Giorno e notte! – La vita è….meravigliosa! – Sul mare luccica…- Il violinista sul tetto, la forza di andare avanti.- Origini del Natale e dell’albero di Natale. – Noi per gli altri possiamo fare tanto…con poco. – Chicchere del gossip…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Giorno e notte!
Un detto orientale dice che sei il giorno ha occhi, la notte ha orecchie. Ed è vero, nella notte percepisco meglio le tempeste e le bonacce dell’animo, il fastidioso ticchettio dell’ansia quando tardo nel prendere sonno, ma l’ascolto migliore è il silenzio del mondo. La mia speranza all’inizio di ogni notte è che al di la del nero percorso mi aspetta sempre lo stupore di un nuovo giorno
Favria, 11.12.2017 Giorgio Cortese

Ho acceso una candela di Natale che silenziosamente senza fare rumore ma dolcemente offre se stessa.

La vita è….meravigliosa!
Una signora diversamente giovane mi ha raccontato un episodio successo al fratello di suo nonno all’inizio del novecento. Allora il protagonista di questo breve racconto aveva una avviata attività artigianale, con diversi salariati alle sue dipendenze, in un paese del Canavese. Gli affari prosperavano e lui stava bene, era un galantuomo anche se poco religioso, insomma non metteva mai i piedi in una Chiesa e non andava alla consueta S. Messa domenicale con grande dispiacere di tutti i familiari. Questo signore non era un liberale anticlericale come ne esistevano tanti ancora alla fine dell’ottocento, ma non credeva in Dio ne tanto meno nei miracoli. Verso il mese di ottobre del 1910 per l’acquisto di una partita di merce indispensabile per l’attività gli viene proposto di sottoscrivere una cambiale e Lui pur non avendone mai fatte in vita sua la sottoscrisse sicuro del fatto che un suo cliente gli dovevano pagare delle fatture superiori di importo, e la scadenza di questa cambiale venne fissata al 22 di dicembre del 1910. Ma all’avvicinarsi della scadenza il debitore gli comunica tramite lettera, allora il telefono si usava poco ne tanto meno esistevano fax, mail o sms, che era dispiaciuto ma che non poteva pagare entro la scadenza del 22 di dicembre quanto dovuto. Questo signore disperato incominciò a pensare all’ignominia del protesto e del successivo fallimento per non aver potuto fare fronte a quanto sottoscritto con l’impegno della cambiale. Allora chi subiva una tale infamia veniva messo ai margine della società e tutta la famiglia ne veniva indirettamente disonorata, perché non erano solvibili. Certo non è come adesso che certi personaggi passano da un dissesto finanziario all’altro, rimanendo impuniti e prendono pure la pensione d’oro e la liquidazione milionaria. Il protagonista del racconto sempre più disperato decide di farla finita ma non vuole suicidarsi nel suo paese, sempre per preservare la rispettabilità dei famigliari e allora prende il treno per Torino la mattina presto del 20 dicembre pensando di gettarsi senza documenti nelle gelide acque del Po’. Pensava che se era senza documenti non sarebbe stato magari identificato e così avrebbe evitato problemi ai famigliari. Ma ecco che quando arriva a Torino uscendo dalla stazione senza sapere il perché si trova dentro una nota chiesa di Torino. Qui rimane per un po’, non è dato sapere se ha incontrato un prete o si sia fermato a parlare con Dio sa solo. Quello che si sa è che esce, ed ha abbandonato l’idea di farla finita, riprende il treno per il Canavese, libero dalle ansie anche se è consapevole che verrà dichiarato prima protestato e poi subirà l’onta del fallimento. Ma quando arriva a casa trova nell’ufficio la lettera speditagli da un cliente che gli comunica il pagamento di quanto dovuto, più un acconto per altri lavori. Corre come un forsennato alla Banca che gli comunica che la cambiale gli verrà regolarmente pagata con l’introito dei soldi del cliente. Insomma la vita è meravigliosa, proprio come nel film di Frank Capra, ma questo racconto non è un lungometraggio ma una storia vera di una persona che passa dal pessimismo all’ottimismo. Ritengo che la vita, malgrado la sua brevità e fragilità è bella, fonte molto più di soddisfazioni che di dispiaceri. Ogni giorno è necessario andare avanti con gli occhi aperti e il cuore sveglio, accettando i fallimenti, superando gli ostacoli e raggiungendo nuove vittorie, ma sempre con la speranza viva per non lasciarci semplicemente trasportare dal destino perché già da domani sarà un’altra storia, una nuova perla da infilare, nel filo di morbida seta che è la vita, una continua meraviglia!
Favria, 12.12.2017 Giorgio Cortese

