E’ un missile, è Superman no è un falco pellegrino! -Domani! – Licofrone! – Oggi sono 62 anni! – Anno bisesto, anno funesto! – Marzo. – Chiamare l’erba… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

E’ un missile, è Superman no è un falco pellegrino! (fotografato in valle Soana) Rapidissimo, soprattutto in picchiata, il falco pellegrino è considerato l’animale più veloce in natura. Nei secoli gli uomini lo hanno adorato, temuto e purtroppo molto spesso anche sfruttato e perseguitato. Il falco pellegrino, Falco peregrinus, prende il nome dal piumaggio sul capo, che ricorda un copricapo scuro molto simile ai cappucci che, nel Medioevo, indossavano i pellegrini mentre compivano lunghissimi e impervi viaggi lungo le vie della devozione in tutta Europa. Questa specie può essere trovata ovunque nel mondo, fatta eccezione per le regioni polari e le altitudini troppo elevate. Di dimensioni non notevolissime, la sua apertura alare non supera di solito i 110 centimetri, è comunque un grande predatore, arrivando a cibarsi di anche di uccelli di medie dimensioni come i piccioni. A ciò contribuisce la sua straordinaria abilità di volo. Il falco pellegrino può infatti raggiungere i 320 chilometri orari, superando in velocità una macchina sportiva e staccando persino il ghepardo africano e la sua tecnica di caccia consiste nell’attacco in picchiata, spesso partendo da grandi altezze, sulla preda che si muove nello spazio sottostante. I falchi pellegrini sono animali tendenzialmente fedeli. Infatti, solitamente cercano un nuovo compagno solo dopo la morte del precedente. Il falco pellegrino, così come altre specie di falchi e anche di rapaci in generale, è associato alle vette del cielo e anche agli astri, in particolare al Sole. Questo viene soprattutto dalla mitologia egizia che identificava in Horus, figlio di Osiride e Iside, il dio solare per eccellenza. Anche se non è possibile stabilire con sicurezza a quale tipo di falco facessero riferimento i miti egizi, le ipotesi più condivise riguardano proprio il falco pellegrino, le cui piume scure sotto agli occhi, andando a formare una specie di mezzaluna, ricordano da vicino l’Occhio di Horus, importantissimo simbolo misterico legato a prosperità e sovranità. La sua venerazione si tramandò anche ad altre culture: per i Greci il falchetto era il messaggero di Apollo; secondo i popoli nordici, la dea Freya aveva un mantello di piume di falco che poteva trasportarla ovunque volesse; per molte altre popolazioni del mondo, dai Nativi d’America a quelle della Polinesia, era associato a capacità di conoscenza e divinazione. L’estrema abilità nella caccia, la versatilità e la grande capacità di apprendimento, oltre che naturalmente l’aspetto fiero ed elegante, hanno purtroppo reso il falco pellegrino l’animale più amato dalla falconeria. Sembra che fin dal 2000 a.C. in Mesopotamia, fosse diffusa l’usanza di assoggettare questi agili rapaci per usarli durante le battute di caccia tanto che se ne parla nella saga di Gilgamesh. E molto probabilmente è proprio in Medio Oriente che Federico II di Svevia ha appreso queste tecniche che riporterà nel celebre trattato De arte venandi cum avibus. Rapace temuto e rispettato proprio per la sua potenza e velocità nella caccia, il falco pellegrino è un uccello tenuto in grande considerazione, spesso anche con un certo timore reverenziale. La simbologia cristiana tende ad associare a questi rapaci vagabondi l’idea dell’anima errante e senza guida, ma in generale la letteratura medievale, così come per quasi tutti gli animali che, volando alti in cielo, arrivano più vicini a Dio, lo tratta con chiaro rispetto. Dante nella Divina Commedia lo cita nel XIX canto del Purgatorio, lo paragona a sé stesso che fino ad allora aveva guardato in basso e invece ora è pronto a sollevare lo sguardo. Ma il fascino del falco pellegrino non si ferma e arriva ad influenzare anche la cultura popolare fino ai giorni nostri, dal cinema alla poesia. Il falco maltese, romanzo di Dashiell Hammett diventato celebre grazie al film del 1934 con Humphrey Bogart, ruota attorno al furto di una statuetta di falco che diventa simbolo di mistero e pericolo. Nell’immaginario comune più recente ricordiamo il classico Disney del 1998 Mulan in cui comparire ancora una volta un falco come fedele animale del temibile re degli Unni Shin Ya, e ancora il film animato Zambesia del 2012 in cui il falco pellegrino è invece il protagonista eroico e positivo. Amato, adorato, il falco pellegrino è però spesso stato anche perseguitato, durante la seconda guerra mondiale ad esempio, il governo inglese tentò un’eliminazione programmata della specie perché prendeva di mira i piccioni viaggiatori utilizzati per comunicare con la Resistenza francese. Chi ama davvero gli animali selvatici e tutta la natura non può che rimanere affascinato dal suo volo fulmineo, elegante e sfuggente, il falco pellegrino merita la nostra massima attenzione.
falco_pellegrinon.d.r. falco pellegrino fotografato nelle alture di Ingria
Favria, 26.02.2020 Giorgio Cortese
Domani!
È bello sentirsi dire “a domani”. Non sai come sarà domani, ma sai che c’è qualcuno pronto ad affrontarlo con Te. Sono certo che domani sarà un giorno speciale, o magari lo speciale è solo il normale che c’è oggi. Rifletto che il migliore messaggio che mi manda il futuro è di imparare a vivere il presente. Viviamo il presente come se fosse l’ultimo giorno e unico. La vita è meravigliosa e vale la pena combattere ogni giorno, ogni momento per renderla migliore, perché sia speciale. Nella mia mente alla sera prima di addormentarmi, tra le parole che profumano di passato regna un silenzio che può servire al presente. Sul domani non cala mai il sipario della vita, la mia speranza lo rende un infinito senza limiti nell’attesa che passo nella notte. Domani, l’oggi si prepara a rivivere sotto nuovi scenari nuove strade da percorrere. Al mattino mi dico sempre avanti, c’è da conquistare il futuro, dietro è rimasta l’esperienza, al presente c’è una vita da vivere.
A domani!
Favria, 25.02.2020 Giorgio Cortese

