che da definire!

Imprimatur
Questa espressione deriva dalla formula adottata dagli organi ecclesiastici per avallare o meno la pubblicazione di un’opera letteraria, teologica o scientifica, dopo uno scrupoloso esame da parte di era preposto alla censura. Quando infatti si ravvisava che il contenuto dell’opera non era in contrasto con la dottrina cattolica, si dava il beneplacido dichiarando: “Nihil obsat quominus imptimatur, non esiste alcun impedimento al fatto che deve essere stampato”. Questa disposizione fu introdotta nel 1515 con la Bolla pontificia Inter Sollecitudines emanata da Leone X, prefigurata inizialmente da Innocenzo VIII per avviare un sistematico controllo di quanto veniva stampato. In periodo quel storico circolavano dei libri non graditi alla Chiesa e la censura vigilava per esprimere consenso o disapprovazione per le opere stampate. Allora la locuzione contratta “Imprimatur, Si stampi”, compariva al principio o alla fine del libro, e voleva dire che quel libro aveva ottenuto il preventivo assenso dalle autorità ecclesiastiche. Oggi la locuzione Imprimatur è usata come tesa ad autorizzare un evento che ci sta a cuore come il piano ferie che viene autorizzato o la validazione di un documento o contratto.
Favria, 28.10.2019 Giorgio Cortese

Se potessi ricominciare da capo, farei esattamente lo stesso, non ho pentimenti. E così penso farebbe ogni essere umano che ha l’ambizione di definirsi tale.

Ossessionati dal misurarci.
Oggi giorno, siamo sempre di più ossessionati dal misurare e dal misurarci. Misuriamo il conto in banca, le relazioni, i follower ed i like. Misuriamo i chilometri percorsi sia sul tapis roulant che a piedi, le ore di lavoro, le cene fuori, i pollici della tv ed i cavalli dell’auto. Ma quale è l’unità di misura dell’umanità? Che cosa definisce l’essere umano? La ricchezza, il successo, il potere? Secondo Protagora “l’uomo è la misura di tutte le cose”. Questa è una tesi antica del V secolo prima di Cristo, ma è ancora molto attuale. Secondo Galileo, è misurabile solo ciò che è identico, replicabile, e che non cambia. Ma la paura, l’amore, i sentimenti fanno parte della nostra natura umana, in questi casi misurare, è un’operazione difficile, quasi impossibile. Molte misurazioni sono scelte in base ragioni politiche o sociali. Non possiamo misurare gli essere umani e nemmeno semplificarli attraverso i numeri. Certo l’attuale società tende a classificare e a cercare regole, come in politica che cerca dei criteri per distribuire denaro pubblico. Ma gli uomini sono troppo complessi ed importanti per essere ridotti a una formula matematica. È vero c’è un peso, un’altezza, ma questi parametri non dicono niente. Forse si deve capire come funzionano le comunità ed i rapporti tra individui. L’esperienza umana è qualcosa che non si può nè ripetere né misurare. Gli esseri umani condividono la loro umanità con gli altri e si riconoscono con i loro simili e molto spesso il modo di valutare è superficiale. Penso che dare giudizi è sempre pericoloso, perché è il futuro che definisce il passato, ma molte volte quello che manca nelle frenesia umana è il tempo di aspettare. Ma allora è il tempo l’unità di misura per valutare e giudicare? Come esseri umani siamo mortali e non eterni e di questo ne siamo consapevoli. Ma questa coscienza della nostra mortalità genera il fenomeno negativo dell’avidità e la spinta positiva alla generosità. Allora il valore aggiunto di noi esseri umani non è il denaro che si possiede o dal successo ma dalle quotidiane azioni nei confronti dei nostri simili per permettere di vivere tutti meglio. Allora come esseri viventi la misura è la vita, e il bene è tutto ciò che fa vivere! Il paradosso oggi è che si parla di “qualità della vita” dimenticando che la vita stessa è la qualità è l’essere umano è sempre la misura di tutte le cose.
Favria, 29.10.2019 Giorgio Cortese

Ho notato la cosa buffa che anche le persone che affermano che tutto è già scritto e che non possiamo far nulla per cambiare il destino, si guardano intorno prima di attraversare la strada.
giorgioCorteseAlpini