Auguri di buon anno scolastico! – Giove e Europa. – L’aglio di San Grato a Favria. – Numeri! – Arianesimo e non ariano! – Scrivo. – Gli scacchi… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Auguri di buon anno scolastico!
Un nuovo anno scolastico sta per iniziare e, come sempre, l’obiettivo è cercare di portarlo a termine nel miglior modo possibile. Il ritorno a scuola porta con sé cambiamenti e novità non solo per i bambini ed adolescenti che troveranno nuovi insegnanti, nuovi compagni di scuola, nuove materie di studio e incertezze sul futuro. Ma anche per l’incombere della pandemia coronavirus che alimenta la confusione che nel mondo regna sovrana e rischia di essere lo scenario endemico di tutto il prossimo anno e non solo quello scolastico, con continui allarmismi, con passi avanti e passi indietro, in uno stato di precarietà che non aiuta la scuola, l’economia ed il nostro personale benessere. Così non funziona, occorre che ognuno si assuma le sue responsabilità! Buon lavoro a tutti Voi che siete in prima linea, e troppo spesso dimenticati, per formare con la cultura ed il sapere le future generazioni. Auguri a tutti i Dirigenti scolastici, insegnanti e a tutti il personale della scuola che, con ruoli e responsabilità diverse, operate a supporto della formazione dei ragazzi, e troppo spesso ci si dimentica del Vostro preziosissimo ruolo. Un augurio speciale ai genitori, affinché sappiano collaborare con tutti gli operatori nell’educazione dei loro figli. Agli studenti che iniziano la scuola auguro di entrare da quel portone il primo giorno portando con Voi tutto il Vostro entusiasmo e la Vostra fantasia e che loro possiate colorare l’aula in cui siederete e poi con i compagni ed i maestri e maestre colorerete questo anno scolastico con esperienze belle e brutte che si incroceranno, ma Voi non perdere mai la voglia di sorridere e imparare. Non preccupateVi se siete timidi, perché la Vostra timidezza è un dono, ricordatelo! Vi auguro di potere sentire il profumo delle merende, l’odore delle gomme e di incantarVi dinnanzi a un’illustrazione del Vostro primo libro di lettura, perché quando avrete la mia età, saranno dei ricordi preziosi, parte della personale storia. Vi auguro di sentire il piacere di scrivere sulla lavagna e non importa se le prime volte scriverete facendo errori, perché se corretti e compresi gli errori non si commettono più con facilità! Vi auguro di non placare mai la sete di conoscenza, non fatevela mai affievolire da nessuno! Vi auguro che sui banchi nel primo giorno possiate incrociare lo sguardo del Vostro migliore amico e anche quello che un migliore amico non è riuscito ad averlo perché aspettava proprio il Vostro. Vi auguro che possiate provare il brivido d’essere il capofila della Vostra classe per fare il capotreno del futuro e Vi auguro anche di essere gli ultimi della fila perché è bellissimo seguire il futuro.
Buon primo giorno di scuola a tutti!
Favria, 15.09.2020 Giorgio Cortese

La vita è piena di lezioni e ogni giorno ne imparo una nuova.

