Amore e Psiche! Tra cuore e cervello. – La dolce e coriacea Maonia! – La cresta di sabbia. – Non è Newton ma poco ci manca! – Tabarro intabarrato e non fuori dai gangheri! – All’imbrunire…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Amore e Psiche! Tra cuore e cervello…
Questa della storia d’amore scritta nel II Secolo d.C, dallo scrittore latino Apuleio nelle sue “Metamorfosi”, narra la metafora dell’eterna battaglia tra razionalità e istinto, tra cuore e cervello. La leggenda racconta la storia del Dio Amore, Cupido, e della bellissima Psiche. Il mito narra che vi erano in una città un re e una regina. Questi avevano tre bellissime figliole. Ma le due più grandi, quantunque di aspetto leggiadrissimo, pure era possibile celebrarle degnamente con parole umane; mentre la splendida bellezza della minore non si poteva descrivere, e non esistevano parole per lodarla adeguatamente”. Inizia così la leggenda che narra la storia di Amore e Psiche. Psiche era bellissima, la sua grazia e il suo splendore erano tali da attirare le invidie di Venere (Dea della bellezza) che, per vendicarsi, decise di chiedere aiuto a suo figlio Amore (Cupido). L’invidiosa dea chiese a suo figlio di colpire Psiche con una delle sue infallibili frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra. Amore accettò ma, una volta arrivato di fronte alla fanciulla, rimase così incantato dalla sua bellezza da distrarsi al punto che una delle sue frecce lo colpì, facendolo innamorare perdutamente della splendida fanciulla.Per vivere il suo amore “mortale” il Dio, di nascosto dalla madre, portò Psiche nel suo palazzo senza rivelarle la sua identità. Ogni sera, al calar del sole, Amore andava dalla fanciulla e, senza mai mostrarle il volto, i due vivevano intensi momenti di passione. La giovane principessa aveva accettato il compromesso ma, si sa, la curiosità è donna e una notte, mentre Amore dormiva, Psiche si avvicinò al suo volto con una lampada restando folgorata dalla bellezza del suo amante. Mentre ammirava il profilo di Amore, però, una goccia d’olio della lampada cadde accidentalmente sul giovane che, risvegliatosi, scappò via abbandonando la fanciulla. Quando Venere venne a sapere dell’accaduto scatenò la sua ira su Psiche che, per punizione, venne sottoposta dalla Dea a difficili prove. La principessa superò brillantemente le prove, anche grazie all’aiuto di vari esseri divini, e questo fece ancora più infuriare Venere che le pose un’ultima prova: discendere negli inferi e chiedere alla dea Prosepina un po’ della sua bellezza. Come ordinatole dalla Dea, Psiche si recò negli inferi ma, stavolta, fallì. Nonostante le fosse stato ordinato di non aprire l’ampolla donatale da Prosepina la fanciulla, incuriosita, aprì il l’ampolla dalla quale uscì una nuvola che fece cadere Psiche in un sonno profondissimo. Intanto Amore, preso dalla nostalgia, andò alla ricerca della sua amata e, quando la trovò, la risvegliò. Per non rischiare di perderla di nuovo Amore condusse Psiche sull’Olimpo dove, grazie all’appoggio e all’aiuto di Giove, la giovane principessa, dopo aver bevuto dell’ambrosia, divenne una dea. La leggenda si conclude con il matrimonio dei due innamorati e la nascita di una bellissima bambina che prese il nome di Voluttà.
Favria, 14.02.2019 Giorgio Cortese

Ogni giorno devo custodire dentro me stesso un tesoro importante, la gentilezza.