Nella vita incontro delle persone creative che sanno unire elementi umani con connessioni nuove ed utili

Nella vita quotidiana ogni pensiero positivo può aprire la porta della felicità.

Licofrone!
Nella mitologia greca, Licofrone era uno dei guerrieri che parteciparono alla guerra di Troia, il conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena, figlia di Zeus, da parte del troiano Paride. Licofrone, figlio di un certo Mastore o Mestore, era originario dell’isola di Citera, attuale Cerigo, situata a sud del Peloponneso, in prossimità del limite tra Mar Ionio e Mediterraneo orientale. Nella città natale commise un grave delitto, uccidendo un uomo. Le cause di questo gesto non sono abbastanza chiare e Omero non spiega se tale omicidio avvenne volontariamente, per esempio, in seguito ad una rissa, o involontariamente. Macchiato dal delitto, il giovane fu costretto a chiedere asilo lontano dalla sua patria, presso l’isola di Salamina, nel mar Egeo. Qui venne accolto ospitalmente da Telamone, sovrano dell’isola, e dai suoi figli Aiace Telamonio e Teucro. Il nuovo arrivato ricevette nella città gloria e considerazione, divenendo ben presto intimo amico di Aiace, e suo scudiero. Fu senza dubbio, anche se nell’Iliade non viene detto esplicitamente, anche fedele amico dell’arciere Teucro. Alcuni anni dopo, in seguito allo scoppio della guerra di Troia, Licofrone accompagnò l’amico Aiace in Troade, assistendolo durante i combattimenti, nel corso dei dieci anni di guerra. La prima e ultima comparsa del personaggio avviene nel libro XV dell’Iliade nel corso del combattimento avvenuto presso le navi achee. Insieme al suo signore, Licofrone combatté con tenacia contro i Troiani che, guidati da Ettore, avevano ormai raggiunto le navi per dar loro fuoco. Aiace, campione della resistenza achea, trafisse Caletore, il primo troiano ad avventarsi contro le navi per bruciarle, ma Ettore non arretrò di fronte all’attacco, ma al contrario scagliò la sua lancia contro l’avversario sperando di colpirlo. Il colpo non centrò Aiace, ma colpì invece Licofrone, il quale era in piedi, proprio accanto a quest’ultimo. La lancia lo colpì alla testa, sopra l’orecchio, uccidendolo sul colpo. Il suo cadavere crollò giù dalla poppa della nave sulla quale era salito per difenderla dai nemici. Alla vista dell’amico morto, Aiace ebbe una scossa di terrore e, rivoltosi al fratello Teucro, in piedi al suo fianco, disse: “Teucro amato, c’è stato ucciso un compagno fedele, il figlio di Màstore, che da Citera venne a stare con noi, e nel palazzo l’onoravamo al pari dei genitori: l’ha ucciso il magnanimo Ettore.”. L’eroe consigliò al fratello di prendere le sue infallibili frecce “che danno rapida morte”, dono dello stesso dio Apollo. Obbedendo ad Aiace, il giovane arciere le utilizzò nel tentativo di vendicare la morte di Licofrone: tale occasione gli si presentò alcuni minuti dopo, quando stette per centrare Ettore con la sua infallibile saetta. L’arma venne tuttavia deviata da Zeus stesso, che non voleva ancora la morte dell’eroe troiano.
Favria 27.02.2020 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno amo leggere, amo scrivere e provo entusiasmo per qualsiasi cosa mi faccia crescere e non mi stanco mai di ascoltare per imparare.

