Da calepino a cellulare. – La vita è… – Dai Micheletti a fare il Michelaccio – Ditelo con i fiori. – Candidiamo il Canavese per le Olimpiadi?… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Da calepino a cellulare.
Il calepino è il nome dato a una serie di vocabolarî latini, con traduzioni in varie lingue moderne, modellati sul dizionario latino compilato nel 1502, e poi più volte rifatto, dall’umanista bergamasco Ambrogio da Calepio o Calepino nato nel 1440 e morto nel 1511. Questo strumento quando iniziò a diffondersi incontrando grande considerazione. Era allora non solo un dizionario che traduceva in italiano le parole erudite latine ma una enciclopedia. Il calepino nacque per i meno colti, e alla traduzione del termine, il monaco allegava anche delle spiegazioni. Il calepinpo contava ben 20.000 voci, elencate si in ordine alfabetico ma con la genialità non solo della lettera iniziale, ma bensi delle prime tre o quattro lettere di ogni voce. Allora non esisteva il cellulare ma il calepino dava notizie sia sulla teologia, letteraturara, matematica, storia, astronomia e biologia ed anche in altri ambiti. La sua diffusione fu possibile grazie all’invenzione della stampa in caratteri mobili di Gutemberg progettata a magonza trta il 1430/ 1440. Oggi il lemma viene usato in forma scherzosa per indicare un grosso vocabolario antiquato, vecchio o malandato, specialmente di latino oppure un grande sapientone ma come sinonimo di sciogli dilemmi
Favria 26.09.2016 Giorgio Cortese

È necessario addestrare il pensiero alla delicatezza, perché le parole ignobili sono figlie della mente.

La vita è…..
Secondo quella penna velenosa di Oscar Wilde la vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri. Lo spreco della vita è nell’amore che non saputo dare e nella indifferente prudenza, se poi perdo tempo per gli altri per aiutarli a realizzare i loro sogni, io a volte lo trovo un tempo che rimane eterno. Sprecare la propria vita, che pare essere una sola, fino a prova contraria, è davvero un peccato. Forse sono in molti a credere e a raccontare a se stessi che stanno vivendo bene, felici, sereni, senza troppe preoccupazioni. Nel corso della nostra giornata utilizziamo inevitabilmente il nostro tempo in una serie di attività diverse. Alcune di queste ci richiedono soltanto un breve spazio temporale, come 15 o 30 minuti. Tuttavia, lungo il corso di un anno o più, queste piccole porzioni di tempo possono rappresentare un lasso di tempo piuttosto considerevole. Per esempio dedicare ogni giorno ad un’attività per 30 minuti per la durata di 5 anni significa che nel corso di quei 5 anni avrò dedicato a quella attività circa 20 giorni interi, giorno e notte. Non è poco, no? Osservare da una prospettiva a lungo termine il modo in cui gestisco il mio tempo mi aiuta nel prendere le mie decisioni ogni giorno. Insomma io sono l’unica persona responsabile di creare la mia vita. Soltanto io posso creare la vita dei miei sogni e posso decidere anche quando cambiare rotta. Ricordadomi sempre che io non solo il mio curriculum, sono il mio lavoro e ogni giorno niente viene da solo ma devo sempre continuamente alimentare il mio animo di cose belle e buone che mi ispirano e fanno sempre scattare la scintilla della creatività e dell’innovazione. Ogni giorno la sfida è quella di trovare soluzioni inattese a problemi ovvi, oppure trovare soluzioni ovvie a problemi imprevisti. Ma purtroppo non c’è apprendimento senza provare tante idee e fallire altrettante volte sempre consapevole che se il timore avrà sempre più argomenti, io scelgo sempre la speranza pensando a lungo termine. E poi come diceva C. Bukowski: “C’e ne sarebbero di cose da dire nel mondo, io mi limito a quelle più semplici, piacere ed arrivederci”.
Buona giornata
Favria 27.09.2016 Giorgio Cortese

La chiave dell’immortalità è prima di tutto vivere una vita che meriti di essere ricordata

Dai Micheletti a fare il Michelaccio
Michelaccio è il peggiorativo del nome Michele, assunto a simbolo del fannullone, del vagabondo, nell’espressione fare l’arte, o la vita, di Michelaccio, spiegata dalla frase che di solito le si fa seguire: mangiare, bere e andare a spasso; o anche, mangiare, bevere e andare a sollazzo, antica attestazione, in rima con una variante veneta Michelazzo. Il modo di dire potrebbe ever preso spunto dal nome del fiorentino Michele Panichi che da giovane aveva guadagnato un discreto gruzzolo, ma ritiratosi presto dal lavoro, non faceva più nulla tutto il giorno dedicandosi agli sport, alla tavola e alle chiacchiere e per questo divenne simbolo di fannullone, mangione e bighellone, oppure da Miquelot de Prats, un catalano del XVII secolo che ha fondato i Micheletti in spagnolo Miqueletes o Migueletes truppe irregolari della Catalogna. Questo Miguel o Miquelot de prats era un mercenario Catalano, Capitano al servizio di Cesare Borgia. Questi soldati godettero di una certa importanza nelle guerre minori della Spagna durante il XVII E IL XVIII, mentre in pace sembra che saccheggiassero facoltosi viaggiatori. Nella guerra di Successione Spagnola i Micheletti continuarono la lotta contro la Francia anche quando la pace fu dichiarata formalmente e nei Pirenei il termine assunse il significato di brigante e sono citati più volte nel XIII e XVI capitolo dei Promessi Sposi. Durante la “guerra peninsulare” riuscirono a perseguitare con successo gli invasori francesi nelle montagne della Catalogna. Qualche volta tentarono operazioni con tanti uomini, come a Girona nel nel 1808 e nel 1809.
Favria 28.09.2016 Giorgio Cortese

“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”! Mai un semplice detto fu più saggio. Nessuno ti ascolterà mai se non ha interesse nel farlo. Nessuno capirà mai se non ha voglia di farlo. Puoi metterci tutto il cuore che vuoi, tutta la buona volontà e fino all’ultima goccia di pazienza, ma fidati chi non ha altrettanto cuore per comprendere, volontà per capire e pazienza per ascoltare sarà come se tu non avessi mai parlato.

