Chicchiricchi!- I tre arroganti-Benvenuto Settembre- Arrossire, erubescente ma non rubbio!- La nociva striscia gialla-Res Gestae Favriesi, il pèilo: stufa o chiavistello…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Chicchiricchi!
Il Cantico del Gallo Silvestre fa parte delle Operette Morali di Giacomo Leopardi, scritte tra il 1824 e il 1835. Nel Cantico del Gallo Silvestre viene mostrato l’antagonismo tra Speranza e Verità e, nella visione del Leopardi della maturità, non può che vincere la Verità, la Luce. Ma cosa racconta l’operetta in questione? Il Leopardi ci dice di aver tradotto da una pergamena un canto scritto in lettera ebraica, e in lingua tra caldea,un cantico intitolato, Cantico mattutino del gallo silvestre. Ci racconta che un tempo esisteva un gallo che, poggiando i piedi sulla terra e la testa verso il cielo, cantasse il suo canto agli uomini: Su, mortali, destatevi. Il dì rinasce: torna la verità in sulla terra e portandosi via le immagini vane. Leopardi non sa dire se questo gallo cantasse ogni mattina o avesse cantato una sola volta, ma il canto arriva insieme al ritorno del giorno, del mattino; il ritorno alla vita dopo una nottata trascorsa a dormire. In queste mattine di Estate sento all’alba il canto del gallo che mi dona una gioiosa sveglia. La credenza che il gallo canti al sorgere del sole deriva da un mito dell’antica Grecia, una leggenda narra che a quei tempi, Ares si era invaghito di Afrodite e approfittando dell’assenza del marito di lei, Efesto, aveva organizzato un incontro di passione clandestino. Per evitare però che qualcuno scoprisse gli amanti fedifraghi, Ares incaricò un suo compagno, Alectryòn, il nome greco del gallo, di vigilare. Questi si addormentò e così Elios mentre saliva col suo carro per un nuovo giorno vide i due amanti in preda alla focosa passione. Elios, che non si faceva gli affari suoi, riferì ad Efesto quanto aveva visto. Il dio meditò una scaltra vendetta e allora costruì delle catene sottilissime come ragnatele che avrebbero imprigionato i due amanti. Le sistemò nella camera della moglie e finse di partire. Ares ed Afrodite si incontrarono di nuovo, ignari della trappola. Ancora avviluppati dalla passione furono imprigionati dalla rete, e così colti sul fatto da tutti gli dei chiamati ad assistere al trionfo di Efesto. Ares infuriato trasformò Alectryòn in un gallo che da allora non smette di segnalare l’arrivo del sole “perfido”. Certo che nella civiltà contadina prima delle sveglie, prima delle campane e dei cellulari, era il gallo a ricordarci ogni mattina che era tempo di svegliarsi. Ma come fanno questi uccelli a sapere quando è esattamente il momento di cantare? Secondo dei ricercatori giapponesi la produzione di queste vocalizzazioni non sono stimoli esterni, come la variazione di luce dovuta al sorgere del sole, ma un meccanismo innato basato sull’orologio biologico dell’animale. Per gli animali le vocalizzazioni sono l’unico sistema di comunicazione possibile. In molti paesi il verso chicchirichi è il simbolo stesso del sorgere del sole, spiega Yoshimura. Dall’esperimento è emerso inoltre che questo orologio interno non influenza solo la produzione del canto mattutino dei galli, ma anche il volume dei versi emessi durante l’intera giornata in risposta ad eventi esterni, come il canto di altri galli. E’ stato osservato che l’intensità del richiamo varia a seconda dell’oggetto trovato, per un verme della farina il grido è molto intenso, per un guscio di noce è minimo. Quasi sempre nel caso del gallo, il segnale sonoro è comunque rivolto ad una gallinella, in caso di ritrovamento di cibo in compagnia di esemplari dello stesso sesso, non emette nessun segnale. È inoltre capace di manipolare le informazioni per attirare l’attenzione della femmina, per esempio segnalare buon cibo davanti ad un cibo modesto. Il suo grido al sole quindi è piuttosto un ” ragazze sono qui! correte a guardarmi! Presto presto! E’ quindi corretto il detto: “Non fare il galletto” o “fà il galletto” riferito a quegli esemplari maschili di razza umana molto intraprendenti con gli esemplari femminili. Serviranno ulteriori esperimenti dunque per comprendere a fondo i meccanismi che guidano la produzione di questi versi, una forma di vocalizzazioni, spiegano i ricercatori, che a differenza delle capacità linguistiche umane, apprese durante l’infanzia, è invece programmata geneticamente, e di cui si sa ancora poco. Il chicchirichì imita in italiano il canto del gallo, e il canto stesso ma curiosità è anche il nome dell’ornamento di tela bianca pieghettata, detto anche crestina, che le cameriere portavano in testa, specialmente nel passato. Il canto del gallo nel suo pollaio mi ricorda che nella vita per essere felici non serve fare i salti mortali, basta condividere attimi in compagnia di chi ci apprezza così come siamo w poi non importa nascere in un pollaio perché siamo tutti possiamo diventare degli splendidi cigni.
Favria 30.08.2016 Giorgio Cortese

