Fidasauguri – Banderuole! – L’ospitalità!-Occhi, testa e cuore. – Lettera dal passato! – La tradizione della ghirlanda di natale. – Al mattino presto, in bagno, o al sabato mattina…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Fidasauguri
Amici donatori Fidas Favria, Vi scrivo questa lettera perché siete delle persone speciali. Siete speciali perchè donate il Vostro braccio per il prelievo del sangue a chi ne ha bisogno senza pretendere nulla ne sapere a chi va il prezioso dono. Donate per il piacere di donare e di fare del bene. Ti aspettiamo sabato 17 dicembre 2016 dalle ore 15,00 alle ore 19,00 presso la nostra sede per il tradizionale scambio di Auguri Natalizi con il consueto panettone, per un bel momento di condivisione. Ti sarà inoltre consegnato il calendario prelievi 2017. Precisiamo che hanno diritto al panettone tutti i donatori che hanno effettuato almeno una donazione nell’anno 2016. La vita non aspetta, dona il sangue e personalmente il regalo più bello che Vi augoro per il S. Natale è di essere circondati delle persone che Vi vogliono bene. Felice Natale a tutti
Favria 11.12.2016

Con la speranza nell’animo posso vedere l’invisibile e toccare l’intangibile e cercare di raggiunge l’impossibile. Perché senza la speranza è impossibile trovare l’insperato.

Banderuole!
La banderuola per la misura della direzione del vento, da tradizione è sormontata da una sagoma a forma di gallo. Secondo gli studiosi e storici, questa particolare abitudine risale ai tempi medievali quando, nel IX secolo, il Papa Niccolò I ricordò al suo conclave le parole ammonitrici che Gesù rivolse a Pietro, nel Vangelo, dopo l’Ultima cena. Secondo il Vangelo di Marco difatti, Gesù, che era seduto a tavola con i discepoli, disse a Pietro: “In verità ti dico: proprio tu oggi, prima che il gallo canti due volte, Tu mi tinnegherai tre volte”. Da lì in poi, il Papa fece nascere l’usanza di collocare sopra la freccia della banderuola, che indica la direzione del vento, la sagoma di un gallo, fissandola sul più alto pinnacolo di ogni cattedrale, abbazia o chiesa della cristianità. Papa Nicola I, decretò ufficialmente, da allora in poi, che tutte le chiese europee dovessero essere ornate con una banderuola a forma di gallo. Le banderuole segnano il vento da sempre e solitamente sono poste e collocate nei punti più alti degli edifici pubblici e privati e rappresentano spesso la sagoma di un galletto, ancora in uso oggi per la scelta e volere dello stesso pontefice. Oggi leggo che i pentastellati forse vittime dell’ebbrezza elettorale di avere contribuito alla vittoria del No si appropiano dell’Italicum. Ma prima dicevano che l’Italicum era peggio del Porcellum, che l’Italicum era un sistema per fare fuori gli onesti: cioè loro e affermavano che la loro legge elettorale era sempre il proporzionale. Ricordo che nel 1999 il 18 aprile si tenne il referndum abrogativo per eliminare la quota proporzionale prevista nel sistema elettorale. Alla consultazione parteciparono il 49,6% degli elettori che si espressero per il “sì” al cambiamento (91,5%): erano circa 150 000 i voti mancanti per superare il quorum del 50%. Tornando alla vituperata legge elettorale da parte dei pentastellati, adesso la legge piace, mah! Sulla legge elettorale pesa comunque la decisione della Corte costituzionale che ha annunciato la prima udienza sull’argomento per il prossimo 24 gennaio. Per carità anche io desidero votare in fretta, ma questo repentino cambiamento dell’idea pentastellata meriterebbe una legge a ricordo dove per legge su di ogni bandiera segnavento al posto del gallo una verde cavalletta!
Favria 12.12.2016 Giorgio Cortese

Non esiste dovere più indispensabile di quello che impone di restituire una gentilezza. Il secondo dovere quotidiano è poi il buon umore verso il prossimo