Oggi sono 62 anni!
Oggi festeggio il mio 62º compleanno, non mi sembra vero il tempo è veramente tiranno, questi anni sono volati in un attimo, ricordo come se fosse ieri gli anni della mia gioventù, spero con tutto il cuore di avere la possibilità di festeggiarne tanti altri con l’augurio di essere in buona salute e questo è il regalo più bello che desidero. Ed oggi io ci arrivo con la splendida frase di Bob Dylan:”And may you stay forever young.” Che poi siano 30 o 40 o 62 poco importa. Importa come ci si sente. Importano gli amici. Importa l’amore. Importa la famiglia, quella di sangue e quella allargata. Importa che ho un sacco di cose da dire, un’opinione, un pensiero critico. Importa che non mi voglio fermare. Importa questo presente di cui domani poco importerà! Auguri a me e a tutti voi e personalmente non ho dispiaceri di ciò che non ho potuto fare, ma sono solo rammaricato di quanto potevo di più e non ho voluto!
Grazie di cuore a tutti Voi che mi leggete. I nati il 28 febbraio famosi sono Dino Zoff che è stato indubbiamente uno dei migliori portieri del mondo e a detta di molti proprio il migliore. Michel de Montaigne, viaggiatore filosofo e moralista. Gabriella Carlucci conduttrice televisiva, Ernest Renan, filosofo, filologo e scrittore francese. Moise Kean giocatore di calcio. Lucia Valerio, considerata la più grande tennista italiana del passato. Ma per me i veramente famosi sono i miei amici e conoscenti, nati in anni diversi il 28 febbraio e che personalmente conosco: Laura, Oronzo, Marita. Giovanna, Luigi, Maurizio, Dario e Renato che ne dite formiano un club? Ps per chi vuole aggiungersi mi lasci cell o mail!
Cuorgnè, 28.02.1958- 28- Favria, 28.02.2020 Giorgio Cortese

Se mi paragono agli altri, corro il rischio di far crescere in me orgoglio e acredine, perché sempre ci saranno persone più in basso o più in alto di me, cosi è la vita.