Giove e Europa.
Europa è il nome del più antico dei cinque continenti ma da dove arriva questo nome e chi era Europa? Quando nacque il suo affascinate mito che ha attraversato millenni arrivando intatto ai giorni nostri? Il mito lo narra Ovidio nelle metamorfosi. Ma prima di addentrarci nelle affascinanti pieghe di questo mito, interessante è l’etimologia di questa parola che da secoli è patrimonio di decine di culture. Per alcuni studiosi il nome Europa deriva dall’etimo semitico ereb, letteralmente occidente, termine che i Fenici, popolo a cui tutti noi europei dobbiamo tantissimo, utilizzavano per denominare le terre a ovest della Siria. Per altri studiosi, invece, l’origine della parola Europa sarebbe greca e indicherebbe genericamente i territori a nord dell’Egeo. Di sicuro questo termine, come quello di Asia, comparve nella Teogonia di Esiodo, opera risalente all’VII secolo a.C. racconta Ovidio, tornando al mito che Europa era una giovane e  bella ragazza su cui Giove, Zeus, pose il suo sguardo e quella passione divenne per sempre un mito. Europa è una principessa, figlia del re di Tiro Agenore, ma innanzitutto è una ragazza che ama vivere e andare a giocare con le sue amiche in spiaggia, guardare il mare e chiedersi cosa ci sia dietro l’orizzonte, dopo l’ultimo lembo di azzurro. Giove, Zeus, il padre di tutti gli dei, il potente dio che ha la destra armata di fulmini a tre punte, lui che con un cenno fa tremare il mondo è sposato con Giunone, Era, che era molto gelosa delle sue frequenti avventure, le giovani Leda, Semele, ma anche dee come Demetra, Latona o Maia. Giove, Zeus, per conquistarle non disdegna qualsiasi tipo di trasformazione o di inganno, celebre, ad esempio, la metamorfosi in cigno per sedurre la bella Leda. Di queste passioni passeggere, talvolta si confida con Giunone,Era, chiedendole anche dei preziosi consigli. Questa, però, non di rado, reagisce e non proprio sportivamente, dimenticandosi di essere una divinità e assomigliando alla più gelosa delle mogli terrene, stanca della continua infedeltà del marito. Una volta, ad esempio, Era con l’aiuto di Nettuno, Poseidone, Apollo e tutti gli altri olimpio a eccezione di Vesta, Estia, circondò Zeus all’improvviso mentre dormiva e lo legò al letto con corde di cuoio, annodate cento volte, cosicché non si potesse più muovere. Ritornando al mito, Europa un giorno con le sue amiche, come fa di consueto, è in spiaggia spensierata a giocare, ignara del destino che l’attende. Zeus quando si invaghisce di una fanciulla, non molla e allora decide di rapirla trasformandosi in un toro, candido come la neve, e si mescola alle giovenche, che si aggirano vicino alla spiaggia. Così trasformato il toro si avvicina con fare mansuieto ad Europa, e vinta l’iniziale titubanza, rassicurata dalla mitezza dell’animale, non solo lo sfiora ma gli porge dei fiori odorosi. L’idillio fra i due fatalmente si instaura. Giove, Zeus, pregusta il piacere agognato, in quanto gli iniziali timori di Europa sono del tutto superati, tanto che la figlia del re, come racconta ancora Ovidio, si adagia sul suo dorso. Allora il dio dalla terra asciutta della riva, senza parere, comincia a imprimere le sue mentite orme nelle prime onde e poi procede oltre e in mezzo alle acque del mare portandosi via la preda in maniera repentina. Europa è terrorizzata e vede le sue amiche sulla riva, ormai lontana. Per non cadere, afferra con la mano destra un corno, mentre con la sinistra cinge la groppa, e il vento impetuoso le gonfia le belle vesti. Giove, Zeus, porta Europa fino a Cnosso, sull’isola di Creta. Dall’unione con Giove, Zeus, Europa generò Minosse, Serpedonte e Radamanto. Giove, Zeus, delle sue amanti si stanca presto, lascia la povera Europa con i tre bambini per tornare nell’Olimpo, non prima di trasformare il candido toro in una costellazione celeste. Ma, per cercare di rendere meno pesante questa fuga decide di omaggiare la ragazza di tre doni: Talos, un gigante di bronzo guardiano di Creta, Lealaps, un cane addestrato e un giavellotto dalla mira infallibile. Europa, nel frattempo, conosce Asterione, re di Creta, che vinto dalla bellezza della giovane decide di adottare i tre figli “divini” pur di non perdere l’amata. Il mito del rapimento di Europa ci narra della migrazione da Oriente a Occidente, da Tiro a Creta, da una cultura a un’altra. Nel 1610 Galileo, scrutando il cielo, scoprì quattro dei sessantasette satelliti di Giove, il pianeta più grande del nostro sistema solare. Uno di questi, fu chiamato Europa e così da allora quell’amante focoso e quella giovane ragazza da quel momento furono uniti per sempre sotto un manto di stelle.
Favria, 16.09.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno il nostro unico quotidiano capolavoro è quello di vivere bene in salute e semplicità.