La pigrizia prende spesso in prestito il nome di riposo, ma è anche vero che la felicità vera è nel riposo e non nel trambusto.

I tre arroganti
La serata era calda e tranquilla, come sono le sere d’estate nel mese di agosto. Ero a casa di amici a parlare seduto sulle sedie fuori casa quando sono arrivati quei tre tipi arroganti e fastidiosi. Sono arrivati a casa di queste persone attratti dalla luce ma con il dichiarato scopo di seminare il panico. In pochi attimi ci siamo ririrati un buon ordine in casa. Poi il padrone di casa con un moto di sussulto ha dettoa tutti noi che non potevano rimanere ostaggio di quei tre soggetti che dominavano il cortile ormai deserto ed abbandonato da tutti noi. Ci siamo guardati negli occhi e siamo usciti determinati di mettere fine a questa loro arrogante dittatura. Forse avete capito chi erano questi pericolosi soggetti. Erano tre grossi calabroni, riconoscibili per le grosse dimensioni e per la tinta rossiccia della parte anteriore del corpo con il loro sordo e cupo ronzio. Noti anche come killer della api. Questi insetti carnivori piomabano sulle inermi ed operose api bottinatrici, le atterrano e gli spezzano le ali e le zampe per poi masticarne il torace, ricco di proteine per la presenza dei muscoli del volo, polline e propoli ed infine afferrano la pallottola della fu ape con le mandibole e la portano alla vorace prole. Per avere la meglio su questi tre calabroni, visto che erano attirati dalla luce, il padrone di casa ha provveduto a spegnere tutte le luci e ad attirarle verso la tavernetta dove c’era una robusta zanzariera. Da li dentro si è sviluppato un forte fascio di luce e loro si sono avvicinati. Da dentro è stato spruzzato un banale insetticida ecologico costituito da miscele di oli essenziali ed estratti di piante officinali. Certo, questo blando insetticida per loro, non li ha uccise, ma momentaneamente confuse ed intontite, dato che il prodotto era leggermente oleoso. I calabroni sono caduti per terra e per loto è stata la fine, sono state schiacciate ed il pericolo passato. Il giorno dopo sono passato da questo mio amico e vicino alle piante da frutto vera leccornia per i calabroni ho notato appeso agli alberi delle bottiglie di vetro, di birra vuote, sul bordo del collo della bottiglia ha messo dello zucchero e dentro per un terzo della bottiglia una miscela di acqua, zucchero e birra. Mi ha detto che è un vecchio rimedio ecologico, cattura i calabroni e non usa prodotti chimici che inquinano tutti noi, magari ci salvano dai calabroni ma non dalle controindicazioni della tossicità del prodotto per i esseri umani e per l’ambiente che ci circonda. Oggigiorno l’inquinamento è causato dalla nostra umana stupidità. Sui media si legge che ci sono tanti tipi d’inquinamento: del suolo, dell’acqua e dell’aria. Sento parlare di questo disastro sui giornali o al telegiornale. Ma la sostenibilità della vita, il preservare il mondo per le future generazione avviene grazie alle persone che mi onoro come amici che con semplicità hanno debellato i tre arroganti senza che la soluzione fosse più pericolosa del problema. Se tutti quanti facciamo il proprio dovere come queste persone l’ambiente sarebbe pulito e la qualità della vita ne trarrebbe giovamento
Favria, 31.08.2016 Giorgio Cortese

La realtà è il più abile dei nemici. Lancia i suoi attacchi contro quel punto del mio animo dove non ho preparato forti difese.