Ditelo con i fiori.
Ogni giorno sui media si legge sempre di più di notizie di cronaca nera, di scandali e di polemiche e leggere che un concittadino ha rischiato una denuncia perché raccoglieva dei fiori nelle aiuole altrui per far felice la moglie mi ha fatto pensare che nell’era di internet il romanticismo non è morto dalla freddezza degli sms ed impersonali mail. Il fatto è insolito, ritengo che è molto tenero e umano in questa nostra società sempre di più senza morale ed inumana. Invece di scrivere messaggi sul cellulare con faccine e fiori finti per fare felice la moglie gli portava fiori veri, freschi e profumanti. Ma il bel gesto è stato compiuto anche dalla propretaria del giardino che una volta compresa la struazione ha evitato di denunciarlo ai carabinieri, dimostrando di avere un grande cuore. Questo fatto insolito mi ha fatto ritornare in mente il motto della Society of American Florists “Say it with flowers”ditelo con i fiori, slogan divenuto famoso in tutto il mondo. Dove non arriva la parola, da sempre, può arrivare un fiore e l’usanza di comunicare messaggi e sentimenti con i fiori è nata, a quanto pare, nell’Ottocento. All’epoca, invece di inviare un sms, una chat o una mail, si potevano spedire in numero in numero pari all’ora in cui si desiderava ottenere un appuntamento ed attendere, fiduciosi, la persona amata. La simbologia poteva poi essere più raffinata e includere colori e varietà differenti che , grazie ad una cultura della conoscenza dei vari significati, potevano essere facilmente interpretati. Da sempre, i fiori sono uno dei messaggi più potenti e diretti, tant’è che si parla di “linguaggio dei fiori”. Non c’è fiore che non abbia un suo significato, che non sia simbolo o metafora di un aspetto della realtà. Certo i fiori non hanno certamente un’anima come la nostra, ma sarebbe sciocco supporre che sia poca cosa o niente, visto che nessuno ha mai parlato con un fiore e raccolto le sue confessioni o compreso i suoi pensieri. Nel suo capolavoro, Il Genio del Cristianesimo, Chautebriand ha scritto: “la corolla del fiore dà il miele alle api: è la figlia del mattino, l’incanto della primavera, la sorgente dei profumi, la grazia verginale, l’amore dei poeti. Trapassa presto come l’uomo ma rende dolce le sue foglie alla terra” , insomma magnifico e poi San Giovanni della Croce considerava i fiori immagine delle virtù dell’anima, raccolte nel mazzolino della perfezione spirituale. Un fiore n fiore è breve, ma la gioia che dona in un minuto è una di quelle cose che non hanno un inizio o una fine. Nel mondo i pittori, musicisti, e letterati dei fiori si sono innamorati perché i fiori parlano al nostro cuore senza bisogno di parole. I fiori possono anche divenire simbolo di rivoluzioni pacifiche, ricordiamo la Rivoluzione dei garofani che scalzò il regime autoritario del dittatore Salazar in Portogallo nel 1974, o di prese di posizione antiviolenza ed antibellica ( I Giganti al Festival di Sanremo del 1967 cantavano “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”) od anche essere elemento essenziale ed insostituibile ( “Ci vuole un fiore” era il ritornello di una famosa canzone di Sergio Endrigo). E come dimenticare Where have the flowers gone di Pete Seeger, una delle più belle canzoni antimilitariste mai scritte? Concludo con questo proverbio Turco che ben si adatta all’episodio: “Chi non ha pane, ma compera fiori, è un poeta”e allora questo mio ignoto concittadino ha nell’animo una grande poesia, così come chi lo ha perdonato. Ad entrambi dono porgo simbolicamente un mazzo di fiori
Favria, 29.09.2016 Giorgio Cortese

Sono le cose lasciate a metà che ti fanno avere fame e nostalgia della loro interezza.

Candidiamo il Canavese per le Olimpiadi?
Dopo il NO del Sindaco di Roma alla candidatura per le Olimpiadi 2024, mi domando visto la capacità e senso del territorio dei Sindaci Canavesani di provare a lavorare per un progetto che unisca tutti e allora, perché non rilanciare la proposta di candidare il Canavese alle Olimpiadi del 2028. Questo perché il Canavese possa diventare il principale luogo in cui costruire politiche di accoglienza, cultura, solidarietà, fratellanza. Sono rimasto perplesso sul fatto che qualcuno possa far ritenere che i rischi di corruzione non giustifichino un’opera. Perché, fino a quando noi ci ritireremo per la paura, rischieremo di non diventare mai un Paese normale. Invece dobbiamo fare in modo che tutto questo non si verifichi, le sfide nella vita si affrontano. E allora se tutti i Sindaci del Canavese fossero coesi ci sarebbe la possibilità di avere un ritorno economico di infrastrutture di cui adesso siamo carenti per fare ripartire il resto dell’economia industriale nel territorio. A differenza di chi dice sempre no proviamo almeno a partecipare con onore, nello spirito del barone de Coubertin, poi vincere, beh questa gara la giocheremo in trasferta e si vedrà
Favria Giorgio Cortese
Favria 30.09.2016 Giorgio Cortese

Che stupore ogni giorno quando non aspetto più niente e nessuno, che le cose accadono, la vita mi sorprende sempre