L’ospitalità!
Sono stato a casa di Pansy e Pasquale che nella loro ospitalità mi hanno offerto da bere il caffè turco, e come dice uin detto turco che: “Un caffè turco offerto si ricorda per mille anni”. La loro calda accoglienza mi ha ricordato l’antica parola greca “ xenia” che riassume bene il concetto dell’ospitalità e dei rapporti tra ospite ed ospitante che nel mondo greco antico costituiva un aspetto di grande rilievo per la civiltà di allora e anche per oggi nell’era degli smartphone. Molti, nel mondo omerico, sono gli episodi che aiutano a comprendere il concetto di ospitalità presso gli antichi Greci. Tra questi quello di Glauco e Diomede, assieme a quello di Achille e Priamo, è uno dei più importanti. Molto noto è anche l’episodio dell’Odissea, riguardo alla maga Circe nell’isola di Eea. Ella infatti offrì ai compagni dell’eroe una crema detta Ciceone, ed in seguito un vino molto buono, il Pramno. Anche l’episodio di Odisseo con Nausicaa, la figlia di Alcinoo, presso l’isola dei Feaci è un chiaro segno dell’ospitalità secondo i Greci. Oppure quando Odisseo viene ospitato dalla ninfa Calipso o quando viene ospitato dal porcato Eumeo nel momento in cui sbarca nella sua terra natia Itaca, sotto le mentite spoglie di menidicante. Sebbene il termine xenia si riferisca in maniera specifica allo spazio culturale, sociale e religioso della Grecia antica, questo concetto soppravvive oggi ed il dovere di ospitalità è il muro maestro della civiltà occidentale. L’ospitalità è un rapporto (ed è bello che in italiano ci sia un’unica parola,ospite, per dire colui che ospita e colui che è ospitato). Al forestiero che si accoglieva a casa non veniva chiesto né il nome né l’identità, perché era sufficiente trovarsi di fronte a uno straniero in condizione di bisogno affinché scattasse la grammatica dell’ospitalità. La reciprocità delle relazioni d’accoglienza era alla base delle alleanze tra persone e comunità, che componevano la grammatica fondamentale della convivenza pacifica tra i popoli. La guerra di Troia, l’icona mitica di tutte le guerre, nacque da una violazione dell’ospitalità da parte di Paride. Insomma i popoli incivili sono quelli che non conoscono e non riconoscono l’ospite. Nell’antiva Grecia il ciclope Polifemo è l’immagine perfetta dell’inciviltà e della disumanità perché divora i suoi ospiti invece di accoglierli. L’ospitalità è la prima parola civile perché dove non si pratica l’ospitalità si pratica la guerra, e si impedisce lo Shalom, cioè la Pace e il Benessere.l’ospitalità è un Bene dell’Umanità che si ritiene civilizzata ed è per questo che occorre proteggerla e parlarne molto bene, se vogliamo che resista in questa società sempre più liquida, dove si vede sempre di più con diffidenza il nostro simile. La legge base dell’ ospitalità oggigiorno è che la reciprocità dell’ospitalità non è un contratto, perché non c’è parità fra il dare e il ricevere, e soprattutto perché il mio essere accogliente oggi non mi genera nessuna garanzia di trovare accoglienza domani quando ne avrò io bisogno. La legge dell’ospitalità non prevede un contratto di assicurazione per la non accoglienza domani di chi è stato accogliente oggi. Per questo l’ospitalità è un Bene Comune, e quindi delicato. Come tutti i beni comuni che la nostra civiltà è portatrice di deteriora se non è sostenuto da una intelligenza collettiva più grande degli interessi individuali e di parte. Ma se perdiamo questo Bene Comune, è difficile ricostruirlo e allora non c’è più per nessuno. Purtroppo molti segnai mi indicano che oggi gli animi esasperati dalla crisi economica sono oscurati e riffiora lo spirito dei ciclopi di Polifemo ed è urgente riffermare negli animi che il riconoscimento del valore e del diritto dell’ospitalità viene prima di tutte le politiche e quando non cè si vede e se nella casa degli esseri umani non c’è l’ospitalità allora non c’è neanche posto per me perché praticandola forse accogliamo pure gli angeli senza saperlo.
Favria 13.12.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno i venti e le onde sono sempre dalla parte dei navigatori più abili. Infatti gli i quotidiani ostacoli sono quelle cose spaventose che vedo ogni qualvolta distogligo lo sguardo dalla mia meta