La dolce e coriacea Maonia!
Oggi voglio parlare di una pianta strana vista nel giardino di un caro amico. La Maonia, pianta che simboleggia la “diffidenza”, forse per il fatto che le sue foglie sono munite di numerose spine. Il nome scientifico Mahonia ricorda Bernard M’Mahon, un orticoltore irlandese nato verso la fine del Settecento e fuggito per ragioni politiche dall’Irlanda in America dove si arricchì con il commercio delle piante. Comunemente la maonia si chiama anche “frutta dell’Oregon”, perché in alcune regioni i frutti della maonia, in particolare della specie Maonia aquifolium vengono considerati commestibili e impiegati per la preparazione di una marmellata acidula, di liquori e di un particolare vino. In America utilizzano i rizomi per le loro qualità toniche, i pellerossa la usavano per preparare un decotto di corteccia per combattere gli attacchi di febbre o i disturbi di fegato. Forse non è una pianta di moda, ma che merita di certo qualche attenzione anche solamente in virtù del fatto che si tratta di una specie che con poco riesce a restituire molto! L’aspetto delle foglie è simile a quelle dell’Ilex, l’agrifoglio. In fatti le foglie sono della tipica forma ovale appuntita ed il margine dentellato con piccole spine. L’aspetto di queste foglie è lucido e coriaceo al tatto, con un color verde chiaro sulle nuove foglie che via via con la maturità muta in toni più scuri sino ad assumere una tinta rossastra durante la stagione invernale; questa però non interessa l’intera pianta. Oltre alle caratteristiche foglie un altro aspetto non trascurabile è la fioritura di questa pianta. Il fiore della Mhaonia compare sulle piante già nel tardo autunno o in inverno inoltrato ed è apprezzabile sia per il fatto che si manifesta in un periodo “morto” dell’anno, ma anche per il fatto che oltre ad essere di natura ornamentale è per di più dotato di dolci note profumate lievemente mielate. Infatti allo schiudersi dei boccioli, in marzo si diffonde nel giardino un dolce profumo che attira i primi insetti impollinatori, regalando “grappoli” di colore giallo limone che non sono niente male. La Maonia dolce e coriacea per via dell’insolito connubio tra la durezza delle sue foglie coriacee ed appuntite e la dolce nota del profumo dei suoi fiori.
Favria, 15.02.2019 Giorgio Cortese

Dal niente non può nascere niente e niente può finire in niente.

La cresta di sabbia.
Leggendo un libro di storia viene citata la cittadina Bourtange , nel dialetto di Groninga: Boertang. La cittadina si trova del nord-est dei Paesi Bassi ed è situata l confine con la Germania. Si tratta di un borgo fortificato dalla caratteristica forma a stella pentagonale, realizzato come tale nel 1580 durante la guerra degli ottant’anni, da Guglielmo d’Orange. La cosa interessante è che il toponimo Bourtange è formato dalla parola olandese boer, ovvero, contadino, in riferimento agli abitanti del luogo, e dal termine olandese tange, ovvero cresta di sabbia, con riferimento al terreno su cui sorge il borgo.
Favria, 16.02.2019 Giorgio Cortese

L’unica cosa che rimpiango del mio passato è la sua durata. Se dovessi vivere la mia vita di nuovo, rifarei di nuovo gli stessi errori, ma solo più in fretta.