L’aglio di San Grato a Favria.
Secondo una leggenda San Grato al rientro dalla Terrasanta placò una furiosa tempesta e questo gli fece guadagnare la reputazione di protettore dalle catastrofi e della sua protezione ne abbiamo tantissimo bisogno con la pandemia che incombe e che ha permesso martedì 8 settembre, per la festa in suo onore, solo la Santa Messa officiata dal parroco Don Gianni Sabia. Un plauso particolare va al sempre attivo Comitato di San Pietro Vecchio che si prodiga ogni anno per la festa e la conservazione di questa chiesa dell’anno Mille, anticamente una delle due parrocchie favriesi. Questo Comitato che lavora con passione e dedizione encomiabile presieduto dall’Arch Adriano Martinetto, a loro va l’applauso caloroso di tutti i favriesi per la costante attenzione e cura nel preservare l’edificio religioso e nel recuperare ogni anno nuovi pregevoli affreschi. Una particolarità di questa borgata alla festa è quella di mettere all’incanto delle trecce d’aglio, verdura coltivata fino dall’antichità più remota, molto apprezzato da Greci e Romani. L’aglio è citato anche nelle Sacre Scritture, nell’Esodo è menzionato fra i beni più preziosi che gli Ebrei dovettero lasciare in Egitto. L’odore particolare dell’aglio e la maggior parte delle sue proprietà sono dovute alla presenza di un’essenza solforata, il cui principio attivo, l’allicina, è antisettico e pensate che la maschera protettiva dei medici contro la peste, nel Medioevo e nel Rinascimento, era imbottita di aglio e risultava essere veramente efficace. L’allicina viene espulsa per via polmonare è ha diverse proprietà curative come essere antidiabetico, antisettico, antispasmodico, callifugo, diuretico, espettorante, ipotensivo, stimolante, tonico, vermifugo. Come si vede una borgata dove al potere taumaturgico del Santo si lega con la tradizione delle trecce d’aglio un’alleanza tra sacro e profano contro le pandemie del passato e che è ancora attuale oggi. Purtroppo quest’anno niente trecce causa emergenza sanitaria. L’attività del Comitato non si esaurisce con la funzione di martedì 8 settembre, perché il 27 settembre avverrà un’apertura apertura straordinaria della cappella con il circuito di Percorsi Arte Storia e Fede in Canavese. Visite guidate a numero limitato e previa prenotazione in ossequio a protocollo Covid 19. Una opportunità di ammirare affreschi religiosi dell’anno Mille, una ricchezza favriese che vale la pena di andare a vedere.
Favria, 17.09.2020 Giorgio Cortese

Ogni giorno se maggiore è l’ostacolo, maggiore è poi la gloria nel superarlo!

Numeri!
Il mondo attuale e sorretto da i numeri ma misura il tutto a volte può essere uno sbaglio. I numeri sono giustamente al centro della nostra attuale società. Ma da strumento imprescindibile possono diventare una scorciatoia intellettuale, e persino una truffa. Oggigiorno ci mettono sul lavoro, nel volontariato, nella scuola ed in altre situazioni della vita quotidiana dei parametri numerici per misurare le performance di ogni organizzazione, e questo lo si fa con le migliori intenzioni, per esempio per riorganizzare sistemi nei quali l’assenza di misure precise può creare sprechi e inefficienze. Forse dobbiamo pensare che l’impulso a impulso a introdurre sempre di più parametri quantitativi nasce spesso con le migliori intenzioni, come una soluzione a problemi concreti. Un’inclinazione naturale che abbiamo come i esseri umani è quella di provare a semplificare i problemi concentrandosi sugli elementi che si misurano più facilmente. Ma ciò che è più facile misurare raramente è l’aspetto più importante e, anzi, a volte non è affatto importante. L’ossessione di misurare tutto provoca il paradosso che a volte si misurano aspetti semplici per ottenere risultati complessi. Quasi tutti i lavori implicano lo svolgimento di molte attività diverse e quasi tutte le organizzazioni hanno obiettivi molteplici. Raccogliere dati su una sola attività o su un solo obiettivo produce spesso risultati fuorvianti. A volte si misurano le risorse impiegate invece che i risultati, certo è più facile gli importi spesi o le risorse impiegate in un progetto, piuttosto che i suoi risultati. In questi casi le organizzazioni misurano quanto hanno speso, invece di ciò che hanno prodotto, ovvero misurano il processo anziché il prodotto. Ormai le performance con i loro numeri si abbattono su un numero sempre maggiore di attività e forse dovremmo pensare che a volte i numeri così come sono messi non sono tutto. La quantificazione ha un certo fascino, perché organizza e semplifica la conoscenza, offrendo dati numerici che permettono di paragonare facilmente individui e organizzazioni diversi tra loro. Ma questa semplificazione può provocare alterazioni, perché rendere paragonabili le cose significa spesso privarle del loro contesto, della loro storia e del loro significato. Di conseguenza, i dati sembrano più certi e affidabili di quanto siano in realtà e per noi esseri umani niente dà l’impressione della certezza quanto un dato espresso in forma numerica. Ma attenzione questi numeri possono essere manovrati scegliendo obiettivi più facili o preferendo clienti meno impegnativi, in modo da semplificare il raggiungimento dell’obiettivo escludendo i casi in cui è più difficile avere successo. Voglio spiegarmi meglio non voglio dire che quantificare con numeri sia un’attività inutile, anzi è necessaria, ma ci sono ambiti nei quali misurare tutto per performance può avere effetti perversi. Un’organizzazione può scegliersi determinati obiettivi solo perché essi possono essere raggiunti i numeri prefissati e non perché sono quelli giusti. Oggi dei numeri non possiamo farne a meno ma non dobbiamo diventare schiavi. Le misure della vita con i numeri possono essere più o meno utili e tutti hanno dei limiti, ma a farne una bandiera porta ad usarli male.
Favria, 18.09.2020 Giorgio Cortese

Chi crede nell’immortalità dell’anima si gode la sua felicità su questa terra in silenzio, e non ha nessun motivo di darsi delle arie. Lo diceva Gothe ed io la penso che Lui.