A Natale si accende una nuova luce piena di speranza che mi auguro possa illuminare sempre i nostri passi per il 2018

Sul mare luccica…..
Oggigiorno la stragrande maggioranza delle persone crede ancora che a Santa Lucia sia il giorno più corto che ci sia. Niente di più sbagliato, infatti il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia appunto, non è il giorno più corto dell’anno, che invece risulta essere quello del solstizio d’inverno, cioè il 21 o il 22 dicembre. Questa credenza pare risalga a circa 500 anni fa, prima che Gregorio XIII riformasse il calendario nel 1582, fino ad allora l’anno solare durava ufficialmente 365 giorni e 6 ore e queste si recuperavano ogni 4 anni aggiungendo un giorno, il 29 febbraio. In realtà l’anno solare dura 365 giorni 5 ore, 48 minuti e 46 secondi con conseguente sfasamento di 40 minuti ogni 4 anni, ovvero l’anno solare era più veloce dell’anno civile. Così con il trascorrere dei secoli la differenza divenne pesante, tanto che l’ammontare fu di 10 giorni e il solstizio d’inverno coincise con il giorno di Santa Lucia. Prontamente Gregorio XIII risolse il problema modificando, il calendario civile e recuperando quei 10 giorni in più: dal 5 ottobre 1582 si passò come per magia al 15 ottobre dello stesso anno e per far tornare tutti i conti si eliminarono degli anni bisestili, togliendo dagli anni centenari quelli che presentano le prime due cifre non divisibili per 4, 1700, 1800, 1900. Ma Santa Lucia rimane la Santa della luce,e ci rassicura che le tenebre non prevarranno definitivamente sulla luce e, presto le ore di luce ritorneranno piano piano ad allungarsi. Dimenticavo è anche protrettrice della vista. Pare che il culto di Santa Lucia si innesti al culto presistente pagano di Demetra che era legata al mito della morte e rinascita di Madre Natura, e anticamente al solstizio d’inverno in Sicilia si invocava Demetra dea della luce perchè riportasse la luce e l’abbondanza delle messi. Successivamente con l’introduzione del cristianesimo nasce il mito che con il solstizio d’inverno si potesse vedere la Santa volare sui campi ricoperti di neve con una corona di luce tra i capelli, e ancora oggi in alcune regioni d’Italia, nel Trentino occidentale, nel Veneto, nel Bergamasco e nella Brianza, si aspetta Santa Lucia, che passa nella notte tra il 12 e il 13 dicembre a cavallo del suo asino per portare regali ai bambini.Per mandare a letto i bambini impazienti, che volevano restare svegli per vedere la Santa, li si spaventava dicendo che lei li avrebbe accecati con la cenere del camino e sarebbe passata oltre senza lasciare i doni. Santa Lucia svolge un po’ le funzioni dell’italica Befana: premia i bambini buoni con piccoli doni, dolcetti e torroncini, ma anche frutta secca ed arance, invece ai bambini cattivi porta solo carbone. La venerazione della Santa dal Sud al Nord d’Italia è legato al tortuoso percorso delle sue reliquie in particolar modo nel Medioevo sotto la Repubblica di Venezia. Il corpo della santa, prelevato in epoca antica dai Bizantini a Siracusa, è stato successivamente trafugato dai Veneziani quando partiti per le Crociate, saccheggiarono invece Costantinopoli. Oggi il corpo è conservato e venerato nella chiesa di San Geremia a Venezia. Nei paesi scandinavi anche la Chiesa Luterana stranamente celebra la Santa. In Svezia in suo onore, le figlie maggiori della famiglia si alzano prima dell’alba, vestite di una camicia da notte bianca con una corona di grano addobbata con bacche rosse e 7 o 12 candele accese , tanto per non dimenticare il legame con Demetra,portano, aiutate dai più piccoli, che rappresentano le stelle, la colazione agli adulti della casa, ossia caffè nero e un dolcetto speciale chiamato in svedese Lussekatt. In teoria i dolcetti dovrebbero essere preparati la mattina stessa, ma più spesso vengono solo infornati o sono serviti quelli preparati il giorno prima. I bambini si mettono in coda dietro Lucia, l’unica con corona di candele, in processione, luciataget ossia il treno di Lucia, e cantano le canzoni tradizionali e l’immancabile Luciasangen. Questa usanza è nata nel 1700 tra le famiglie alto-borghesi della zona intorno al lago Vanern, adesso è diventata occasione dell’elezione di Miss Lucia, così le città della Svezia il 12 e il 13 dicembre brulicano di belle ragazze in vestaglia bianca fermata da una cintura rossa in vita che cantano la canzone di Santa Lucia e salutano con la mano nei supermercati e nelle chiese offrendo sorrisi e biscotti. Quindi anche se il giorno non è considerato festivo è come se lo fosse perchè nelle scuole e negli uffici è tutto un luciatåget, cori e dolcetti tradizionali. Una curiosità, pare che la canzone di Santa Lucia, Luciasangen, che gli svedesi cantano con tanto fervore non è altro che l’italianissima “Santa Lucia” ovvero la canzone napoletana scritta da Teodoro Cottrau, napoletano. Questa canzone originaria non ha niente a che vedere con la Santa ma con un quartiere popolare di Napoli guardato dal barcaiolo che si gode il bel panorama dal golfo di Napoli e si commuove nel vedere il suo rione. Il testo del Santa Lucia svedese è ovviamente diverso dalla barcarola napoletana, tutto incentrato sulla data solstiziale: si tratta dell’invocazione ad una celeste dea della luce affinchè scenda sulla terra per farla rinascere. La tradizione scandinava sembra abbia avuto inizio nel 1764, quando un sacerdote, a Vestergotland, raccontò di essere stato svegliato, nel cuore della notte, da un canto misterioso. Al risveglio vide due fanciulle vestite di bianco, una con un candelabro d’argento acceso e l’alta che stava preparando la colazione sulla tavola. Da S. Lucia a Natale sono 12 i giorni che separano i due importanti avvenimenti come sono 12 i giorni che intercorrono da Natale all’Epifania.
Favria, 13.12.2017 Giorgio Cortese