Benvenuto Settembre
Il nome Settembre deriva dal latino Septembris, che indicava il settimo mese del Calendario Arcaico romano. Nell’antica Roma, durante i sette re, Septembris era appunto il settimo mese del calendario e contava 31 giorni e nel calendario della Repubblica Romana, successivamente ne contava 29 giorni. In seguito nel calendario Giuliano, divenne il nono mese del calendario e contava 31 giorni. Poi con il calendario Augusteo, sempre come nono mese ma con 30 giorni. La tradizione romana dedicava questo mese a Vulcano, dio del fuoco e della lavorazione dei metalli, protettore del focolare. Settembre per gli ebrei Elùl, dal babilonese Ululu, è il dodicesimo e ultimo mese del calendario, dura 29 giorni e il primo del mese non poteva mai cadere martedì, giovedì o sabato. Per i musulmani Rajab è il settimo mese del calendario, conta 29 giorni e va da Agosto a settembre, mentre Sha’ban, ottavo mese, dura 29 giorni e va da Settembre a Ottobre. Rajab è uno dei mesi sacri in cui ogni azione ostile è proibita. Per i persiani Shahrivar, sesto mese, dura 31 giorni e andava da Agosto a Settembre, mentre Mehr, settimo mese, aveva 30 giorni e andava da Settembre a Ottobre. Per i celti Edrinos, tempo delle emissione delle sentenze, durava 30 giorni e andava da Agosto a Settembre, mentre Cantlos, tempo delle canzoni, dodicesimo e ultimo mese del calendario celtico, andava da Settembre a Ottobre e contava 29 giorni. Durante la Rivoluzione Francese il 22 Settembre a cavallo tra Fruttidoro e Vendemmiaio, si festeggiava il Capodanno rivoluzionario. Se penso a Settembre penso al mese dei colori , dei profumi, degli ultimi frutti estivi. A Settembre i frammenti d’estate sembrano non volersene andare però noto nell’aria nuove e più tenui atmosfere e più fresche temperature. Amo Settembre per i suoi colori davvero unici, soft e avvolgenti, per la sua aria dolce e malinconica, ma anche tanto romantica. Guardo avanti, riprendo il mio cammino, e mi sento pervaso da un alito caldo di felicità e il sguardo abbraccia un nuovo giorno ed un nuovo orizzonte. Benvenuto settembre dalle ancora calde giornate e dai sfavillanti colori
Favria, 1.09.2016 Giorgio Cortese

Le mie quotidiane decisioni determinano ciò che divento e dove vado nella vita

Arrossire, erubescente ma non rubbio!
La strana e poco usata parola erubescente significa che diventa rosso, una persona che arrossisce, deriva dal latino erubescens, participio presente di erubèscere arrossire, derivato di rubèsco, divento rosso, rubeo, ‘essere rosso, rosseggiare, che deriva sempre dal latino ruber , rosso. Come detto una parola poco comune che in questo periodo dell’anno diventa essenziale, ora che i pomodori sono erubescenti. Per comprendere questo termine va capito che cosa sia un verbo incoativo: sembra una parolaccia ma non lo è. È un verbo che indica l’inizio di un’azione: se in latino rubeo vuol dire ‘sono rosso, rubesco invece significa, inizio ad essere rosso, infatti in latino era il suffisso -sco a caratterizzare questi verbi incoativi – e tale suffisso facilmente permane nel passaggio in italiano. Quindi l’erubescente è ciò che in questo momento sta diventando rosso. È un termine che sempre meno viene applicato a persone e cose, ormai poco arrossiscono di vergogna.. Infatti indica un’azione lieve, che male si adatta, ad esempio, al diventare rossi di rabbia. Al massimo si può parlare dell’atleta erubescente dopo lo sforzo fisico, ma solo se vogliamo mettere una certa delicatezza nella descrizione. Ciò vale anche per le cose: si può parlare del panorama erubescente nella luce del tramonto, ma è più stonato parlare del metallo erubescente sulla fiamma. Invece si può parlare della tisana erubescente per la prolungata infusione, e come dicevamo si possono ammirare con soddisfazione, già pregustandoli i pomodori erubescenti sulla pianta. Questa parola da non confondere con rubbio o rubio, molto più raro, che deriva invece dall’arabo rub, con il significato, un quarto, ed era una una antica unità di misura di capacità per aridi, usata prima dell’adozione del sistema metrico decimale nell’Italia Centrale, con valori oscillanti tra 280 e 294 litri, ma 333 litri a Perugia per i legumi. Nelle campagne di Roma, il termine è ancora usato a volte per indicare una unità di superficie equivalente a 18.480 m2.
Favria, 2.09.2016 Giorgio Cortese