Arianesimo e non ariano!
L’arianesimo è una eresia della chiesa cristiana predicata da Ario, monaco di origini berbere, nato in Libia nel 256. Ario nel 306 partecipò allo scisma di Melezio di Licopoli, che si opponeva alla riammissione dei cristiani che durante le persecuzioni avevano rinnegato la loro fede. Distaccatosi da questi, nel 308 fu fatto diacono e poi nel 310 ordinato sacerdote, ad Alessandria. Quando fu incaricato di predicare a Bàucalis, i suoi discorsi cominciarono a collocarsi al di fuori dell’ortodossia cristiana. Ortodossia significa la retta opinione dal greco orthós, retta” e doxa, opinione. La dottrina elaborata dallo stesso Ario che chiamò, dal suo nome, Arianesimo sosteneva che solo il Padre può considerarsi veramente Dio, ingenerato, non creato, eterno e immutabile, Gesù, invece, non ha la stessa natura, divina, del Padre, ma ha cominciato a esistere per un atto di volontà del Padre, e non generato dal Padre, sia pure la più eccellente di tutte le creature e la più vicina alla divinità. Il Figlio quindi rimane sempre subordinato al Padre e di conseguenza l’incarnazione e la resurrezione di Cristo non sono eventi divini. Dapprima le posizioni di Ario furono condannate dal vescovo Alessandro, poi dal Concilio di Alessandria del 321, fu allora che Ario si ritirò presso l’amico Eusebio, vescovo di Nicomedia. Nel frattempo la posizione di Ario e degli ariani si rafforzava e questo indusse l’imperatore Costantino a convocare nel 325, a Nicea, il primo concilio ecumenico nella storia, presieduto dall’imperatore stesso. Nel Concilio ecumenico di Nicea venne elaborata la formula della consustanzialità, la cosiddetta homousìa, dal greco homós, identico, e ousía, natura, con la quale si voleva affermare il concetto secondo cui il Figlio è della stessa “sostanza” del Padre, cioè della stessa “natura” del Padre. Quindi il Concilio di Nicea definì solennemente che Gesù Cristo, Figlio di Dio: “…è della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale del Padre, per mezzo del quale tutte le cose sono state create: quelle del cielo e quelle della terra….”Con questa definizione, vincolante per tutti coloro che si confessano cristiani, furono fissate le caratteristiche essenziali della comprensione cristiana di Dio. In seguito al Concilio di Nicea, Ario fu prima esiliato, poi riabilitato da Costantino dopo il 330. In seguito fu riammesso nella Chiesa di Costantinopoli, ma, prima di giungervi, fu colpito da morte improvvisa nel 336. L’Arianesimo, però, continuò ad accendere i cuori dei fautori e degli avversari, anche perché spesso le posizioni di entrambi erano contaminate da interessi politici di parte. Gli imperatori, ad esempio, ora lo difendevano ora lo avversavano, a seconda se essi fossero o meno in sintonia con la Chiesa. Dopo il Concilio di Costantinopoli del 381, che confermo il Credo Niceano, l’Arianesimo sopravvisse solo presso le popolazioni germaniche cristianizzate dal vescovo goto Ufila, traduttore della Bibbia in lingua gotica. L’Arianesimo conobbe una grande diffusione tra i popoli germanici almeno fino al VII secolo: essi, infatti, consideravano l’Arianesimo un elemento di distinzione rispetto ai Romani, vinti e sottomessi. In seguito, la regina Teodolinda, fervente cattolica, si adoperò con l’aiuto di Papa Gregorio Magno per la conversione dei Longobardi. Diverso è il concetto di razza ariana, una concezione razzista e antisemita, chi appartiene alla razza nordica o bianca in generale. Siamo nel 1925. Un anno fa Adolf Hitler, trentacinquenne, è stato incarcerato per via del tentativo, fallito colpo di stato dell’anno ancora prima, il noto “Putsch di Monaco”. Nel 1925, per l’appunto, viene pubblicato il frutto della sua scrittura, o meglio, dettatura, del periodo della reclusione: il Mein Kampf. Nella prima parte di questo testo, chiamata Mein Leben, la mia vita, Hitler dice esplicitamente che ciò che era conosciuto allora per quanto riguarda arte, scienza e tecnica era quasi completamente frutto dell’ingegno degli Ariani. Ma chi erano, questi Ariani? E perché Hitler ne parla? Arya, era un termine usato per designare gli appartenenti a popolazioni seminomadi di varia etnia che così definivano sé stesse, nobilI. Questo gruppo di etnie che migrò verso la regione chiamata Aryavarta, nell’India centrale e settentrionale. Il termine fu anche utilizzato da queste etnie per auto-definirsi: significa, infatti, anche: rispettabile, onorevole. Nell’Ottocento vennero definiti ariani i popoli iranici, ceppo linguistico indoeuropeo, che deriva dall’appellativo con cui i popoli iranici si chiamavano fra di loro, ariyà, dal sanscrito, signore. . Poiché i popoli di lingua indoiranica usavano chiamarsi Ari, l’uso del termine arisch fu esteso, da parte dei teorici del nazismo, a indicare il tipo etnico biondo nordeuropeo concepito come continuazione diretta dell’antica popolazione ariana, nobile, eletta. Si trattò di un falso storico di gravità inestimabile, basato su almeno due errori: identificazione di lingua con razza, e mito della razza e della lingua pura. Un concetto neutrale originato nell’ambito della linguistica, quindi, dopo essere stato preso e tirato e deformato a piacimento è diventato il manifesto di un’aberrante ideologia politica, proprio come, in modo un po’ diverso, ma sempre nello stesso contesto, è stata dissacrata la svastica, originariamente simbolo di buon auspicio.
Favria, 19.09.2020 Giorgio Cortese
Ogni giorno dobbiamo seminare per il futuro, e raccogliere quanto di buono abbiamo compiuto nel passato