A Natale facciamo le cose col cuore perché i gesti, le piccole attenzioni sono i regali più belli. Buon Natale.

Il violinista sul tetto, la forza di andare avanti.
Mi è stato impresto slcuni mesi addietro il bellissimo libro: “Tevye il lattivendolo ed altre storie,” di Sholem Aleichem- edito da Feltrinelli. Tewje è una delle figure più note e più vive della letteratura ebraica. Vende latte e latticini di casa in casa, in un distretto russo di fine secolo, ed intrattiene con i suoi clienti un rapporto fatto di riflessioni sagge, di storpiate citazioni bibliche e di comprensione per il dolore altrui. Dal libro è anche ispirato il musical “ Fiddler on the roof , Il violinista sul tetto” ambientato in questo immaginario distretto della Russia zarista con pogrom e soppraffazioni agli ebrei. Il musical nel titolo si è ispirato ad un soggetto ricorrente nei quadri del pittore ebreo Marc Chagall, vale a dire il violinista che suona sopra i tetti di un villaggio. Tale figura ci ricorda le condizioni di estrema instabilità in cui si manifesta l’esistenza ebraica, ma anche la nostra esperienza umana in senso generale, dove siamo sempre costretti ad improvvisare delle semplici melodie senza romperci l’osso del collo. Tevye è un piccolo eroe positivo con la quotidiana odissea a contatto con le brutture della vita e della storia, che è quella della diaspora ebraica ma anche quella di noi di fronte all’attuale disordine sociale e politico che ci circonda. Eppure Tewje non si scoraggia e affronta con humor arguto tutte le difficoltà, forte di uno stoicismo che trova nel senso comico e la sua grande forza positiva
Favria, 14.12.2017 Giorgio Cortese

Nelle prossime feste di Natale per favore mettete meno doni materiali sotto l’albero e più cuore e abbracci intorno. Buone feste.