Anno bisesto, anno funesto!
L’anno bisestile ha una cattiva fama già nell’antica Roma e sono fioriti su questo anno, che cade ogni 4 anni proverbi e modi di dire che l’anno in cui si aggiunge un giorno a febbraio è un anno sfortunato e portatore di tragedie e sventure, insomma anno funesto, anno funesto. Questa cattiva fama nasce che per gli antichi Romani il mese di febbraio era detto Mensis Feralis, il mese dedicato ai morti ed ai riti funebri, insomma un mese poco allegro, ed era l’ultimo mese dell’anno che nasceva a marzo con l’arrivo della primavera. A febbraio i Romani celebravano le Terminalia, dedicate a Termine, dio dei Confini, e le Equirie, gare che avevano la funzione di ricordare e simboleggiare la conclusione di un ciclo cosmico quindi, in definitiva, due simboli della morte e della fine. Alla cattiva fama che proviene dall’antichità dobbiamo anche aggiungere una giustificazione anche psicologica, perché l’anno bisestile è un anno diverso e fuori dal comune, capita infatti ogni quattro anni. E allora come essere umani eventi poco comuni incutono a noi esseri umani paura o meglio preoccupazione. Queste paure e superstizioni sull’anno bisestile sono scientificamente ingiustificate anche se in diversi anni bisestili sono avvenute delle catastrofi ed epidemie. Per citare eventi luttuosi legati agli anni bisestile basti ricordare quando il 29 febbraio del 1960 un terremoto colpì la città di Agadir, in Marocco, uccidendo un terzo della sua popolazione o nel 1976 il Friuli fu colpito da un forte terremoto. Poi chi non ricorda lo tsunami che si scatenò nell’Oceano Indiano nel 2004 e per puro caso il 2012era stato identificato con l’anno nel quale sarebbe avvenuta la fine del mondo da parte dei Maya. Ma ricordiamoci, pensando positivo i celebri nati il 29 febbraio come Papa Paolo III e Gioacchino Rossini e nel 1932 a New York, Reri Grist, il primo soprano di colore. Meno nota oggi, ma star internazionale della sua epoca. Fu la prima Consuelo nel cast originale del classico di Leonard Bernstein West Side Story nel 1957, rendendo celebre il brano Somewhere. E tra i vivi? Una curiosità. Oggi sono molti meno i nati del 29 febbraio appartenenti al mondo della cultura, molti di più gli sportivi, chissà da cosa dipende? Negli anni ordinari i nati il 29 febbraio, festeggiano il compleanno il 28 febbraio o il 1 marzo, a loro discrezione, e sembrano essere accompagnati da una buona stella nella loro vita. Ed infine una antichissima tradizione irlandese narra che le donne possano dichiarare il loro amore all’uomo amato solo il 29 febbraio e che a loro debba essere riservato un dono, soprattutto in caso di rifiuto. Come si vede non è solo anno bisesto anno funesto e triste quello che gli viene appresso.
Favria 29.02.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana le belle persone restano sempre belle, anche se passano gli anni e se sono stanche e con le rughe. La bellezza che è dentro di noi non invecchia mai e diventa con gli anni più fragile e preziosa. Le belle persone non smettono mai di brillare e illuminare il quotidiano cammino

Marzo.
Il terzo mese dell’anno prende il nome da Marte, dio romano della guerra, era usanza, infatti, iniziare le guerre proprio in questo periodo. Ma, secondo il calendario romano, era anche il primo mese dell’anno, quello in cui tutto comincia, con la primavera per quel che riguarda le stagioni e poi, con l’avvento del cristianesimo, con l’annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria. Un mese pieno di vita e di lotte, ma anche un po’ bislacco per via del tempo sempre mutevole, come la vita, appunto.
Favria, 1.03.2020 Giorgio Cortese

Marzo, mese di attesa. Le cose che ignoro sono in cammino…

Chiamare l’erba 1 marzo
All’inizio di marzo si collocano quei rituali, un tempo diffusi che passano sotto i nomi di “ciamà l’erba”. Si tratta di una forma di propiziazione primaverile: l’inverno sta per finire e in una società agro – pastorale, in cui il sostentamento dipende – o meglio dipendeva – dalla riuscita del raccolto e dalla possibilità di pascolo per il bestiame, la comunità attua alcune strategie per tutelarsi dalla negatività. Le forme del rito sono diverse, ma generalmente accomunate dal percorrere le vie del paese al suono di campanacci o di oggetti metallici percossi. L’usanza di chiamare l’erba si riallaccia probabilmente agli antichi riti propiziatori della primavera, al culto della Terra, fonte e principio di vita. Nei primi giorni di marzo i giovani giravano per i prati che attorniano le varie borgate di Favria, suonando campanacci e campanelle, per svegliare la natura ancora addormentata. Il testo di quanto cantavano era in sintesi questo:” Di marzo o di aprile l’erba e la foglia deve venire, deve venire sul mio prato, che mio padre deve falciare , la mia mamma deve rastrellare, e mio fratello la deve portare nel fienile… E’ questa la tradizionale filastrocca che recitavano per aiutare l’erba a crescere. Sarebbe bello che venisse tramandata per non perdere un pezzo della nostra cultura popolare.
Favria, 2.03.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno, quando mi sveglio penso sempre a quanto oggi sono fortunato perché mi sono svegliato, sono vivo, ho una preziosa vita umana, non la sprecherò. Userò tutte le mie energie per migliorarmi, per aprire il mio cuore agli altri, avrò per gli altri parole gentili e non pensieri cattivi e non mi arrabbierò, ma cercherò di far più bene che posso.