Scrivo…
Personalmente amo l’odore dell’inchiostro nei libri ed il rumore delle pagine che sfoglio e ho nostalgia della penna e dell’inchiostro. Amo scrivere al mattino presto e leggere alla sera, mi piacerebbe certi giorni stare chiuso in una stanza a scrivere tutto il giorno pensando nella mia limitata visione del mondo che cosi potrei trasformare ogni cosa che mi circonda trasformandola con la forza della scrittura. A volte mi domando se scrivo per stare solo, per passione o per l’umana lusinga di essere letto. Ogni mattina la vita è bella, mi sembra di vedere tutto sempre con nuovi occhi e allora scrivo per trasmettere il mio stupore per la vita e per il mondo che mi circonda, perchè tutto è incredibilmente bello e sorprendente. Scrivo traendo ispirazione da fatti per altri magari banali, ma per me interessanti e con ostinazione e allora, pazienza porto avanti le idee tessendo le parole, usando fantasia. Certo è piacevole quando qualcuno mi scrive che anche lui ha avvertito le medesime sensazione che io in maniera maldestra ho scritto, fissandole sulla carta con l’inchiostro. E allora scrivo ogni giorno e magari quello che scrivo per Voi non sarà interessante e non lo troverete mai su di uno scaffale in libreria, ma per me scrivere è esaltante nel riuscire a trasformare in parole tutte le bellezze e le ricchezze della vita quotidiana.
Favria, 20.09.2020 Giorgio Cortese

La memoria è labile nel ricordare i benefici ma tenace nel ricordare i torti

Gli scacchi.
Ma cosa può esserci di scandaloso nel gioco degli scacchi? E invece in varie epoche storiche, gli scacchi sono stati banditi in Persia, Egitto, Giappone e persino in Francia. E lo sono ancora in Arabia Saudita. Diversi i motivi del bando nel corso della storia: in Francia per esempio nel 1254, Luigi IX li vietò perché li riteneva “inutili” e “noiosi”. I talebani invece li hanno messi al bando quando hanno preso il potere nel 2001, assieme a musica e riviste. In Arabia Saudita il divieto invece è un fatto recente, risale al 2016 quando il gran muftì Abdulaziz al Sheikh ha emesso una fatwa. Motivo? Sarebbero una perdita di tempo. Ma c’è chi dice che il vero motivo di questi divieti potrebbe dipendere dal fatto che agli scacchi vincono l’intelligenza e il talento e non la sorte. E questo in alcuni regimi sarebbe profondamente anti-religioso. Il paradosso è che furono proprio i musulmani a introdurre gli scacchi in Europa.
Favria, 21.09.2020 Giorgio Cortese

Una persona arrabbiata difficilmente è ragionevole, una persona ragionevole difficilmente è arrabbiata
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