Occhi, testa e cuore
Penso che nella vita quotidiana contino gli esempi, e sono arrivato alla conclusione che non conta che cosa si dica ,magari di malizioso e di sbagliato – su di noi, conta l’esempio che in effetti sappiamo dare. Conta come viviamo… Perché la gente ha occhi, testa e cuore. Le dico questo, perché non è vero che bastano trentacinque mesi in Parlamento «per avere la pensione». E non è neanche vero che i deputati e i senatori si siano concessi «aumenti di stipendio» (anzi, dall’inizio del 2011, i rimborsi di cui dispongono sono diminuiti di circa mille euro al mese). Ma è come se fosse vero, perché negli occhi, nella testa e nel cuore della gente non c’è l’esempio credibile di una classe politica che prima fa sacrifici e poi li chiede agli altri, ai cittadini semplici. Non c’è perché nessuno si è preoccupato di metterlo in cima alla lista delle cose da fare. Peccato. Io sono uno che pensa che chi fa politica debba avere una indennità adeguata di funzione, perché è vero che con la politica non ci si deve arricchire, ma è anche vero che la politica non può e non deve tornare a essere una questione di censo, riservata cioè ai nati ricchi o a coloro che riescono a diventare tali. Sono poi uno che crede – come tantissimi altri – che il senso della misura e del limite debba essere coltivato con priorità assoluta e, visto che stenta a sbocciare spontaneamente, venga imposto da meccanismi inesorabili a chi esercita un potere. Ecco perché ho auspicato – e continuo ad auspicare – un deciso e ben visibile “disboscamento” dei privilegi dei nostri rappresentanti elettivi e una rigorosità addirittura arcigna nel regolare i rimborsi a eletti e partiti. Ecco perché sogno un Paese con auto blu e scorte di polizia ridotte all’osso e riservate davvero alle più alte autorità e alle figure più a rischio. Ecco perché aspetto in aula, e al sì corale, riforme degne di questo nome per far dimagrire la politica. Serve l’esempio. E non tra due o tre anni, ma adesso.
Favria 14.12.2016 Giorgio Cortese

Nulla è più raro della genuina bontà che viene attuata senza nessun fine o scopo. Perché l bene che faccio a coloro cui non devo del bene, lo dove a chi me lo fa.

Lettera dal passato!
Si sa che la storia è maestra di vita, cosi scrivevano gli antichi Romani che se ne intendevano nel loro tempo su come amministrare la Res Pubblica!. Ecco non voglio partire da troppo lontano ma, solo dalle radici costituzionali che forse ci ricordano cosa avvenne agli albori dell’Italia Repubblicana. Il primo gennaio la Costituzione Italiana ha compiuto sessantotto anni durante i quali ha subìto trentotto modifiche con legge costituzionale. Mediamente nel patrio stivale il Parlamento ha modificato la Costituzione ogni ventidue mesi e l’ultima è stata nel 2012 con l’introduzione del “principio del pareggio di bilancio” con modifica degli articoli 81, 97, 117 e 119 da un Presidente del Consiglio, già allora non eletto e senza che noi cittadini abbiamo potuto dire la nostra, a favore o contro, con un eeferendum. . Nel referendum costituzionale confermativo del 2006 ha invece vinto il No e non sono passati trent’anni. Quello che dovremmo imparare oggi è dal passato, dal referendum del 1946, quello della scelta tra Repubblica e Monarchia. Una grande consultazione che spaccò in due il Paese, come è successo prevedibilmente domenica 4 dicembre. Allora, dopo il voto, che cosa fecero gli italiani? Esasperarono lo scontro? Niente affatto! Si misero a costruire insieme la nuova Repubblica, cioè lavorarono a edificare una democrazia che sapesse valorizzare ogni identità, ogni tensione ideale. Di fatto il Paese, dopo la divisione, ritrovò una unità e partì deciso per la sua ricostruzione, e raggiunge positivamente l’obiettivo. Ma adesso dopo il risultato popolare i politici cosa faranno? Avranno l’onestà intellettuale di fare lo stesso? Vorranno imparare dalla lezione della storia? Spero di sì, anche perché dentro una campagna elettorale spesso gridata e assai ideologica c’è stata, a mio parere, anche tanta volontà di dialogo. Da questo si deve ripartire, dalla volontà di dialogo! Smettiamola per amor di Patria di girare intorno al problema. Ritengo se si userà saggezza potrebbe accadere, al contrario, che questo passaggio bocciato dalla maggioranza serva ad aggiustare il percorso iniziato, sanandolo dai suoi limiti e dalle sue contraddizioni. La lettura del voto di domenica dice con chiarezza che la bocciatur della riforma è stata più netta nelle regioni del Sud e tra i giovani. La verità è che la c’è un disagio cronico che ha ormai raggiunto livelli tali da portare molti a ritenere che senza una discontinuità più drastica nulla di buono possa più accadere nella propria vita nella nostra amata Patria. Insomma in Italia nessuno può salvarsi da solo e la sfida del futuro deve riguardare e impegnarci insieme, coralmente, per remare assieme su la nave Italia in cui ci sia spazio per tutti e che la crescita il Pil si deve misurare anche dal benessere e dalla felicità delle persone e delle comunità. Se la risposta dovesse essere questa, il trauma del referendum potrebbe alla fine rivelarsi salutare. Speriamo.
Favria, 15.12.2016 Giorgio Cortese