Origini del Natale e dell’albero di Natale.
All’inizio del IV secolo d.C. nell’Europa occidentale, e nel V secolo nell’Europa dell’est, si festeggiava il Natale. Era una festa considerata pagana dalla Chiesa cattolica. La data precisa in cui è nato Gesù non è conosciuta, dicono gli esperti. Sappiamo che c’erano vari gruppi di cristiani che festeggiavano la nascita di Gesù Cristo molto prima che il Natale fosse una festa ufficiale. Già dal II secolo d.C. gli gnostici, membri di una setta religiosa cristiana d’Egitto, celebravano la data del 6 gennaio come la nascita di Gesù. Ci sono stati molti conflitti nel passato riguardo alla celebrazione di Natale. I pagani avevano la tradizione di celebrare il 25 dicembre o il 6 gennaio la rinascita del sole perché la durata del giorno aumentava e scacciava il buio. Essi ringraziavano la rinascita della luce. I cristiani erano inizialmente scandalizzati da questo modo di festeggiare, però videro una buona opportunità per estendere il culto cristiano anche ai pagani ed allora invece di perseguitarli fecero sì che in quella data, ossia il 25 dicembre, si festeggiasse anche la nascita di Cristo. Già i greci e gli slavi avevano la tradizione di festeggiare la rinascita del sole. Spesso associavano anche la nascita di un dio da una vergine, come la Vergine Maria.Il dio Dioniso era festeggiato il 6 gennaio e, guarda caso, anche lui trasformava l’acqua in vino, proprio come Cristo. Anche i romani festeggiavano la rinascita del sole, prima il 6 gennaio poi l’hanno spostato il 25 dicembre. I germani festeggiavano la Rinascita della Luce. In tante rappresentazioni romane, Cristo ha una corona e dietro i raggi potenti e luminosi del sole, altra coincidenza. Se un osservatore, nel solstizio d’inverno si reca nell’emisfero nordico, può osservare come le tre stelle della cintura di Orione si allineano con la più brillante stella a est, indicando il punto esatto dove il sole sorgerà il giorno dopo. Per tre giorni il sole non si sposterà da quel punto, dopodiché esso inizierà la sua ascensione sul cielo nordico.
Favria,15.12.2017 Giorgio Cortese

A Natale facciamo le cose col cuore perché i gesti, le piccole attenzioni sono i regali più belli. Buon Natale amici!

Noi per gli altri possiamo fare tanto…con poco.
Giorni addietro ho ringraziato una persona per l’aiuto prestatomi con poco preavviso, per il rispetto che ha prodigato e ringraziandolo per l’apporto che ha dato, perché nella vita solo con l’aiuto degli altri possiamo fare tanto. Questo mio amico che chiamo per riservatezza, ma con un nesso con il significato del suo nome, “Rilucente”, ha risposto al mio messaggio che lui aveva fatto poco. Da qui nasce il ragionamento che voglio condividere con Voi. In questa società sempre di più individualistica, sempre di più desertificata nei rapporti umani. Noi cittadini, nelle nostre Comunità, nel nostro piccolo, con poco possiamo fare tanto, possiamo apportare un un grande contributo, mostrando solidarietà verso gli altri. Proprio perché si vive in una società prevalentemente egoista e non curante di ciò che accade si dovrebbe tentare di aiutare il prossimo sia moralmente che materialmente con un gesto che viene dal cuore senza aspettarci ricompense ma con la consapevolezza di avere contribuito al miglioramento della qualità della vita. Abbiamo bisogno di ritrovare sempe di più lo spirito di squadra e prendo in esempio lo sport dove nei giochi di squadra anche se un giocatore è bravissimo, c’è sempre qualcosa in cui non è molto abile. E tramite il gioco collettivo si riesce a far emergere il meglio di ognuno, sopperendo ai suoi difetti con le doti di un altro. Credetemi trovo ridicolo il detto che l’importante non è vincere, ma partecipare. Vincere nella vita è essere consapevoli di avercela messa tutta, di aver superato i propri limiti, di non aver mai mollato e saper riconoscere la superiorità dell’avversario. La squadra, il gruppo, servono a condividere le vittorie, ma soprattutto aiutano a elaborare le sconfitte. Insomma la squadra, l’associazione di volontariato o la Comunità in cui viviamo la posso definire una straordinaria fabbrica di emozioni. La condivisione delle emozioni aumenta l’effetto delle stesse e mi aiuta a vivere la vita, la quotidianità, in modo più intenso, come se ogni istante rappresentasse un’azione di gioco, della partita della vita che è la vittoria più importante. Ma, ricordate che raggiungere i propri obiettivi e superare i propri limiti, aiutati dalla squadra, lo è ancora di più! Ho letto in un libro americano questa frase che mi aveva molto colpito: “La forza del lupo è il branco, e la forza del branco è il lupo”. Certo se va tutto bene, ci si dimentica del poco dato, che sommato al poco di tutti, diventa veramente tanto. Ma in caso di difficoltà che si vede se c’è davvero lo spirito di squadra che aiuta a superare i malumori. Gli errori che si commetono nella vita segnalano la necessità di apportare modifiche, in modo di mettere in moto le risorse e le soluzioni necessarie per ottenere il miglior risultato possibile, risorse che, a volte, non si sa neppure di avere. La tattica nell’affrontare le quotidiane difficoltà è il valore aggiunto nella vita di noi cittadini, volontari, giocatori, perché anche se un giocatore è bravissimo c’è sempre qualcosa in cui è meno abile e tramite il lavoto collettivo si riesce a far emergere il meglio di ognuno, sopperendo ai suoi difetti con le doti di un altro. In conclusione sia indivualmente che in gruppo, il nostro piccolo poco porta alla valorizzazione delle qualità individuali nell’ambito della crescita globale delle persone che sono intorno a noi, sempre con il rispetto per il proprio e l’altrui impegno rimanendo concentrati e dando il massimo con la motivazione a non mollare mai, neppure nei momenti più difficili, insomma con il nostro poco usiamo sempre il cervello per vincere tutti assieme.
Favria, 16.12.2017 Giorgio Cortese