Non è Newton ma poco ci manca!
Oggi è la giornata mondiale del gatto ed al riguardo Vi voglio narrare quando sono stato a casa di un conoscente, amante dei gatti. Questa persona possiede in casa un Maine Coon una delle più antiche razze naturali esistenti. Quando sono entrato in casa, ho pensato che il padrone di casa avesse una piccola lince ed invece era un tenero gatto. Intorno a questa splendida razza ci sono tantissime leggende e narrazioni riguardo alla sua origine. L’ipotesi che più ha contribuito ad alimentare le storie che si tramandano è che questo gatto sia nato da un incrocio tra un gatto selvatico americano e un procione. Il termine Maine Coon infatti significa “procione del Maine”. Il pelo folto, la coda a pennacchio, il suo caratteristico verso a trillo e il forte desiderio di stare in contatto con l’acqua, sono tutte caratteristiche in comune con il “raccoon” ossia l’orsetto lavatore. Il padrone di casa al riguardo del gatto mi ha detto che si narra la leggenda che il Maine Coon sia un discendente dei gatti a pelo lungo, Angora Turco, di Maria Antonietta di Francia, che la regina avrebbe spedito durante la rivoluzione francese oltre oceano con l’idea, poi fallita, di raggiungerli per sfuggire alla sua sorte. Altro mito sull’origine è che il Maine Coon avrebbe come antenati i gatti Nordici, antenati dei gatti Norvegesi delle Foreste lasciati li dai Vichinghi sbarcati in America molto prima di Colombo. La teoria più probabile, anche se non certa, è che siano il risultato tra gatti a pelo corto e gatti a pelo lungo d’ oltremare. Infine ridendo sentito il mio commento se aveva una piccola Lince , il padrone di casa  mi ha narrato di altro un mito, alcuni sostengono che vi sia un contributo genetico delle Linci, Lynx rufus e Linx canadensis data la somiglianza e la taglia ridotta di quest’ ultime. La prima volta che un gatto è stato segnalato come un Maine Coon, risale al 1861, con una menzione da parte della signora Pierce di un gatto bianco e nero chiamato “Captain Jenks of the Horse Marines”. In Italia il Maine Coon compare solo nel 1986 su un mensile del settore; da allora la diffusione della varietà è in continua espansione, trovando nel nostro paese molti estimatori del felino domestico nord-americano. Quello che mi ha colpito di questo gatto è le sue dimensioni, grandissimo circa kg 12 e lo sguardo truce. Per questo mi ha intimorito ma poi abbiamo preso entrambi confidenza e si è rivelato un micione coccolone. Il padrone di casa mi ha detto che ama l’acqua e la vita all’aria aperta nel giardino ed è agile e sportivo. Finito di prendere il tè, il padrone di casa ha preso un pezzo di pane, fattene una piccola pallina la lanciata al volo, ed il felino quasi quasi fosse un cane, con la grazia e l’agilità che solo i felini possono avere l’acchiappava al volo. Poi una pallina è andata ad incastrarsi tra una sedia e il muro e allora lui cercava il ghiotto cibo. Il padrone, ha lanciato altra pallina di pane li vicino che ha sfiorato il boccone precedente , recuperata in fretta dal gatto. Figaro, questo è il nome dello splendido felino, ha scosso con la zampa la base della sedia ed è caduto anche l’altro boccone di pane, insomma Figaro ha scoperto come Newton la legge di gravità! Dato che oggi 15 febbraio è la giornata mondiale del gatto due curiosità ma lo sapete che in alcuni paesi non si possono adottare gatti neri nei giorni prossimi alla festa di Halloween, temendo che possano essere usati per sacrifici e torture, è proprio vero che l’ignoranza e la superstizione sono dure a morire. La seconda è che nel 1879, in Belgio, i gatti venivano impiegati per consegnare la posta. Le lettere venivano collocate intorno al collo dei felini in sacchetti impermeabili, ma spesso andavano perse, per via di inconvenienti quali l’incontro con i nemici di sempre, i cani. Ben presto si passò dunque ad altri mezzi. Miao!
Favria 17.02.2019 Giorgio Cortese

Semel in anno licet insanire, una volta l’anno è lecito impazzire, evviva il Carnevale!