La speranza la immagino come una strada nei campi dove: non c’è mai stata una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma. Perché quando le difficoltà mi dicono di rinunciare, la speranza mi sussurra nell’animo di provare ancora, perché ogni giorno mi si apre con nuove entusismanti sfide.

La tradizione della ghirlanda di natale.
Una delle decorazioni natalizie più usata per addobbare le case durante le feste di Natale è la ghirlanda di natale, tradizionalmente di forma rotonda e realizzata in legno, agrifoglio, stoffa e tanti altri materiali. La parola ghirlanda pare che derivi dall’antico franco guirlande ed ha una storia lontana, fin dai tempi antichi è stata simbolo di vittoria, basta pensare all’Impero romano dove gli atleti venivano adornati di corone di alloro che venivano poi appese anche alle porte di casa per segnalare le vittorie conseguite. La forma circolare della corona rappresenta l’eternità, un cerchio è senza inizio e senza fine. Nel caso di greci, la corona di Apollo come simbolo di un amore eterno per una dea. I Romani rappresentava e veniva data ai governanti dell’Impero. Per druidici e altre culture che utilizzava la corona, il cerchio simboleggiava una continuazione della natura che ha superato la linea del tempo degli esseri terreni. La ghirlanda veniva utilizzata anche presso i Germani pre –cristiani per placare nelle tribù l’arrivo del buio e portare buon auspicio, le famiglie, all’inizio di dicembre. Tra i barbari era tradizione di riunirsi intorno ad una ghirlanda all’interno della quale venivano poste quattro candele destinate ad illuminare la capanna fino all’arrivo della primavera. Secoli dopo, i cristiani, sulla scia del processo d’integrazione successivo alla nascita del Natale, fecero propria questa tradizione, utilizzandola per festeggiare l’avvento di Gesù, costante luce di speranza e verità. L’uso delle ghirlande decadde nei primi secoli del cristianesimo, ma ricomparve con la moda dei chapels de fleurs, in Francia, verso il 1100, dove uomini e donne delle classi ricche portavano talora ghirlande di fiori l’estate, di foglie l’inverno. Sorse allora una corporazione di chapeliers fleuristes, che ebbe a Parigi grandissima importanza. Nel 1250 anche in Italia si portarono ghirlande di fiori, e questa moda continuò per lungo tempo anche con penne o con corone d’oro e gemme. Nel XVI secolo, però, la ghirlanda di fiori decadde, detronizzata dalle ricche acconciature d’oreficeria, per ricomparire brevemente alla fine del Cinquecento, specie in Francia. Essa torna a trionfare come motivo ornamentale nel sec. XVIII, come guarnizione delle ampie vesti, nella decorazione, nell’oreficeria. Dalla fine del Settecento l’interpretazione fastosa di questo motivo, derivata dal Barocco, ritorna alla sua schietta semplicità e antica forma decorativa. Pare che sia proprio questa usanza ad essere stata ripresa in primis negli Stati Uniti, dove la ghirlanda di Natale è una decorazione molto popolare che si è poi diffusa anche in altri paesi, tra cui anche l’Italia. Diffusa in America da tempo, in Italia questa decorazione sempreverde ha preso piede soprattutto negli ultimi anni, complice la globalizzazione sempre più incalzante. Come ogni simbolo natalizio che si rispetti, anche la ghirlanda è al centro di numerose leggende, dove storia e mito s’intrecciano intimamente. Tra le più famose spicca un racconto di origine gernanica, dove si narra di una donna che, indaffarata con le pulizie la viglia di Natale, spaventò i vari ragni che vivevano lì intorno, tanto da farli scappare in soffitta. Durante la notte, però, sentendo il silenzio che li avvolgeva, i piccoli insetti decisero di uscire dal loro nascondiglio e notarono un bellissimo albero di Natale che riempiva il salotto. Felici ed estremamente eccitati, i ragni iniziarono ad arrampicarsi sul maestoso abete, ricoprendolo di fili bianchi e grigi. La loro festa, tuttavia, durò poco, perché allo scoccare della mezzanotte, Babbo Natale fece capolino nella stanza e, notando la patina chiara che ricopriva l’albero, decise di trasformarla in fili d’oro e d’argento e, per fare un dono gradito alla signora, creò una ghirlanda dai mille colori, che appoggiò sul camino. Da allora, tutte le famiglie utilizzano ghirlande vivaci per celebrare il Natale e ricordare la bontà di Babbo Natale. Una altra versione racconta un aneddoto che riguarda Gesù. Una vigilia di Natale, quando Gesù venne a benedire gli Alberi di Natale, notò che l’albero di una casa era coperto da ragnatele, tessute da strani ragni. Quando benedisse l’albero, Gesù trasformò le ragnatele in bellissime ghirlande d’oro e d’argento. Una curiosità, mentre molte persone appendono corone da loro porte, ci sono anche le corone che vengono utilizzate nelle celebrazioni di Avvento. Questa tradizione si diffuse in Germania e da lì si è diffuso in molti altri paesi. L’avvento segna le quattro settimane che conduce a Natale. Una candela è accesa la domenica di ciascuna di queste settimane. Tradizionalmente, le candele sulla corona sono viola e rosa, ma la maggior parte utilizzano i colori bianco o rosso per le loro candele. Non è un vero Natale senza una vera ghirlanda e di questa piccola verità ne sono consci tutti, grandi e piccini. Verde e decorativa, affissa al portone o sopra il caminetto, la ghirlanda natalizia dona immediatamente quel dolce sentore di festa in arrivo.
Buon S.Natale
Favria 16.12.2016 Giorgio Cortese