Se ogni giorno incontro tanti sorrisi sono spenti dalla crisi economica, ho la speranza che con la nascita di Gesù Bambino che infiamma i cuori, tutti gli animi si riamoiano di gioia e serenità

Chicchere del gossip
Innazi tutto spiego che ho trovato in un libro la strana parola chicchere che vuole indicare una piccola tazza col manico, usata in particolare per tè, caffè e cioccolata. Il lemma deriva da una lingua pre colombiana nathuatl, azteco, che indicava il frutto della ‘Crescentia cujete’, giunto a noi attraverso lo spagnolo jícara.Penso che non tutti conoscono questa parola, oggi un po’ superato, che indica una tazzina di porcellana dotata di manico, utilizzata per sorbire tè, caffè o cioccolata. Il carattere lussuoso, ricercato, della chicchera è peraltro attestato da espressioni come “parlare in chicchere”, cioè parlare in modo troppo ricercato o affettato. Anche coloro che conoscono il termine forse non sanno forse che tale ricercatezza ha una lunga storia, una storia che ci porta dall’altra parte del pianeta.Il termine chicchera deriva infatti dal termine náhuatl, cioè azteco: xicalli, con il quale si indicava il grande frutto sferico della crescentia cujete, una sorta di curiosa zucca verde brillante che cresce su alberi ampi e frondosi. Tali frutti erano infatti seccati e tagliati a metà, ottenendo così due ciotole emisferiche che tutti i mesoamericani utilizzarono, per millenni, come bicchieri per sorbire le bevande più diverse, tra le quali le molte preparazioni a base di cacao. Anche quando l’uso di lussuosi bicchieri e coppe in ceramica divenne prevalente nelle corti mesoamericane, l’uso delle xicalli, non venne mai abbandonato, tanto che i recipienti in ceramica erano sovente realizzati in modo da imitare la forma originale del frutto. Quando i coloni europei scoprirono l’uso del cacao conobbero anche quello di questi curiosi recipienti naturali che durante l’epoca coloniale venivano decorati con eleganti pitture, laccature o applicazioni di foglie d’oro, come è possibile osservare in diversi quadri dell’epoca. Notoriamente, però, i coloni spagnoli ebbero una certa difficoltà a pronunciare i suoni della lingua náhuatl, cosicché il termine indigeno xicalli venne ben presto trasformato nello spagnolo jícara. Le belle jícaras coloniali giunsero poi in Italia insieme al cacao, come testimoniano ad esempio i due bellissimi esemplari oggi alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, e quelle strane tazze divennero chicchere. Nel tempo invalse poi l’uso di bere il cacao in pregiate porcellane cinesi, anch’esse spesso importate dal Messico dove giungevano grazie al commercio transpacifico del famoso passando dalle Filippine, ed ecco che le chicchere si trasformarono in tazzine di porcellana. Così, quando le nobildonne italiane, ma anche le nostre nonne sorseggiavano il cioccolato o qualche altra bevanda coloniale in eleganti chicchere di porcellana stavano inconsapevolmente replicando gesti e usi linguistici la cui origine risale alle ricercate pratiche di consumo delle lontane corti azteche.da li il passaggio al gossip è naturale. Si dice oggi gossip, il pettegolezzo, chiacchiera, specie in senso giornalistico. Ma la parola gossip deriva dall’antico inglese godsibb, padrin. Successivamente questo significato fu esteso a conoscenza familiare o persona con cui si parla di cose futili in maniera familiare. A partire dall’Ottocento, prese il senso di chiacchiera inutile,ossia voce senza fondamento come oggi, notizie ed indiscrezioni molte volte privi di fondamento una macchina del fango.
Favria, 1.12.2017 Giorgio Cortese

Desidero augurare Buon Natale a tutte le persone eternamente grate alla propria vita per ciò che di buono possiedono, sia spiritualmente sia materialmente. E tanti auguri anche a chi sa valorizzare, con sincero affetto, amici e parenti non soltanto il 25 dicembre.

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Giorgio Cortese (Babbo Natale 2017)