Tabarro intabarrato e non fuori dai gangheri!
Tabarro in termine dall’origine molto incerta, chi lo fa derivare dal latino medioevale tabarrus, chi invece dal francese antico tabart, forse di origine germanica da cui anche lo spagnolo tabardo. Ho trovato questa parola in un libro recentemente letto ed il lemma mi ha incuriosito. Il tabarro è un ampio e pesante mantello da uomo, ma oggi la moda lo presenta anche per la donna, rotondo, a ruota, lungo fino al polpaccio in tessuto pesante in lana spesso reso impermeabile, con bavero e pellegrina. Pensate che per fare un tabarro sono necessari sei metri di tessuto. Il tabarro è formato da una ruota perfetta che bisogna tagliare in coppia; una sola cucitura passa lungo la schiena, per il resto non serve in quanto la stoffa è a “taglio vivo”, avendo il tessuto una particolare compattatura che permette appunto di tagliarla senza dover cucire i bordi per evitare la sfilacciatura. Chiuso sul petto da due bottoni che si chiamano “gangheri”, che riproducono “mascheroni” veneziani, preferibilmente in argento, volendo con il collo di astrakan. Può essere di modello classico lungo fino al polpaccio o più corto per andare a cavallo o in bicicletta. Va indossato sull’abito. Questi viene indossato chiuso buttando un’estremità sopra la spalla opposta in modo da avvolgerlo intorno al capo.Il Tabarro ha una storia centenaria. In uso ancora, come capo popolare indossato dagli abitanti nella pianura padana, dove sulle rive del Po nell’Italia settentrionale, il tabarro è rimasto uno stile di vita fino al dopoguerra e non è difficile ancor oggi incontrare uomini intabarrati. Molto diffuso negli anni ’60 questo capo ogni tanto è “rivisto” dagli stilisti contemporanei. Identificabile con il tabarro è il vecchio ferraiolo, ferraiol in Veneto e in Romagna il tabarro è la capparela. Il tabarro ha una storia che parte dal 1300 ed era indossato solitamente da persone importanti come medici, magistrati, ecclesiastici, caratterizzato da grandi strisce di stoffa attaccate al cappuccio. Come nel secolo precedente continuerà a far parte delle sopravvesti maschili: pesante, con o senza fodera in pelliccia. Nel 1500 si definisce tabarro una giacca elegante con maniche e aperta sul davanti, usata specialmente dagli scudieri del Doge di Venezia, che la portavano gettata sulle spalle senza infilare le maniche. Sempre nel 1500 era anche un grossolano indumento con cappuccio e cinto in vita, portato dai galeotti e dalla povera gente. Nel 1700 il tabarro diventa anche una sopravveste femminile più corta e leggera, spesso di colori chiari, detto tabarrino. Nel 1800, infine, si trasforma in un ampio mantello di uso borghese, completamente rotondo, con collo risvoltato e mantellina lunga quasi fino al gomito. Veniva indossato dagli uomini sull’abito o sul cappotto, ed era lasciato cadere diritto o rialzato da un lato per avvolgerlo intorno alle spalle con ampio panneggio. Di solito era grigio o nero. Il tabarro inoltre divenne il capo prediletto degli anarchici che ne fecero un simbolo di ribellione distinguibile dall’aggiunta di un grande fiocco nero come allacciatura sotto il mento. Anche i contrabbandieri lo utilizzavano spesso, probabilmente per nascondere mercanzia al di sotto di esso. Ed ecco che arrivo ai gangheri che usiamo nell’espressione “Uscire dai gangheri”. Questo modo di dire vuol dire che una persona si è arrabbiata davvero. Questa è una espressione strettamente legata al tabarro. Per trattenere questo capo sulle spalle, si applicano ai lati del colletto “I Mascheroni” che sono placche generalmente argentate, unite da una catenella. Nei tabarri d’uso popolare il gancio che ha questa funzione si chiama “ganghero”. Da qui “uscire dai gangheri”, quando una persona molto arrabbiata a causa dell’ingrossamento delle vena del collo, faceva uscire questo gancio. Il ganghero e’ anche uno dei due pezzi di cui e’ composta la cerniera della porta o di una finestra. In sostanza e’ la parte del cardine fissata al telaio o al muro su cui si infila il battente, permettendo a quest’ultimo di girare, in equilibrio. Da qui si vuole anche fare risalire l’espressione figurata “uscire dai gangheri”, “essere fuori dai gangheri”, nel significato di perdere o aver perso la pazienza per l’ira, la collera, il dispetto e agire o parlare sconsideratamente. Dal ganghero deriva anche “sgangherato”, nel senso di rovinato, danneggiato.
Favria 18.02.2019 Giorgio Cortese

La quotidiana missione è, per quanto possibile essere un arcobaleno nella nuvola di qualcun altro.

All’imbrunire.
Passando sopra un ponte alto sull’imbrunire guardando l’orizzonte mi pare di svanire. Il cielo all’imbrunire è una linea di confine tra lo spazio ed tempo in quei brevi attimi il mondo mi pare sospeso. Trattengo il fiato tra la meraviglia e lo stupore, tra il rosso acceso del cielo e la notte che incombe. Che spettacolo il tramonto, ogni giorno mai uguale, ripenso allora alle fragili vene azzurre della vita stordite dal bianco, striate dal rosa e dall’arancio. L’imbrunire è un momento perfetto nella luce e nei colori, il momento in cui la luce del giorno cambia, da prima del tramonto al progredire della notte. Che brulicare infinito di ricordi, mentre la campagna resta piena di cose vere che poco alla volta vengono nascoste dal manto buio della notte.
Favria 19.02.2019 Giorgio Cortese

Le parole gentili sono brevi e facili da dire, ma la loro traccia rimane incisa in profondità nell’animo umano.

giorgio_cortese_ott18Giorgio Cortese