L’educazione non è un atteggiamento perduto, ma il suo non rispetto è una tradizione perduta.

Al mattino presto, in bagno, o al sabato mattina.
Premetto non so se è solo una mia impressione ma fatico sempre di più a concentrarmi e a volte ho la parola sulla puntadella lingua, mi sembra quasi di soffrire di temporanea disonimia che è la difficoltà o incapacità a richiamare alla memoria una parola corretta quando è necessaria. E allora compio un volo pindarico nel trovare un sinonimo oppure di passare senza dare nell’occhio ad un altro argomento. Un caro amico, per consolarmi mi ha detto che gli i individui normali soffrono di tanto in tanto di problemi riguardanti il richiamo delle parole. Mi ha anche detto che vagare con la mente è un riposo creativo che poi mi permette di affrontare con la mente riposata i quotidiani problemi. Personalmente cerco sempre, per quello che posso di tenere il cervello in Allenamento, leggendo e scrivendo dei pensieri ma perdo comunque la concentrazione. Nella vita quotidiana quando ho l’impressione che la mente si distragga ed i pensieri volano nella mente come agifi refoli di vento, in quel momento, non sempre mi si accende una lampadina a sostegno dell’unico neurone. Ma la scintilla che fa nascere l’idea di uno scritto come quello di asdesso da dove arriva? Forse è casuale ma la maggior parte delle volte, nel mio caso al mattino presto, in bagno o al sabato mattina mel prendere un caffè con gli amici. Sono attimi di tranquillità, ed è èroprio li che ho, a mio personale giudizio, quando sembrrea che la mente sia distratta, degli spunti ed idee interessati da sviluppare successivamente. Non sono un fottore ma ho l’impressione che in quei momenti il cervello ha un poco di tempo per trascorrere a pensare a tutto ciò cheho sperimentato, e su file dei ricordi si incrocia con altre miei esperienze e ricordi ed elabora nuove soluzioni ed idee. Gli anglosassoni chiamo questi luoghi dove si può pensare meglio le tre B, Bus, Bath, bed room, ovvero autobus, bagno e letto. Infatti i miei pensieri danno forma a delle idee ed i quei brevi attimi la mia mente sfila davanti a me in quei brevi attivi mi sento mentalmente libero, perchè lasciare liberi i pensieri fa parte del lavoro invisibile che svolgo durante la giornata.
Favria, 17.12.2016 Giorgio Cortese

Nella vita ritengo che ci voglia più umiltà nei momenti di successo che non in quelli di sconfitta. Con l’umiltà misuro la mia incapacità di comandare agli eventi e la mia umana fragiltà. Solo l’umiltà mi rende realmente umano!