Il resoconto della mia vita non dovrebbe essere calcolato da ciò che ho fatto, da ciò che ho ottenuto, ma da quello che fortunatamente, non sono riuscito ad ottenere, perché in un modo o nell’altro, confondo sempre l’inizio con la fine.

La nociva striscia gialla.
Leggendo un libro sulla guerra di Crimea, ritengo importante per capire gli attuali conflitti nel Medio Oriente mi sono imbattuto nella famosa battaglia di Balaclava combattuta il 25 ottobre 1854. Nella battaglia si verificò il famoso episodio de “la sottile linea rossa”, dove ilo il 93º Reggimento di fanteria Highlanders rimase saldo di fronte ad una carica della cavalleria russa. Fu il corrispondente del Times William H. Russell che osservando l’azione dalla cresta di Sapouné coniò l’espressione “sottile linea rossa”, quando scrisse che non poteva vedere nient’altro, tra i russi in carica e la base britannica di Balaklava, che una “thin red streak tipped with a line of steel”, “un sottile nastro rosso da cui spuntavano punte d’acciaio”. Oggigiorno c’è una sottile linea rossa che separa tra chi vuole preservare il nostro pianeta per le future generazione e chi per ignavia consente che venga sempre di più distrutto scelleratamente. Girando in auto e osservando delle foto postate sui social forum, la striscia gialla ai bordi delle strade mi fa pensare alla sottile line rossa sopra citata. Questa nociva striscia gialla è generata dal diserbante spruzzato lungo le nostre strade per essiccare l’erba. In questo diserbante c’è una sostanza nociva , ma non tutti gli esseri umani se ne rendono conto, e i diserbanti chimici vengono impiegati d’abitudine lungo i bordi delle strade, nelle aree protette, nelle vicinanze dei corsi d’acqua e lungo la viabilità privata. Secondo recenti studi americani e svedesi, la permanenza delle sostanze tossiche nel terreno può risultare molto prolungata e durare anche per tre anni e possono permanere a lungo inalterate e risultare pericolose agli esseri umani e agli animali. Il diserbante irrorato nei terreni minaccia la biodiversità, ed in più si ottiene tra l’altro un effetto estetico discutibile! Inoltre, l’impiego di diserbanti lungo le scarpate o in aree non cementificate può causare frane e smottamenti, poiché il suolo nudo non riesce a resistere alle precipitazioni e alle condizioni climatiche avverse. Lungo i bordi delle strade urbane ed extra-urbane, noto fasce di vegetazione di colore giallo rossastro in totale contrasto con il resto della vegetazione verde. Questo vuol dire che le società incaricate di garantire una corretta visibilità e viabilità stradale, invece di applicare il tradizionale sfalcio dell’erba, hanno spruzzato del diserbante. Una volta distrutto, il manto erboso è difficile da ricostituire; infatti il diserbo è più efficace per alcune erbe che per altre e le più resistenti, nelle annate successive, non avendo più competizione naturale, si faranno più aggressive. In pratica iniziare l’utilizzo dei diserbanti costringe a proseguire stagione dopo stagione. Gli effetti del veleno non possono essere limitati alle sole erbe indesiderate, si estendono inevitabilmente alle specie animali, coinvolgendo l’intera catena alimentare. L’uomo non ne resta certamente escluso, si pensi soltanto all’abitudine della raccolta di piante spontanee per uso alimentare. L’erba, come ogni vegetale, vive grazie alla fotosintesi che consuma anidride carbonica, la grande imputata per i cambiamenti climatici. Che senso ha dunque rinunciare al compito svolto dalle erbe spontanee nella produzione di ossigeno? Infine, vale la pena soffermarsi sull’impatto estetico di tale pratica. Al verde brillante punteggiato di fiori variopinti, si contrappongono tristi scene di erbe morenti, per le quali è comunque necessario intervenire con il taglio se non si vuole anticipare di qualche mese il fenomeno degli incendi di sterpaglie. Il giusto approccio dovrebbe partire dalla conoscenza del terreno, che non è un supporto, ma un organismo vivente. Viviamo in un’epoca in cui la consapevolezza che il nostro destino è legato alla tutela dell’ambiente è molto diffusa. E’ il momento, dunque, di intervenire contro pratiche, apparentemente comode, che hanno già ampiamente dimostrato di essere insostenibili nel lungo periodo. L’alternativa naturale all’uso di diserbanti chimici esiste a minor impatto ambientale è senza danni per la salute. Si tratta del pirodiserbo, macchine simili a sarchiatrici, che non hanno le zappette o i denti ma montano piccoli bruciatori a Gpl. Consentono di eliminare le piante infestanti con una fiamma libera, vengono lessate, che oltre a non inquinare, è più efficace sul lungo periodo con gli stessi costi del trattamento chimico. I bruciatori infatti espongono alla fiamma i tessuti cuticolari delle piante infestanti, che non bruciano ma che vengono invece “lessati”. Così le foglie e le altre parti verdi della pianta, non essendo più protetti dallo strato di cuticola, portano rapidamente la pianta a morire per disidratazione. Il metodo è utilizzato nei paesi scandinavi, in Svizzera, in Germania ed in Olanda. Abbiamo bisogno da subito di una sana volontà di innovazione e di maggiore sensibilità ambientale per cambiare mentalità e pratiche, siamo ancora in tempo per salvare quanto ci circonda, per salvare noi stessi e per conservarlo per le future generazioni.
Favria, 3.09.2016 Giorgio Cortese

Nella vita ogni cosa che mi ha fatto luce potrebbe un giorno spegnersi, e allora devo essere sempre ben consapevole che nulla splenderà per sempre su questa terra.

Res Gestae Favriesi, il pèilo: stufa o chiavistello.
Conversando con mio suocero favriot doc, in queste sere di estate è uscito il lemma il “pèilo del prève”. Chiedente spiegazioni sulla parola che non conoscevo mi ha spiegato che quando è arrivato a diciotto anni ad abitare nella casa di suo padre, al piano terra c’era una stanza, così denominata come salotto buono del prete, anticamente era stata abitata da uno zio prete che abitavi lì. Cercando l’0erigine di questo lemma ho scoperto che anticamente era indicata la stanza dove si trovava la stufa, il luogo caldo della casa dove anticamente i contadini ricevevano gli ospiti e davano da mangiare ai commensali, oggi la chiamiamo la sala da pranzo. L’origine del peilo arriva dal franco-provenzale da poele e a sua volta deriva dal latino pensilem dal significato di sospeso, in quanto in origine erano dei soppalchi riscaldati da una stufa da sotto. Da li deriva il lemma pelion, il braciere. Il lemma non è da confondere con il significato che si da al peilo, chiavistello. Si questo lemma simile come pronuncia e come grafia gli esperti dicono che derivi dal latino pessulum, a sua volta dalla parola greca antica passalos, mediato che è arrivato nel piemontese tramite l’area gallo romanza e dal lemma provenzale pesle e peile.
Favria, 4.09.2016 Giorgio Cortese

È sorprendente come le persone trascorrano più tempo a pianificare la loro prossima vacanza che il loro futuro.